Cambio di identità
Eriberto da Conceição Silva (1975-)
Al Bologna dal 1998 al 2000; 54 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 12-9-1998, Milan-Bologna 3-0
Arrivò con il nome di Eriberto da Conceição Silva dichiarando 19 anni. Solo lui sapeva di non chiamarsi così e di avere, in realtà, quattro anni di più. Ma chi poteva scoprirlo? Tutto combaciava alla perfezione: in Brasile non aveva più né padre né madre, sapeva giocare bene a calcio (il ruolo era quello del centrocampista offensivo), aveva un procuratore disinvolto, che gli aveva promesso l’Europa. Ma a un patto: camuffare l’anagrafe per ampliare le possibilità di trovarsi un acquirente. Del resto, alcuni provini non avevano dato i risultati sperati proprio per il fatto che Eriberto fosse già più che ventenne. Il gioco sembrava facile. In fondo un nome è solo un nome e la data di nascita solo un numero dichiarato a un pubblico ufficiale. Nessuno, in questa filiera di inganni organizzati, ebbe nulla da obiettare. Così il vero Luciano Siqueira de Oliveira, nato a Rio de Janeiro nel 1975, diventò il falso Eriberto da Conceição Silva, classe 1979. Quando il Bologna lo acquistò nell’estate del 1998 per 5 miliardi dal Palmeiras lui era già comodamente adagiato da due anni nella sua nuova identità. Il direttore sportivo Oreste Cinquini l’aveva scelto per la sua corsa, e non sbagliava, com’ebbe modo di apprezzare il 31 ottobre 1998, quando a Venezia Eriberto prese palla nella propria area di rigore e avanzò per tutta la lunghezza del campo, segnando un gol che a molti ricordò quello di Maradona ai Mondiali del 1986. Era nata una stella? Quasi. La qualità delle prestazioni del brasiliano divenne sempre più rarefatta e incostante. Anche se il 1998-99 fu l’anno più importante del Bologna (la cavalcata fino alla semifinale Uefa, le semifinali di Coppa Italia, il vittorioso spareggio per la qualificazione alla Coppa Uefa successiva contro l’Inter), Eriberto si guadagnò soltanto 19 apparizioni in campionato, rimanendo una presenza abituale solo per le gare europee. Confermato anche per la stagione successiva – chi non rinnoverebbe la fiducia a un talentuoso diciannovenne sudamericano dopo un solo anno di serie A? – Eriberto entrò nel vortice di autodistruzione da cui sarebbe uscito solo due anni dopo, confessando l’inconfessabile. Nel gennaio del 2000, dopo una serata in cui l’alcol era stato tra i protagonisti principali, fu trovato contromano sui viali di circonvallazione. L’incidente non provocò vittime, ma ruppe la fiducia che la società e i tifosi avevano riposto in lui. Fu facile, a quel punto, individuare le cause del suo alterno rendimento, vera o meno che fosse la sua passione per la vita notturna. Il Bologna non ebbe altra scelta che cederlo, prima in comproprietà e poi a titolo definitivo. Chi scommise su Eriberto fu il Chievo Verona, la miracolosa squadra di Luigi Delneri che al debutto assoluto in serie A riuscì a classificarsi al quinto posto e a conquistare la qualificazione in Coppa Uefa. In quel gruppo, Eriberto si rivelò uno dei migliori, facendo dimenticare in fretta il suo chiaroscuro periodo bolognese. Le prestazioni in gialloblù gli valsero così la chiamata della Lazio di Cragnotti, che era già pronto a sborsare 18 milioni di euro, ma a Roma in realtà non mise mai piede. Poco prima di passare alla squadra biancoceleste, Eriberto fuggì in Brasile, dove sentì l’urgenza di confessare chi fosse veramente. Il caso deflagrò a Rio de Janeiro il 22 agosto 2002, a pochi giorni dall’inizio del nuovo campionato. «Il mio vero nome è Luciano Siqueira», dichiarò in un’intervista concordata con i suoi agenti, «e sono nato il 3 dicembre 1975 a Boa Esperança. Un procuratore mi disse che avrei potuto far fortuna solo con un’età inferiore. Così mi portò l’atto di nascita di un altro ragazzo della località, di circa quattro anni più giovane». La notizia fece subito il giro del mondo. Per quanto le ragioni dell’ex Eriberto non fossero del tutto biasimevoli, restava l’inquietante interrogativo su come fosse riuscito a eludere i controlli anagrafici di due continenti, perché a tutti era ormai chiaro che senza quella dichiarazione spontanea la vera identità di Luciano non si sarebbe mai palesata. Perché allora decise di rivelarsi, a costo di mettere a repentaglio la sua carriera? «Più passava il tempo e più mi facevo delle domande», raccontò il giocatore. «Sarei potuto andare alla Lazio e guadagnare tanti soldi, ma non riuscivo più a reggere il peso della bugia. E poi voglio che mio figlio possa portare il mio nome». Togliersi quel macigno non fu né indolore né economico. Scampato alla legge brasiliana, dovette quietare le richieste del contadino dello stato di Rio cui erano state rubate le generalità e al quale l’occasione di far causa a un connazionale miliardario e famoso sembrava troppo ghiotta per lasciarla passare sottotraccia. Infine arrivò la giustizia italiana, che squalificò Luciano-Eriberto per 6 mesi, pena ridotta di un anno per l’ammissione del giocatore e per il suo fin troppo palese pentimento. Va da sé che il trasferimento alla Lazio ovviamente saltò. Rientrerà in campo il 26 gennaio 2003, ancora con il Chievo, maglia che non tradirà mai, a eccezione di una rapida apparizione all’Inter che servì a dimostrare quanto poco adatto fosse il suo modo di giocare per i nerazzurri. Da allora, Eriberto è morto (pure sulle figurine Panini, prontamente aggiornate) ed è nato Luciano, l’unico calciatore ad aver giocato nel Bologna con un nome di battesimo falsificato.