L’ebanista
Bruno Maini (1908-1992)
Al Bologna dal 1926 al 1941; 320 presenze ufficiali.
Esordio in campionato: 3-10-1926, Bologna-Padova 5-1
Bernardo Perin stava tirando i remi in barca e occorreva un sostituto alla svelta. Hermann Felsner aveva saputo da qualche contatto di quartiere che nella “Vincente” giocava un ragazzo tutto scatto e nervi, che di lavoro faceva il falegname dalle parti di via Solferino. Andò a cercarlo. Quando lo trovò, intento a levigare un’asse di legno in un minuscolo bugigattolo, non si fece pensiero di attendere sulla porta. «Ragazzo, domenica giochi. C’è il Padova, fatti onore». Bruno Maini restò interdetto. Poco tempo prima aveva effettivamente firmato con il Bologna, ma non aveva la minima idea che sarebbe arrivata una chiamata alle armi così improvvisa. Oltretutto, il suo principale non sapeva niente di calcio e quasi venne alle mani con quello sconosciuto che osava entrare senza bussare soffiandogli il garzone sotto il naso. Felsner non fece una piega, tirò una boccata di fumo dal suo bocchino e girò i tacchi. Il 3 ottobre 1926, nel giorno del diciassettesimo compleanno del Bologna, il diciottenne Maini debuttò come s’era detto. Nelle riserve rossoblù il giovanotto di bottega giocava mediano, ma in quella partita fu messo all’ala destra. «Giocai con il cuore che mi saltava dalla gola alle ginocchia», raccontò anni dopo, «e riuscii a segnare anche un gol». Si ripeté anche la settimana dopo con il Livorno, una squadra nota per i suoi picchiatori. O gamba o pallone. A Maini presero la gamba. Tra l’infortunio e il lavoro in bottega il suo futuro da calciatore rischiava di perdersi definitivamente. Ancora una volta, fu Felsner a giocare un ruolo decisivo. Lo raccontò lo stesso Maini: «Quando il mio principale mi mise con le spalle al muro, obbligandomi a scegliere tra il pallone e la bottega, arrivò il Presidente del Bologna a contrattare direttamente con lui: “Quello che perdete nel lavoro ve lo compensiamo noi”». E così riprese a giocare, ripagando tutti gli arretrati di presenze e di gol. Nel 1929-30 segnò 20 reti in 30 partite, più di Schiavio e di Della Valle. L’anno dopo arrivò Carlo Reguzzoni dalla Pro Patria e con Maini formò la coppia di ali più forte della serie A, anche se dovettero aspettare il 1935-36 per vincere lo scudetto. Maini fu uno dei pochissimi calciatori di stampo moderno a giocare in tutti i ruoli: «Fuorché in porta», ricordava, «sono stato dappertutto. Senza dirmi niente mi consegnavano la maglia con il numero dietro», in un’epoca in cui era proprio il numero stampato a definire la posizione in campo. Terzino, ala, centravanti, centromediano. In definitiva, “jolly”. Anche in panchina. Durante la Seconda guerra mondiale, nei tornei organizzati tra un bombardamento e l’altro, Maini prese la guida della squadra, ma senza mai dimenticare il suo primo lavoro di ebanista. Da calciatore, chiuse in rossoblù nel 1941, con 293 presenze e 90 reti in campionato, e altre 19 apparizioni con 8 gol nelle Coppe europee. Pochi amarono il Bologna come lui.