Il dilettante olimpico

Axel Pilmark (1925-2009)

Al Bologna dal 1950 al 1959; 278 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 10-9-1950, Bologna-Roma 3-1

Era un meccanico di Copenaghen il cervello del centrocampo rossoblù degli anni Cinquanta. Nessuno aveva visto giocare Axel Pilmark prima del suo sbarco a Bologna nel 1950. Nessuno, a parte il suo connazionale Ivan Jensen, che già da un anno dirigeva il traffico nella linea mediana rossoblù. Fu lui a consigliarlo a Renato Dall’Ara: «Lo prenda, è più bravo di me». Il presidente si fidò e si ritrovò una delle coppie di centrocampisti più affidabili e longeve della serie A. Al suo arrivo in Italia, il curriculum di Pilmark parlava solo di un trascorso al Kjøbenhavns Boldklub e di diciotto presenze nella Nazionale danese, con cui aveva conquistato la medaglia di bronzo ai giochi olimpici di Londra del 1948. Che ci fosse del buono in Danimarca, e in tutta l’area scandinava, lo stavano dimostrando segnali inconfutabili: l’Atalanta si era buttata su Karl Aage Hansen e Jørgen Leschly Sørensen; il Milan aveva fatto addirittura tris, importando dalla Svezia il trio formidabile Gre-No-Li (Gren, Nordahl, Liedholm). Poteva un animo curioso ed eccitabile come Dall’Ara non farsi contagiare dalla febbre del Nord? A favorire la calata dei vichinghi era anche la legislazione del calcio danese d’allora, che non inquadrava i calciatori in una dimensione professionistica. La Danimarca ammetteva infatti in Nazionale solo chi giocava nel proprio campionato da semidilettante. Il passaggio ad un campionato estero equivaleva automaticamente alla perdita di questo status e all’addio alla possibilità di essere convocati. Se per questi motivi non fu facile convincere Pilmark a migrare verso sud, fu invece immediata l’intesa con il suo ex compagno di Nazionale Jensen, che non aveva affatto esagerato quando descriveva le qualità dell’amico. «Ha in testa il quadro della partita», così Bruno Roghi de «La Gazzetta dello Sport» su Pilmark, «ha ricevuto da natura il talento tattico, meno teatrale ma più fecondo del talento tecnico. Gioca bene per conto suo, gioca benissimo per conto di tutta la squadra. In lui le doti del tessitore armonizzano le doti del guastatore perché alla sua intelligente destrezza nello stimolare il gioco degli attaccanti corrisponde il vigore gladiatorio dell’atleta che della sua retroguardia fa una zona proibita». Con la loro nordica compostezza, dentro e fuori dal campo, i due diventarono anche un modello per i giovani. Ma mentre Jensen, tre anni più anziano, lasciò il Bologna e il calcio nel 1956, Pilmark proseguì fino al 1959, saltando pochissime partite. Chiuderà la carriera in rossoblù con 274 presenze in campionato in nove stagioni, senza riuscire a riportare in alto il Bologna. Per breve tempo, nella stagione 1959-60, fu anche il vice del tecnico Federico Allasio, il padre dell’attrice Marisa. Deluso dall’esperienza in panchina, Pilmark decise di tornare in patria per reinvestire i suoi guadagni italiani nel suo primo lavoro: aprì un’officina meccanica e ci lavorò a lungo. Non senza aver dato un ultimo decisivo consiglio al presidente Dall’Ara a proposito di un giovanotto danese di sicure speranze: «Prenda Harald Nielsen, non se ne pentirà».