Il Pelé di Baviera
Helmut Haller (1939-2012)
Al Bologna dal 1962 al 1968; 208 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 16-9-1962, Bologna-Vicenza 2-1
«C’ho un tedesco che vale tre volte Sivori». Renato Dall’Ara non aveva ancora conosciuto di persona Helmut Haller e già era sicuro di avere tra le mani un campione. Glielo suggerì il fidato Raffaele Sansone, ex centrocampista pluridecorato degli anni Trenta, trasformato in un infallibile talent scout. Il presidentissimo giurò di aver scoperto Haller (o “Aler”, come lo pronunciava lui) grazie alla televisione, guardando una partita tra Germania Ovest e Cile del 1960. Certo è che da quel momento il pupillo non uscì più dai suoi radar. Sansone fu mandato tre volte oltre il Brennero per prendere contatti con questo talento bavarese rubicondo, che si divideva tra le partite di calcio con l’Augusta, la squadra della sua città natale, e l’attività di camionista per far quadrare i conti di una famiglia in cui lui risultava settimo di nove figli. I soldi italiani (45 milioni per i primi due anni) alla fine fecero breccia nell’animo del giovane Helmut, già padre e sposato con la moglie Waltraud, attentissima ai bilanci familiari. Quando arrivò il momento della firma, Dall’Ara volle salire in Germania per esser sicuro che non ci fossero intoppi. Andò tutto bene, ma nel viaggio di ritorno la sua Mercedes finì fuori strada, tradita da una curva. «Ma chi se ne importa della macchina, l’importante è che il contratto sia salvo», sbuffò Dall’Ara uscendo dal veicolo mezzo ribaltato. Sapeva in cuor suo che quel tedesco gli avrebbe portato fortuna, nell’annoso tentativo di tornare a vincere in Italia. L’ultimo scudetto era ancora quello del 1941. Ma intanto quella scommessa gli era già costata 750.000 marchi tedeschi e una Mercedes da ricomprare. L’estate del 1962 si trasformò così nella grande attesa per il tedesco, che fu inizialmente sistemato nel palazzo di proprietà di Dall’Ara, in via Amendola 12, perché fosse tentato il meno possibile dalla bella vita. Il Bologna partì in quarta, con nove gol nelle prime tre partite, di cui quattro di Nielsen, il futuro litigioso alter ego caratteriale di Haller. Un brusco stop con la Juventus alla quarta giornata non impedì, una settimana dopo, di dilagare sul Modena. Fu il famoso 7-1 che fece dire a Bernardini la storica esclamazione: «Così si gioca solo in Paradiso», generalmente riferita alla squadra dello scudetto del 1964. E invece già due anni prima, anche grazie all’arrivo di Haller, i sintomi della predestinazione al Paradiso c’erano già tutti. Quel Bologna non vinse lo scudetto per sette punti, più o meno la distanza del doppio confronto diretto perso con la Juventus più qualche altro passo falso di troppo. In ogni caso, il nucleo vincente c’era già. Bisognava solo aggiungerci un portiere affidabile, che non tardò ad arrivare l’anno successivo. Quel portiere era William Negri del Mantova. Con otto reti al suo esordio, Haller apparve subito come il fantasista di qualità che mancava a un ingranaggio quasi perfetto. A Bernardini il giocatore piaceva da morire; l’uomo, invece, lasciava un po’ a desiderare per la sua innata propensione alle gozzoviglie e i piaceri. Più che tedesco, si notò all’epoca, Haller sembrava un napoletano del Nord. Tatticamente, però, le cose funzionavano a meraviglia. Per far convivere il nuovo arrivato con la vecchia guardia, Bernardini arretrò Bulgarelli in regia e lasciò libero Haller di sciogliere le briglie al suo genio, sempre con il contraltare geometrico e preciso del mediano Romano Fogli. Nell’anno dello scudetto, il 1963-64, Haller segnò un gol in meno ma risultò sempre decisivo, soprattutto dal dischetto: ben tre partite (con Sampdoria, Roma e Lazio) furono vinte 1-0 con i suoi rigori infallibili. L’apogeo di Haller fu raggiunto quando il Bologna cominciò a declinare: undici reti nel torneo 1964-65, terminato con l’umiliante lancio degli abbonamenti strappati ai giocatori dopo l’ultima sconfitta casalinga; addirittura dodici nel 1965-66 quando in panchina s’era insediato Luis Carniglia. Il 1966 era però anche l’anno dei Mondiali, ed Helmut Haller, nel pieno della sua maturità, non poteva che prendervi parte. Sarà stata la delusione per l’infame arbitraggio che condusse alla vittoria l’Inghilterra, o gli strascichi dei litigi con Nielsen, fatto sta che Haller si concesse solo altre due stagioni in una Bologna che ancora l’adorava nonostante i chili di troppo. Fu il presidente Goldoni a fare quello che Dall’Ara non avrebbe mai potuto nemmeno pensare: vendere Haller, e venderlo alla Juventus. Spaventato da un bilancio che gridava 300 milioni di perdite, il numero uno dei rossoblù fissò proprio a quel prezzo il cartellino del tedesco. Con quel sacrificio, che a molti parve una liquidazione, iniziò l’inesorabile marginalizzazione del Bologna dal consesso delle grandi. Incapace di trattenere i campioni, la società si avviava a replicare lo stesso format anche con Beppe Savoldi, ceduto al Napoli a metà degli anni Settanta, e l’avrebbe fatto anche con la bandiera Giacomo Bulgarelli, se non fosse stato per l’intervento decisivo di Edmondo Fabbri. In bianconero Haller giocherà e incanterà per altre cinque stagioni, disputerà ancora un Mondiale e vincerà due scudetti (perdendo però una finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax di Cruijff), prima di tornare in patria e rimanere sulla breccia fino a quarant’anni suonati, nelle file dell’Augusta. Fu uno dei pochi giocatori a essere amato e rimpianto sia dai tifosi del Bologna sia da quelli della Juventus. È morto nel 2012, tre anni dopo Bulgarelli, tre prima di Nielsen. Una statua davanti allo stadio dell’Augsburg lo ricorda in eterno.