La bandiera

Giacomo Bulgarelli (1940-2009)

Al Bologna dal 1958 al 1975; 490 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 19-4-1959, Bologna-Lanerossi Vicenza 1-0

Per più di cinquant’anni il Bologna è stato attraversato da una linea dinastica bolognese, quattro calciatori nati e cresciuti sul territorio, un lavoro di bottega, di generazione in generazione, partito da Angelo Schiavio, in rossoblù dal 1922 al 1938. Nella sua parabola discendente s’innestava quella nascente di Amedeo Biavati, al Bologna per quindici anni dal 1932 al 1947 (con una sola interruzione d’un anno al Catania). Altri tre lustri, fino al 1962, furono occupati subito dopo da Cesarino Cervellati, il tempo necessario per far crescere Giacomo Bulgarelli, che dominò la scena dal 1959 al 1975, accompagnando il Bologna ai suoi ultimi successi nazionali. Cinquantatré anni di calcio, 1.282 partite in serie A e sette scudetti racchiusi in questi quattro bolognesi. “L’ultima bandiera”, come tutti i tifosi rossoblù definiscono Bulgarelli, nacque nel 1940 a Portonovo, la frazione più distante da Medicina e probabilmente una tra le più antiche. Il liceo classico lo frequentò invece in città, al San Luigi, e solo lui potrebbe raccontare le difficoltà di conciliare il greco antico e i primi durissimi allenamenti con il Bologna. Gli mancavano ancora due mesi al diploma, quando il 19 aprile 1959 debuttò in serie A nella vittoria sul Vicenza, primo traguardo della lunga trafila nel settore giovanile, in cui era stato ammesso quattordicenne su segnalazione dell’attaccante ungherese István Mike Mayer che aveva visto un ragazzino calciare divinamente il pallone in un cortile del quartiere Mazzini. Tatticamente nacque ala destra, per poi passare al centrocampo e infine assestarsi al ruolo di regista, intuizione di Fulvio Bernardini, decisiva per lo scudetto del 1964. Bulgarelli era bandiera già prima di entrare in campo. Lo storico tifoso Gino Villani ne scandiva il nome a pochi secondi dal fischio d’inizio, con quell’appellativo antiquato e affettuoso insieme – “Onorevole Giacomino, salute” – che non gli si sarebbe più staccato di dosso. Ha attraversato tre decadi, dal 1959 al 1975, senza apparentemente mai invecchiare, mettendo insieme, alla fine dei conti, 391 partite in campionato (più quella dello spareggio scudetto con l’Inter), 56 in Coppa Italia, 42 in Europa. Come Angelo Schiavio, trovava nel Bologna tutte le motivazioni che gli servivano per andare avanti, e non chiedeva altro. Al Milan, che nel 1970 fece carte false per averlo, oppose un secco rifiuto, anche se poi fu necessario l’intervento dell’allenatore Edmondo Fabbri per convincere il presidente Venturi a non proseguire una trattativa già in stato avanzato. Se il sogno di Nereo Rocco era quello di formare, con lui e Rivera, la linea mediana più forte del mondo, quello di Bulgarelli era invece tornare a vincere in maglia rossoblù dopo l’exploit dello scudetto, per non rendere quell’impresa un gesto isolato. Ci riuscì due volte, ma solo in Coppa Italia, nel 1969-70 e nel 1973-74, per non citare l’ormai irrilevante Coppa dell’Europa Centrale, vinta nel 1961 nell’indifferenza generale. In maglia azzurra raggiunse solo 29 partite: se dal 1962 al 1966 fu una presenza fissa, fatale fu la sua partecipazione al Mondiale inglese del 1966, con la clamorosa uscita dell’Italia ad opera della Corea del Nord. Bulgarelli faceva parte del folto gruppo bolognese che quell’onta sportiva spazzò via con effetto immediato. Dopo il gol di Pak Doo-ik gli furono concesse solo altre due ribalte azzurre, mentre all’Europeo del 1968, pur convocato, non giocò mai. Ironia e disincanto, sagacia e educazione si mischiavano nel suo modo di parlare, sempre misurato, perfetto, come si accorsero a Telemontecarlo, per i commenti alle telecronache (e in seguito anche dei videogiochi). Per la città fu un trauma doverlo salutare, troppo presto, a settant’anni non compiuti. I suoi funerali, alla Cattedrale di San Pietro, bloccarono tutta via Indipendenza. Per l’occasione fu proclamato a Bologna il lutto cittadino. Non era mai accaduto per uno sportivo.