L’ingegnere

Giuseppe Della Valle (1899-1975)

Al Bologna dal 1919 al 1931; 225 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 21-12-1919, Bologna-Modena 4-0

«Alto, robusto, angoloso, assaltava le difese, insensibile ai colpi, duro come un macigno, tenace, caparbio: una catapulta». Così il cronista sportivo Ettore Berra ricordava Giuseppe Della Valle, uno dei pochi rossoblù capace di scendere in campo in tre decadi diverse. Negli anni Dieci era tra i Boys che formarono la nuova leva di calciatori durante l’interruzione bellica; nei Venti formò con Angelo Schiavio una coppia offensiva letale, contribuendo alla vittoria dei primi due scudetti del Bologna, nel 1925 e nel 1929; riuscì anche a vedere l’alba degli anni Trenta, ritirandosi a 32 anni nel 1931 ancora nel pieno delle forze (e del potenziale realizzativo), non per un infortunio ma per i suoi impegni professionali. Della Valle era infatti un ingegnere edile e continuò sempre a svolgere questa professione, anche durante il suo incarico da allenatore pro tempore nel 1933 e da vicepresidente “a vita” del club, nella lunga stagione di Renato Dall’Ara, durata fino al 1964. Considerando anche gli anni da semplice tifoso, si può dire che “Geppe” Della Valle dedicò l’intera sua esistenza ai colori rossoblù. Nel maggio 1910 il colpo di fulmine: ai Prati di Caprara si presentava l’Internazionale, il primo squadrone apparso in questi lidi; era un evento eccezionale e per l’occasione i rossoblù avevano chiamato rinforzi da squadre vicine, come i vicentini Vallesella e Ghiselli. Si temeva un confronto impari, ma l’Inter – campione d’Italia in carica – ebbe la meglio solo grazie a un’incertezza del portiere Orlandi. Tra gli spettatori che si assieparono in quella piazza d’armi, che era anche il primo campo ufficiale della storia del Bologna, normalmente destinato alle esercitazioni militari, c’era anche l’undicenne Giuseppe Della Valle, che quel giorno, come ricorderà lui stesso anni dopo, aveva disertato la scuola. L’esempio in famiglia non gli mancava di certo: suo fratello Guido, di quattro anni più vecchio, aveva esordito con la maglia del Bologna nel marzo di quel 1910. Era un vero pioniere dello sport, che aveva già tirato calci a Vicenza e che nel 1909 si era fatto trovare pronto per firmare l’atto fondativo del nuovo Bologna Football Club. Con un fratello maggiore impegnato a tracciare il solco, Giuseppe non poteva che procedere su quella strada. Dal 1915 l’ispirazione fraterna diventò un obbligo morale, dopo che Guido morì in Guerra, dando la vita per un’altra e ben più impegnativa divisa, quella di sottotenente di artiglieria. Da quella tragedia, nacque in Giuseppe Della Valle la consapevolezza di essere finito dentro un passaggio di testimone. «Eravamo quasi tutti bolognesi, lavoratori o studenti», ricorderà nel 1959, «giocavamo per l’emblema rossoblù sino allo stremo delle nostre forze e delle nostre possibilità anche se, come disse all’inaugurazione dello “Sterlino” il poeta Giuseppe Lipparini, talora dovevamo presentarci zoppicanti, malconci e con il viso segnato ed incerottato davanti alla fanciulla del cuore. Ma posso assicurare, che non vi fu campo, quello della famosa Pro Vercelli compreso, che non vide noi giovani passare invitti e trionfanti dopo la partita. Bei tempi allora, colmi di spensieratezza, di promesse, di fratellanza e di entusiasmo. Amici veramente intimi, giocavamo con il fatidico motto: tutti per uno, uno per tutti, per tenere alto il prestigio della nostra squadra». Amici tutti, o quasi. Solo con Pietro Genovesi non legò mai. Eppure, al di là di una tacita ostilità che fuori dal campo li teneva a debita distanza, quando c’era da dialogare con il pallone lo facevano al massimo delle loro qualità. Fu lo stesso Genovesi a chiedere, quasi intimare, al gerarca Leandro Arpinati di “restituire” a tempo pieno Della Valle al Bologna, poiché i suoi impegni all’Istituto Case Popolari di Fornovo stavano causando un drastico calo del rendimento sportivo. Nobile di origini e di portamento (era figlio della contessa Elena Marchetti e del colonnello Vincenzo Della Valle, la casa natale è ancora visibile in via Barberia 18), “Geppe” fu uno dei calciatori più completi della sua epoca. Chiuse le sue dodici stagioni al Bologna con 104 reti in 225 partite. Memorabili i suoi cinque gol al Milan il 5 novembre 1922, in uno 0-8 che rappresentò da allora la più ampia vittoria esterna mai realizzata dal Bologna. Altre sei ne mise a segno con la Nazionale tra il 1923 e il 1929, tutte amichevoli tranne le Olimpiadi del 1924. Celebre, nel 1927, rimase la sua grande prestazione contro Ricardo Zamora, l’imbattibile portiere della Spagna, nel giorno dell’inaugurazione del Littoriale di Bologna: un suo colpo di testa provocò l’autogol del difensore spagnolo Prats. La notizia del suo addio al calcio, per molti prematuro, finì su tutti i giornali: «I suoi doveri professionali gli impedivano di continuare a dedicarsi all’allenamento», scrissero, «e desiderava parimenti lasciare il campo ai giovani che rigogliosi sono sorti e stanno sorgendo alla scuola dei grandi campioni rosso-bleu. Nessun altro come lui ha impersonato per moltissimi anni nei campi di gioco il nome, la fama, la scuola della sua squadra. Egli fu lo stratega dell’attacco, il cervello coordinatore di tutte le trame di gioco, il combattente generoso che si gettava nelle mischie senza incertezze e senza titubanze, il signore della palla e di tutte le sue sottigliezze».