L’uomo col pallone
Benito Álvarez Buylla Y Lozana (1879-1941)
Nessuna presenza in partite ufficiali.
«Tutti i giorni un giovanottone spagnolo di nome Builla [sic], conduttore del Collegio di Spagna, arrivava verso una certa ora, con il magico pallone sotto il braccio. E poi, sotto a chi tocca, tutti a sgambare e a calciare…». Il “giovanottone” citato nel primo volume storico dedicato ai cinquant’anni del Bologna era Benito Álvarez Buylla, che fu prima ospite e poi rettore del Collegio di Spagna. Il Real Colegio de España en Bolonia, il più antico al mondo aperto a studenti stranieri, è ancor oggi gestito come istituzione privata che non riceve sovvenzioni e contributi pubblici. Ospita i migliori studenti selezionati nelle università spagnole con un concorso su basi di merito: i borsisti sono conosciuti nel mondo accademico iberico come bolonios. Anche Buylla, insomma, era uno di questi bolonios, proprio come Antonio Bernabéu, tra i primi fondatori del Bologna Football Club. Il merito storico di Buylla è stato riscoperto solo di recente, grazie a una foto in bianco e nero scattata il 4 novembre 1906 ai Prati di Caprara. Vi si scorgono due gruppi di squadre, schierati in posa verosimilmente prima di una partita. In divisa bianca i giocatori del Felsineo; in maglia a scacchi quelli di Ferrara. Un derby ante litteram, quando ancora non esistevano né il Bologna né la Spal. Buylla svetta in piedi tra quelli del Felsineo, alto, baffi neri, riga in mezzo ai capelli. A pochi metri da lui un altro volto destinato a diventare familiare alle narrazioni rossoblù: è quello di Louis Rauch, l’odontoiatra svizzero, il primo presidente del Bologna. Quella partita, terminata 3-3, è ancor oggi la sfida più antica documentata sul campo dei Prati di Caprara, nell’epoca in cui i pastori affittavano ancora dal demanio i pascoli per le pecore. Pochi cerimoniali, quando si raggiungeva il numero sufficiente per formare due squadre. Quattro giacche a terra per disporre i pali delle porte e il pallone poteva cominciare a rotolare. Già, il pallone. Non era affatto semplice procurarsene uno. Solo selezionatissimi negozi di articoli sportivi erano riusciti a farsi arrivare i palloni in cuoio che si usavano già da anni in Inghilterra. Buylla era riuscito a procurarsene uno, e per questo era diventato di diritto “l’uomo del pallone”, il più indispensabile di tutti, senza il quale giocare a calcio era semplicemente impossibile. Attorno a lui, insomma, si coagulò il primo gruppo di appassionati, desiderosi di uscire dai rigidi regolamenti delle società di ginnastica per avviarsi a una vera autonomia organizzativa. «La stagione del foot ball è cominciata, non ufficialmente, ma di fatto», scrive profeticamente nel settembre 1909 su «La lettura sportiva» Guido Della Valle, da lì a un mese tra i co-fondatori del Bologna Football Club, «e colla nuova stagione il foot ball prenderà uno sviluppo molto maggiore degli anni precedenti, non solo con matches che avranno luogo numerosissimi, ma anche colla fondazione di nuove società». Un presagio sorretto evidentemente da informazioni di prima mano. Perché il terzino Buylla non giocò mai ufficialmente una gara con il neonato Bologna pur avendo contagiato tutti con la sua passione? Forse a causa dell’età non più giovanissima. Ma più probabilmente per i suoi numerosi incarichi, non compatibili con l’attività agonistica. Buylla apparteneva infatti a un’illustre famiglia asturiana, i cui membri per oltre un secolo e mezzo s’erano segnalati a Oviedo come sindaci, medici, professori universitari, avvocati e militari di rango. Suo padre era il professore di diritto Adolfo Álvarez-Buylla. I fratelli Plácido e Vicente erano entrambi diplomatici e scrittori. È probabile che Benito Buylla già nel 1907 fosse rientrato in Spagna, lavorando all’Università di Oviedo come assistente di Chimica generale, cattedra che avrebbe poi ottenuto dieci anni più tardi. Parallelamente, però, aveva iniziato a occuparsi di giornalismo, fondando insieme a Ramón Pérez de Ayala il giornale satirico «El Leño» e pubblicando contributi e poesie con lo pseudonimo di “Silvio Itálico”, chiara memoria dei tempi spesi a Bologna. Già nel 1907 la doppia natura di poeta e di chimico si manifestò con l’uscita di due libri, la raccolta poetica Anime gemelle e un testo sui reattivi di Grignard. Ma l’anima sportiva non era stata tradita. Nel 1915, ormai troppo in là con gli anni per tornare in campo, diventò presidente del Real Stadium Ovetense, la squadra che undici anni dopo, fondendosi con il Real Club Deportivo Oviedo, diede vita all’attuale Oviedo. Morì l’8 dicembre 1941. Nessuno, però, gli chiese più indietro il pallone.