Tiro fiacco, rete
Romano Fogli (1938-)
Al Bologna dal 1957 al 1968; 344 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 21-9-1958, Bari-Bologna 0-0
«Il ragazzo era minuscolo e spicciolo, uno stuzzicadenti che invece di infilare l’oliva dell’antipasto, infilava a dovere le sequenze della palla di cuoio». Bruno Roghi de «La Gazzetta dello Sport» non esagerava, quando descriveva i 65 chili per un metro e 72 di Romano Fogli, pistoiese di Santa Maria a Monte, classe 1938, destinato a lavorare alla Piaggio di Viareggio se non fosse stato così forte con il pallone da essere ingaggiato dal Torino. «Dopo la scuola media», raccontò il mediano ricordando gli anni dell’adolescenza, «ero andato a lavorare con amici, anziché starmene in giro per il paese. Mi ero dato da fare nella costruzione delle vespe e dell’Ape, sarei finito di sicuro in quell’indotto». E invece a diciott’anni era già in serie A, subentrando al posto di Enzo Bearzot. Tre anni in granata gli bastarono per farsi notare da Renato Dall’Ara, che nel 1957, stanco di perdere e di essere contestato dai tifosi, avviò un lento processo di rinnovamento dell’organico. Cominciarono allora ad arrivare i futuri campioni d’Italia: Pascutti dal Torviscosa, Pavinato dal Vicenza, Perani dall’Atalanta, Fogli dal Torino, fino ai pezzi da novanta che completarono il mosaico: Janich, Haller, Negri e ovviamente l’allenatore che seppe coagulare tutti quei talenti, Fulvio Bernardini. Romano Fogli è stato un mediano moderno, di corsa e di intuito. Sapeva in anticipo come si sarebbero sviluppate le trame di gioco e agiva di conseguenza. Dalla sua posizione arretrata non aveva accesso preferenziale ai corridoi che portavano al gol. Ma una sua rete, tra le sette che mise a segno in 285 presenze in campionato con il Bologna, sbloccò al 15° minuto lo spareggio scudetto del 1964. «Tiro fiacco… rete!», commentò Nicolò Carosio, per descrivere la rasoiata di Fogli che trafisse Sarti. Di quel gruppo miracoloso fu anche uno dei primi ad andarsene. Restò sulla breccia fino al 1968, poi arrivò il Milan di Nereo Rocco, che scommise sull’esperienza dei suoi trent’anni per aumentare il tasso tecnico di una squadra destinata a vincere Coppa dei Campioni e Intercontinentale. Chiuderà la sua carriera a Catania, prima in A e poi in B. Stanco di vedersi passare davanti i più giovani, fu lui stesso a comunicare al presidente Massimino l’intenzione di smettere. Ma il calcio restò sempre il suo pane quotidiano. Fu allenatore senza grandi allori (Reggiana, Foggia, Livorno, Montevarchi, Siena, persino Bologna in una breve e sconfortante parentesi per evitare inutilmente la serie C nel 1992), ma poi divenne apprezzato collaboratore di Giovanni Trapattoni nella Fiorentina, in lotta per lo scudetto nel 1998, e vice di Claudio Gentile all’Under 21 campione d’Europa e bronzo olimpico nel 2004. Dietro le quinte, fu osservatore al servizio del commissario tecnico Lippi nella Nazionale destinata a vincere il Mondiale nel 2006. Un pezzo di quel titolo, lui che dall’Italia fu escluso brutalmente dopo la sconfitta con la Corea del 1966, è anche suo.