L’uomo-scudetto

Giovanni Ferrari (1907-1982)

Al Bologna nel 1940-41; 20 presenze ufficiali.

Esordio in campionato: 6-10-1940, Bologna-Roma 2-1

Prima ancora che giocare, il suo mestiere era quello di vincere. Alla fine della sua carriera contò otto scudetti, unico calciatore italiano ad averli conquistati con tre squadre diverse (Juventus, Inter e Bologna). A questi titoli Giovanni Ferrari aggiunse due Mondiali nel 1934 e nel 1938. Se si contano anche la doppia Coppa Italia (con l’Inter nel 1938-39 e con la Juventus nel 1941-42) e la Coppa Internazionale con la maglia azzurra nel 1935, si può dire che non passò mai uno solo dei suoi ultimi dodici anni di carriera senza vincere qualcosa. Figlio di modesta famiglia, crebbe nel popolare quartiere della Canarola di Alessandria, uno dei più poveri della città, che prendeva il nome da un canale di scolo che l’attraversava. Quasi una fogna a cielo aperto. Per guadagnarsi da vivere s’era trovato un lavoretto come aiuto-commesso in un negozio di tessuti. Il calcio era la passionaccia del tempo libero, giocato da monello di strada. Però erano bastate quelle esibizioni improvvisate per farlo segnalare all’Alessandria, che lo mise in campo sedicenne. Mezzala vera, tra le migliori della sua generazione e di sempre. «Funzionava a colpi regolari di stantuffo», lo descriveva il giornalista ed ex calciatore Ettore Berra, «uno dopo l’altro, continui, implacabili. Giocatore di tecnica sobria, poco portato a osare, costruiva la partita un’azione sull’altra, come le pietre di un edificio, le imbeccate pronte per tutti, gli occhi attenti a misurare l’ostacolo e a valutare una situazione tattica, un metodico che sembrava avere un misterioso senso del ritmo», oltre che uno spiccato fiuto per il gol. Ne seppe qualcosa l’Alessandria, che si lasciò tentare dalle 5.000 lire offerte dall’Internaples di Napoli salvo poi sborsarne più del doppio per ricomprare il gioiello l’anno seguente, dopo averlo visto segnare più gol di quante partite avesse giocato. Con la Juventus, dal 1930 al 1935, fu tra i protagonisti indiscussi del leggendario Quinquennio, ovvero i cinque scudetti consecutivi. Andato via lui, i bianconeri dovettero lasciare il palcoscenico delle vittorie a Inter e Bologna, guarda caso le due squadre in cui si trovò a giocare tra il 1935 e il 1941, mentre Vittorio Pozzo si beava delle sue prodezze, decisive per la conquista dei Mondiali del 1934 e del 1938. In campo però non dava mai l’impressione di giocare per il proprio tornaconto. Se ne ebbe una dimostrazione pratica quando l’Arsenal offrì una cifra stratosferica per strapparlo all’Inter. Ferrari rifiutò un trasferimento che avrebbe avuto risvolti clamorosi: fino a quel momento, mai era successo che i maestri inglesi si “abbassassero” a rivolgersi al mercato italiano. Fu Tony Cargnelli, futuro allenatore del Bologna, a oscurare la fama di Ferrari, spesso accantonato in favore di Enrico Candiani. Nella stagione 1939-1940, a poco più di un anno dalla conquista della Coppa Rimet, Ferrari era ormai diventato una riserva. E pur mettendo in bacheca il suo settimo scudetto, decise che era tempo di cambiare aria. La notizia del divorzio tra l’Inter e Ferrari attizzò subito l’interesse di Hermann Felsner, tornato da due anni a fare il bello e il cattivo tempo sulla panchina del Bologna. Con la sagacia del grande gestore, capì che anche con trentatré anni sulle spalle la grande mezzala avrebbe potuto inoculare la sua esperienza in un gruppo già quasi perfetto. Ferrari accettò quel ruolo a mezzo servizio, alternandosi spesso con Piero Andreoli e Raffaele Sansone, anche loro ultratrentenni. Fu il Bologna dei veterani, una delle migliori squadre di quel decennio, capace di vincere lo scudetto con parecchie giornate d’anticipo: era il sesto titolo della sua storia, l’ultimo del ciclo dello «squadrone che tremare il mondo fa». Ma per Ferrari era addirittura l’ottavo. Nella stagione successiva ritornò alla Juventus nel doppio ruolo di calciatore-allenatore. La sua ultima partita di campionato fu il 1º febbraio 1942, proprio contro il Bologna, la squadra che gli ha consentito di diventare il calciatore più vincente d’Italia, prima che s’affacciassero gli anni Duemila e i nuovi record della Juventus.