L’italiano di ritorno

Hugo Giorgi (1920-n.d.)

Al Bologna dal 1947 al 1949, 22 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 15-4-1948, Bologna-Vicenza 2-1

L’Audax italiano era un’associazione sportiva cilena fondata da emigrati italiani residenti a Santiago. La sua iniziale vocazione, quando fu istituito nel negozio di cappelli del signor Alberto Caffi, era il ciclismo. Ma il calcio ebbe rapidamente il sopravvento anche in terra cilena e il club dovette adeguarsi alle nuove tendenze, passando dal manubrio alle scarpe chiodate. Prima del 1957, l’Audax contava già quattro titoli nazionali. La premessa è d’obbligo per capire il motivo che spinse il Bologna a rivolgersi a questa squadra dell’altro mondo, pescando dai suoi ranghi l’attaccate italo-argentino Hugo Giorgi, nato nel 1920 a Coronel Bogado, in territorio paraguaiano. Che in Sudamerica fosse considerato un campione non ci sono dubbi: dal 1944 al 1947 gli erano stati attribuiti 58 gol in 67 partite, senza contare quelli segnati al River Plate (con cui aveva vinto due titoli) e al Gimnasia La Plata. L’unico problema era che nessuno lo aveva mai visto giocare. Quando si presentò a Bologna ci si aspettava di vedere un giovane prestante di 27 anni, tanti quanti ne erano stati dichiarati al momento dell’acquisto. Ma fu chiaro a tutti che quell’età era solo un numero generosamente sgrondato di qualche primavera. L’impatto con il calcio italiano fu un mezzo trauma. Giorgi sembrava il lontano parente dei racconti che avevano preceduto il suo arrivo. Ma la realtà era anche un’altra: il massimo campionato cileno non valeva nemmeno la terza serie italiana. Giorgi restò così confinato tra le seconde linee, riuscendo a esordire solo nella primavera del 1948 e segnando appena cinque reti in due stagioni. Sbarcato in Italia come un fenomeno (e forse nella sua precedente vita agonistica lo era stato davvero) se ne andò con le stimmate del bidone, senza peraltro smentire i sospetti di chi gli attribuiva un’età ben superiore ai trent’anni. Fu il primo grossolano errore di valutazione di Renato Dall’Ara nel dopoguerra. Ma la lezione servì: il Sudamerica non era più la miniera inesauribile dei campioni oriundi che arrivavano in Europa con la valigia di cartone.Il calcio non concedeva più il beneficio del dubbio.