Nomen omen
Ettore Puricelli (1916-2001)
Al Bologna dal 1938 al 1943; 146 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 18-9-1938, Genoa-Bologna 2-3
A differenza di molti oriundi d’Uruguay, Hector Puricelli Seña – un presagio nel nome – ebbe una lunga ribalta pubblica anche dopo aver smesso di infilzare portieri. Per trent’anni, fino al 1984, ha attraversato l’Italia da Milano a Brindisi, rivelando lati del carattere che la vita da calciatore degli anni Trenta e Quaranta aveva adombrato per mancanza di letteratura. Si è scoperto così, nei panni dell’allenatore o del direttore tecnico, un vero uomo di mondo, capace di tenere desta l’attenzione dell’intero spogliatoio raccontando prodezze sia amatorie sia sportive, dalle (presunte) notti d’amore con Assia Noris – star del cinema anni Trenta – all’“invenzione” dei calzettoni abbassati come gesto di sfida verso i difensori avversari (la paternità di questa smargiassata è comunemente ricondotta a Omar Sívori). Nato a Montevideo nel 1916, al Central Español giocava un calcio completamente diverso da quello che avrebbe incontrato in Italia. In Uruguay, infatti, era quasi sconosciuto il ricorso ai cross e ai traversoni alti, ragion per cui a Puricelli non toccò mai segnare di testa. Paradossale, pensando che proprio a Bologna avrebbe ricevuto il soprannome di “Testina d’oro” per il gran numero di reti trovate per via aerea, soprattutto nella sua prima stagione italiana, quella del 1938-39, conclusa con scudetto e vittoria della classifica cannonieri ex aequo con il milanista Aldo Boffi. Unico nella storia rossoblù, Puricelli riuscirà a replicare l’abbinata anche nel 1940-41 con 22 gol, confermandosi capocannoniere di squadra per quattro stagioni consecutive. Dopo la guerra, complice l’invaghimento di Renato Dall’Ara per Gino Cappello, si sistemerà al Milan, non riuscendo però a invertire la tradizione che dal 1907 condannava i rossoneri a non vincere nulla. Ci riuscirà nella stagione 1954-55, da allenatore, dopo aver rilevato in febbraio la panchina di Béla Guttman (quello della profezia inflitta al Benfica). Puricelli non restò mai prigioniero del suo passato da calciatore e delle sue pur eccezionali doti tecniche, che gli consentivano di staccare di testa restando in elevazione qualche frazione di secondo in più degli avversari. Fu orgoglioso di girovagare, con alterne fortune, in moltissime piazze italiane, da Palermo a Salerno, da Alessandria a Cagliari, talvolta raccogliendo veri trionfi, come la doppia cavalcata del Varese dalla C alla A. Nel 1978, a 62 anni, raccolse persino la sfida di allenare in una piazza incandescente come quella genoana, lanciando definitivamente il ventitreenne Bruno Conti. «Sono abbastanza maturo per sapere che la gente prima di leggere gli articoli legge la classifica», disse presentandosi a Genova, con quello spirito pratico, per nulla sudamericano, che forse gli servì per nuotare altri trent’anni nel grande e spietato acquario del calcio italiano. Molti oriundi della sua generazione non ne furono capaci.