La sfortuna del portiere

Carlo Ceresoli (1910-1995)

Al Bologna dal 1936 al 1939; 81 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 13-9-1936, Alessandria-Bologna 0-1

I bergamaschi hanno sempre fatto la fortuna del Bologna. E spesso viceversa. Da Marino Perani a Beppe Savoldi, da Tomas Locatelli a Manolo Gabbiadini, la stirpe orobica ha sempre piantato buone radici. La tradizione cominciò negli anni Trenta con Carlo Ceresoli, acquisto eclatante dell’estate 1936, quando Renato Dall’Ara, pare eccitato dai consigli del suo allenatore Árpád Weisz, strappò all’Ambrosiana Inter nientemeno che il portiere titolare, in un’epoca in cui questo ruolo veniva quasi sempre considerato intoccabile. Al momento dell’acquisto, Ceresoli godeva ancora della fama conquistata a Londra nel 1934, la celebre “battaglia di Highbury”, quando con gesto plastico parò un rigore a Eric Brook, uno specialista infallibile della disciplina. La partita finì comunque con la vittoria degli inglesi, ma quel calcio di rigore neutralizzato al primo minuto entrò nella storia, ovviamente sulle pagine dell’epica sportiva italiana, ai tempi in cui l’Inghilterra era ancora un campo imbattibile. Persino Guglielmo Marconi si complimentò con Ceresoli per quella prodezza. Prima della sua vita interista, il futuro portiere rossoblù era stato innanzitutto il fidato guardiano della porta atalantina. Bergamasco verace, si allenava in strada per le vie della sua città, finché nell’Ardens Bergamo non trovò una prima collocazione ufficiale. Da lì all’esordio in Prima divisione con l’Atalanta il passo fu breve. Non svettante (sfiorava senza superarlo il metro e ottanta), filiforme ed elastico, indossava sempre un elegante maglione a collo alto chiaro, che negli anni Sessanta lo avrebbe fatto somigliare a un filosofo esistenzialista. L’intuizione di Weisz, che l’aveva allenato all’Inter, era giusta: per sostituire l’intramontabile Mario Gianni, che aveva segnato un’epoca dal 1924 al 1936, occorreva un altro numero uno assoluto. E quell’uno era Carlo Ceresoli. La vittoria del quarto scudetto nel 1936-37, il secondo consecutivo, confermò quell’assunto. Pur non risultando né il miglior attacco né la miglior difesa del campionato, il Bologna fu campione d’Italia con tre punti di vantaggio sulla Lazio. L’anno successivo, Ceresoli respirò di nuovo l’aria inebriante d’Inghilterra, battendo il Chelsea a Parigi nella finale del Torneo dell’Esposizione, il primo successo di un’italiana su una squadra inglese. Nel 1938-39 altro scudetto, il quinto della storia rossoblù. Un portiere così avrebbe potuto ripetersi anche in Nazionale. Vittorio Pozzo gli diede due grandi occasioni, ma la sfortuna perseguitò Ceresoli impedendogli di giocare proprio i due Mondiali in cui l’Italia si laureò campione. Designato come titolare per il Torneo del 1934, quello che si sarebbe disputato in Italia, si procurò un infortunio a un braccio parando un tiro di Pietro Arcari quando mancavano poche settimane al debutto. Riprese possesso dei pali solo in novembre, e proprio nella famosa battaglia di Highbury, nella quale evidentemente doveva aver riversato tutta la sua rabbia repressa, vista la foga con cui s’avventò sul rigore di Brook. Il 1938, all’apice della carriera e dei successi con il Bologna, poteva essere finalmente il suo anno, ma anche quattro anni dopo la sfortuna non aveva cambiato bersaglio. A tredici giorni dalla prima partita con la Norvegia, un nuovo infortunio fermò Ceresoli. Non potendolo più sostituire, il commissario tecnico Vittorio Pozzo decise di tenerlo nella comitiva. Ma in campo scese sempre il secondo, Aldo Olivieri. E al portiere rossoblù non rimase altro che guardare il Mondiale dalla panchina, salutando per sempre la Nazionale, mentre i compagni alzavano la seconda Rimet sotto i suoi occhi.