Il pioniere
Emilio Arnstein (1886-1976)
Fondatore del Bologna Football Club e presidente nel 1910
Il Bologna Football Club non sarebbe mai esistito senza l’entusiasmo di un ventitreenne boemo arrivato in città nel 1908 e capace, in meno di un anno, di radunare attorno a sé il primo nucleo operativo di una squadra di calcio. Alle esperienze pionieristiche Emilio Arnstein non era affatto nuovo: nel 1906, assieme al fratello, era stato fondatore e primo calciatore del Black Star di Trieste, affiliato alla federazione austriaca e poi soppresso dalle autorità italiane dopo la fine della Grande Guerra. In quel gruppo, pieno di calciatori inglesi e boemi, si erano svolte le prove generali di convivenza e di organizzazione, utili ai futuri pionieri del Circolo Turistico Bolognese. Arnstein fu sempre molto orgoglioso della sua creatura triestina e non a caso, da vicepresidente rossoblù, nel 1911 volle che il Bologna s’avventurasse nella sua prima trasferta all’estero proprio contro le sue ex Stelle Nere. All’epoca, infatti, Trieste era ancora città dell’Impero austro-ungarico e fu necessario sbrigare tutte le faccende doganali per portare la squadra oltre il confine italiano. La visita del Bologna fu poi ricambiata due settimane dopo, con Arnstein sempre nei panni di infaticabile e preciso organizzatore, come dimostra anche la scrupolosissima lettera inviata al sindaco di Bologna affinché concedesse la presenza di qualche guardia municipale a vigilare e a mantenere libero il campo dagli spettatori durante il primo incontro di prestigio della storia rossoblù: era il 20 maggio 1910 e l’avversario era nientemeno che l’Internazionale. Fu in assoluto il primo tentativo di organizzazione logistica di una partita di calcio della storia bolognese. Tentativo, sì, perché dagli archivi comunali emerge che la lettera fu visionata solo il 22 marzo, a evento ormai celebrato. Arnstein rimase sempre un uomo del fare. La sua esperienza nel mondo del calcio gli aveva conferito l’attitudine a prendere sul serio ogni passo della vita quotidiana del club, consapevole che solo l’ufficialità dei riti – dalle semplici amichevoli alle partite del Comitato Regionale Emiliano (di cui non a caso fu il primo e unico consigliere straniero, oltre che primo arbitro federale in Emilia) – fosse la condizione indispensabile per allungare la vita di quello sport ai primi vagiti. Può sembrare contraddittorio il suo atteggiamento sdegnato verso la “deriva” professionistica che prese il calcio da lì a pochi anni e che provocò il graduale allontanamento di Arnstein dai quadri rossoblù. In realtà, restare nell’alveo del dilettantismo era il naturale desiderio di chi voleva salvare lo spirito delle origini, quando le squadre si formavano attorno a un gruppo di amatori puri, non ancora traviati dalla fame di visibilità. Per il boemo l’unica ragione sociale di una squadra era il gioco e la sua realizzazione pratica, non le implicazioni economiche. Allontanatosi dalla società, condusse una vita riservata da agente di commercio, grazie alle numerose lingue che i natali mitteleuropei gli avevano consentito di imparare. Durante la stagione delle leggi razziali conobbe da vicino la tragedia delle deportazioni nei campi: cinque familiari ne fecero le spese, nonostante non risultasse da parte di Arnstein alcuna adesione alla comunità ebraica, né sui registri di Votice, la città di origine, né su quelli di Bologna. Del sodalizio dei primi rossoblù fu anche il rappresentante più longevo: morì a novant’anni, l’8 settembre 1976, in tempo per vedere tutte le vittorie della sua squadra, compresa la Coppa Italia del 1974, risparmiandosi le delusioni che sarebbero arrivate da lì a pochi anni.