Champagne

Luigi Maifredi (1947-)

Allenatore dal 1987 al 1990 e nel 1991

Lo chiamavano l’“Omone di Lograto”, per l’altezza, certo, ma anche per sottolineare le sue origini di provincia. Che se per alcuni erano un difetto, per Gigi Maifredi rappresentarono la forza per imporsi partendo da zero. La carriera da calciatore l’aveva abbandonata sul nascere poco più che ventenne, finendo a giocare persino in Sicilia, all’Akragas, dove non fu mai pagato. Sbarcò il lunario nel mondo del commercio, facendo il rappresentante di dolci e spumanti, costruendosi così in anticipo l’etichetta che avrebbe reso immortale la sua epopea, quella del “calcio champagne”. La voglia di restare nel calcio però c’era ancora. Al giovane Maifredi piaceva l’idea di allenare, di fare gruppo, di vincere una sfida – non importava a quale livello. Per trovare una panchina dovette fondare una squadra dal nulla, il Real Brescia, iscritto alla Terza Categoria, il fondale del calcio. Cominciò tutto per divertimento ma si accorse presto che la faccenda poteva diventare seria. Lo capì quando fu chiamato a Crotone a guidare le giovanili, gavetta necessaria per presentarsi di nuovo in Lombardia nella roulette dell’Interregionale. Il nuovo tirocinio si chiamava Lumezzane, Ponte Vico, Leno e Orceana, dove conobbe Luigi Corioni, solido industriale dell’arredo bagno con il pallino del calcio. La loro non fu solo amicizia, ma un sodalizio sportivo che non poteva che avere ricadute sul Bologna. Stanco dei soliti nomi che giravano sulle panchine di quel tempo, Corioni volle affidare i rossoblù al suo homo novus, ancora privo di patentino per allenare in serie B. Si presentò tra lo scetticismo generale con una pesante sconfitta a Lecce. Il giorno dopo comparve sull’uscito dello spogliatoio con pasticcini e champagne, «perché peggio di così non possiamo fare». Fu una scossa per tutto il gruppo. A fine stagione il Bologna era promosso in serie A. Ma non solo: grazie al calcio di Maifredi la piazza aveva ritrovato l’antico entusiasmo, innamorandosi di calciatori a misura d’uomo come Renato Villa, uno dei simboli di quell’annata. La scommessa valeva un nuovo tentativo in massima serie. L’Omone riuscì a salvare il Bologna e poi addirittura a conquistare l’ottavo posto che dopo quindici anni sancì il ritorno in Europa del Bologna. L’apoteosi fu guastata dall’irruzione in scena della Juventus. Già verso marzo, in piena corsa Uefa, erano cominciate a circolare voci sul possibile approdo di Maifredi in bianconero. La certezza si ebbe da lì a poche settimane. Grande sponsor dell’operazione fu Luca Cordero di Montezemolo, apripista di una rivoluzione societaria dopo la chiusura del ciclo Boniperti-Trapattoni. Era un rischio, ma non un azzardo: già Berlusconi, nel 1987, aveva dimostrato che affidare Van Basten e Gullit a un carneade come Arrigo Sacchi s’era rivelata una scelta vincente. Lo stesso schema volle ripetere anche la Juventus, ma la fortuna aveva già girato le spalle a Maifredi, che dopo un buon girone d’andata non riuscì a chiudere oltre il settimo posto, fallendo persino la qualificazione a una coppa europea, prima volta dopo ventotto anni nella storia bianconera. Le sue dimissioni dopo l’ultima giornata di campionato certificarono la fine del sogno. Da quel momento, Maifredi non fu più Maifredi, almeno nella versione disinvolta e contagiosa del “calcio champagne” di fine anni Ottanta. Riapprodò al Bologna, che nel frattempo era caduto in serie B non riuscendo a reggere il doppio ritmo di campionato e Coppa Uefa, ma non concluse nemmeno il campionato. La favola del “calcio champagne” era finita. Come tutte le favole, troppo presto.