52
Belle, Rangoon, tre mesi dopo
Belle appoggiò con cautela il pennello sul coperchio del barattolo di vernice, poi fece un passo indietro per ammirare la terza camera da letto che aveva completato, la muffa ormai sparita e le pareti fresche e luccicanti come la prima. Quella stanza, con la veranda che affacciava sul patio, quella che era sicura fosse appartenuta a sua madre, sarebbe diventata camera sua, anche se al momento le sue comodità materiali si limitavano a una branda da campeggio e a uno sgabello su cui sedersi. Quantomeno, però, erano state riallacciate le utenze, aveva un bagno, i pavimenti erano stati riparati e il tetto impermeabilizzato. Alcuni muri erano stati ristuccati, il cucinotto rudimentale era abbastanza funzionante da permetterle di preparare la colazione e il tè, e il salotto, per quanto spoglio, vantava un divano e due poltrone. Aveva riverniciato personalmente ogni stanza e, un poco alla volta, con la pittura bianca che ridava vita alle pareti, aveva osservato la sua nuova casa con una soddisfazione immensa. L’unica tristezza era dovuta al fatto che i suoi genitori non potessero essere lì per vederla.
Durante la settimana si occupava dei lavori in casa a ritmi febbrili, mentre i weekend erano riservati al nuovo posto come cantante al Silver Grill. Non era granché, ma per fortuna l’eredità ricevuta da suo padre bastava a coprire i lavori di ristrutturazione.
Mentre sciacquava i pennelli nel lavandino rettangolare della piccola lavanderia sul retro della casa, udì il cigolio della porta, ormai riparata, e l’arrivo di Oliver.
«La sua carrozza la sta aspettando, mia signora».
Sorrise. «Intendi dire che hai noleggiato un risciò».
Oliver scoppiò a ridere. «Beccato».
«Dammi il tempo di cambiarmi», disse lei, e indicò la camicia e i pantaloncini imbrattati di vernice.
Le andò incontro, le tolse di mano i pennelli e le diede un bacio sulla punta del naso. «Hai della vernice qui», disse. Poi le baciò la fronte. «E qui».
Mentre le baciava le guance, il collo e finalmente le labbra, lei reclinò indietro la testa, sperando in qualcosa di più.
«Resta a dormire da me stasera», le propose, il viso atteggiato a una maschera di fastidio. «Non penso che la mia schiena sia in grado di sopportare un’altra notte sulla tua brandina, specie quando alla fine finisco sempre sul pavimento».
Belle si rigirò l’anello di fidanzamento attorno al dito e lo guardò con un sorriso raggiante.
«Ma devo tornare presto. Ho ancora un sacco di cose da fare se voglio che sia tutto in perfetto ordine prima dell’arrivo di Simone».
Lui inclinò la testa e le rivolse uno sguardo interrogativo. «Verrebbe da pensare che è la regina d’Inghilterra».
Belle sorrise gioiosa, lieta di essere riuscita a scrivere a Simone e di averle comunicato tutto ciò che aveva scoperto. «È ancora meglio. E comunque, l’ultima volta che ho controllato avevamo un re».
«Indovina un po’?», fece lui. «Ho scovato degli splendidi pezzi di antiquariato in uno di quei negozietti cinesi vicino a casa mia».
«Pezzi costosi?»
«No… Quando parlo di antiquariato…».
«Intendi ciarpame».
Sorrise. «Bel ciarpame».
Belle lo prese a braccetto. «Mi servono delle lenzuola nuove e una trapunta imbottita».
«Per quelle c’è Rowe’s. Ma non stai dimenticando qualcosa?»
«I letti li ho già ordinati. Arriveranno dopodomani».
Andò al piano di sopra per lavarsi e cambiarsi e ripensò a quel lontano giorno del 1911 in cui la piccola Elvira era stata rapita dalla zia di Edward e Gloria. Dopo aver imbucato la lettera per Elvira, o meglio Emily, aveva vissuto in un’alternanza di ansia ed eccitazione. Poi, quando la risposta era finalmente arrivata, l’aveva aperta con mani tremanti. E in quel momento la tirò fuori di nuovo e la rilesse da capo, forse per la ventesima volta.
Mia cara Belle,
non so cosa dire. Sono sconvolta. Anzi, sono allibita, ma sono anche tanto, tanto emozionata e mi fa piacere sentirti. Nemmeno io ho avuto fratelli o sorelle, ma l’ho sempre desiderato. Mia madre – scusami, devo chiamarla così – be’, non è più riuscita ad avere figli. Purtroppo, ha dato alla luce soltanto me. Una bambina nata morta.
Lavoro qua a New York nel settore dell’editoria, sono sposata e ho un bambino di cinque anni che si chiama Charlie, cioè tuo nipote. Sarei felicissima di venirti a trovare a Rangoon, anche se dovrei sistemare alcune faccende rimaste in sospeso prima di essere libera di partire. Ci sono così tante cose che voglio sapere su di te e su Diana.
Dici che stai per sposarti. Se puoi farmi sapere la data precisa, e se riesco a liberarmi per tempo, mi piacerebbe essere presente, sempre che sia invitata, ovviamente.
Nel frattempo, con affetto,
tua Emily
Ogni volta che la rileggeva, sentiva gli occhi riempirsi di lacrime. Emily era davvero felice di aver ricevuto sue notizie o stava soltanto cercando di essere gentile scrivendole ciò che avrebbe voluto sentirsi dire? Belle sapeva che non doveva essere semplice per Emily accettare ciò che avevano fatto i suoi genitori, e fare i conti con una sorella che non aveva mai saputo di avere, ma le aveva risposto dicendole che sarebbe stato perfetto se fosse riuscita ad arrivare in tempo per il matrimonio.
Aveva pensato fosse meglio evitare di accennare a cosa era successo a Gloria ed Edward nelle sue due lettere, ma la indispettiva che Gloria avesse lasciato Rangoon e nessuno sapesse dove fosse finita. Aveva sfruttato la sua posizione influente e Belle era infuriata perché, a quanto pareva, l’avrebbe passata liscia e non avrebbe pagato per quello che aveva fatto. Edward, al contrario, era stato riconosciuto colpevole di aver ostacolato il corso della giustizia e stava ammuffendo nel carcere di Rangoon, dove avrebbe scontato una pena a diciotto mesi di reclusione. Tutti pensavano che la polizia l’avrebbe rilasciato e rispedito in Inghilterra con la coda tra le gambe, ma ciò non era accaduto grazie al giovane e coscienzioso avvocato della pubblica accusa, che non si era lasciato corrompere. In ogni caso, la reputazione di Edward ne era uscita distrutta e la sua carriera fatta a brandelli.
Belle chiuse la finestra, poi sfilò un paio di scarpe rosse con il tacco alto da sotto la branda e si mise degli orecchini d’argento. Un’ultima occhiata nel minuscolo specchietto per controllare i capelli ed era pronta.
Due giorni dopo, nel tardo pomeriggio, Belle passeggiava nell’atrio di casa sua e ammirava il pavimento di marmo appena tirato a lucido. Aveva comprato un delicato tavolo orientale dipinto a mano e un grazioso specchio dal “rigattiere” di Oliver, quindi l’ingresso, per quanto ancora piuttosto spoglio, adesso aveva un’aria più accogliente. Le pareti erano bianche e nell’aria aleggiava il profumo delle rose fresche sistemate in un vaso di vetro sul tavolino, che mascherava l’odore della vernice. Aveva piovuto per tutto il pomeriggio e, benché ormai avesse smesso, il cielo era rimasto cupo e minaccioso. Pregava che il maltempo non ritardasse l’arrivo di Simone.
Oliver, impegnato nell’organizzazione in cucina, stava cantando e stonava. Era stata felicissima di scoprire che era molto bravo a cucinare, un compito che non l’entusiasmava affatto, e nel suo appartamento avevano condiviso tanti gustosi manicaretti. Era stato durante una di quelle cene che Oliver l’aveva sorpresa inginocchiandosi, guardandola negli occhi e chiedendole di sposarlo. Cercando di non scoppiare a ridere, aveva osservato con attenzione il suo bel viso e l’inclinazione speranzosa della testa, ed era riuscita a sorridere e a dirgli di sì. Quando si era rialzato, gli aveva dato del vecchio sdolcinato, ma poi avevano bevuto una bottiglia e mezzo di champagne, avevano fatto l’amore pazzi di gioia, e da allora erano diventati inseparabili. La sua avversione per l’alcol, naturalmente, era stata dimenticata, e Belle preferiva di gran lunga la persona più rilassata che era diventata.
Oliver l’aveva anche sorpresa con una cucina elettrica, oltre a tegami, posate, stoviglie, bicchieri e provviste: tutta roba nuova di zecca consegnata da Rowe’s. Di conseguenza, ora disponevano di tutto il necessario per preparare la prima cena per Simone. Belle salì al piano di sopra per controllare la camera di Simone per la centesima volta. Il letto nuovo, di una comodità appagante, era pronto e rifatto con lenzuola di un bel bianco brillante e un morbido copriletto color avorio.
Finora Belle e Oliver non avevano discusso a fondo del futuro. Lui era preoccupato che potesse scoppiare un’altra guerra e, non essendo affatto sicuro di quali potessero essere le ripercussioni lì in Birmania, aveva suggerito di trasferirsi in America se la situazione si fosse complicata. Nonostante questo, non aveva obiettato quando lei aveva espresso il desiderio di ristrutturare la vecchia casa dei genitori, con la prospettiva di andarci a vivere se fossero rimasti in Birmania.
Mentre rifletteva su queste cose, Belle sentì bussare alla porta d’ingresso e, sullo slancio dell’emozione, si precipitò da basso per andare ad aprire.
Una bella donna di mezz’età, con i capelli biondi e gli occhi color ambra, ricambiò il suo sorriso. Belle, talmente elettrizzata dal fatto che stava finalmente conoscendo la vecchia amica di sua madre, la guardò raggiante e scese di corsa i gradini all’ingresso.
«Benvenuta», disse, tendendo entrambe le mani. «Non so neanche dirti quanto mi rende felice che tu sia arrivata».
Simone fece un passo avanti e le due si abbracciarono, dopodiché allontanò Belle da sé per guardarla meglio.
«E così tu sei Annabelle. Quanto somigli a tua madre».
«Davvero?».
La donna annuì. «Senti, non sono stata del tutto onesta con te». Lanciò un’occhiata alla sua sinistra e, appena oltre la sua visuale, un’altra donna con un elegante abito celeste fece un passo avanti.
Lì per lì, Belle pensò che quella donna dai capelli ramati dovesse essere sua sorella, ma era troppo avanti con gli anni per essere Elvira. Esitò, con la testa che le girava vorticosamente. No. Non poteva essere. Non poteva. Era impossibile. Belle non riusciva a guardarla, eppure non riusciva nemmeno a distogliere lo sguardo. Profondamente scioccata e con la sensazione che il mondo stesse rimpicciolendo attorno a lei, rimase pietrificata. Stava sognando? Aveva sbattuto la testa o qualcosa del genere? Era reale? Il silenzio si prolungò e Belle temette che non sarebbe mai più riuscita a respirare, ma alla fine, con un’esplosione di rumore, il sangue affluì verso le tempie, facendole martellare. Come se si stesse riprendendo da un incantesimo, boccheggiò, fece un passo indietro e andò a sbattere addosso a Oliver, che era apparso alle sue spalle. Le salì un groppo in gola e cercò di ricacciarlo indietro, ma iniziarono a bruciarle gli occhi e a quel punto si sciolse in un torrente di lacrime. Silenziose e devastanti. Aveva le vertigini, ma Oliver la sorresse e l’aiutò a mantenere l’equilibrio, e poi le porse un fazzoletto pulito. Mentre si asciugava gli occhi, Belle continuava a inghiottire le lacrime. Ora riusciva a mettere a fuoco l’intero giardino, con i tanti profumi deliziosi diffusi dal temporale, l’odore argilloso della terra, le foglie rinverdite sugli alberi e la nota fragrante dei fiori che erano sopravvissuti all’acquazzone. Al di là del nugolo di insetti sospeso sopra i cespugli carichi di pioggia, il temporale aveva lasciato il posto a un pomeriggio terso e cristallino.
In un primo momento, la donna inclinò la faccia per godersi il calore del sole e Belle riconobbe quel movimento familiare… oh, lo conosceva così bene. Poi, senza battere ciglio, con un’espressione calmissima, guardò Belle con i suoi occhi chiari e luminosi, come se fosse in procinto di sorridere ma stesse aspettando un segnale. “Da parte mia”, pensò Belle. “Sta aspettando che faccia il primo passo?”. Spostò il peso da un piede all’altro, sostenne lo sguardo della donna e, in quel momento, le fu tutto chiaro.
«Mamma?», sussurrò.
Diana annuì e mosse un passo in direzione di sua figlia.
«Ma tu sei…».
«Douglas decise che era la cosa migliore da fare».
Belle attese di scorgere il gran caos di passioni e ossessioni che un tempo aveva imperversato sotto la superficie della calma apparente di sua madre, ma non sembrava affiorare nulla, e si sentì confusa. Quella madre… quella madre con i capelli tanto ordinati e acconciati in un elegante chignon, quella madre con gli occhi chiari e la pelle perfetta, quella madre che aveva una postura così dritta e composta… chi era?
«Ma non sei mai venuta a cercarmi», sbottò allora, furibonda.
Sua madre fece un profondo respiro. «Sono venuta».
«Quando? Quando sei venuta?»
«Avevi quindici anni. Mi ero ripresa dalla mia malattia…».
«Ti eri ripresa? Ti eri ripresa?», la interruppe di nuovo Belle, travolta dalla rabbia e dal dolore che le stringevano un nodo alla gola. «Ma non sei tornata da noi».
«Io volevo vederti, ma tuo padre pensava che ti avrebbe scombussolata troppo, soprattutto quando ti aveva convinta del fatto che fossi morta. Diceva che ormai ti eri abituata all’idea».
Le lacrime ripresero a sgorgare, inarrestabili, e Belle le asciugò in fretta. «E tu hai lasciato che ti mandasse via? Io avevo bisogno di te, mamma. Io avevo bisogno di te».
Diana la guardò sconsolata e, anche se Belle poteva notare la devastazione negli occhi di sua madre, non riusciva comunque a tenere a bada la rabbia.
«Mi dispiace così tanto, amore mio».
«Dispiacersi non è sufficiente». Belle si voltò verso Simone e sentì di avere le guance in fiamme. In passato, non aveva mai saputo confrontarsi con la terra desolata della vita di sua madre. Lei e quella donna erano davvero la stessa persona?
Osservò attentamente Simone. «Quando ti ho scritto, perché non mi hai detto che mia madre era viva?»
«Stavo per farlo. Poi io e lei ne abbiamo parlato e ho deciso che sarei venuta in Birmania a dirtelo di persona. Non è il genere di notizia da comunicare con una lettera».
«Io ho insistito per venire», aggiunse Diana. «Morivo dalla voglia di riabbracciarti, ma non credevo che a te andasse di vedermi. Ecco perché non ho più avuto il coraggio di riprovarci. E poi Simone mi ha detto che eri qui».
«Volevo…», balbettò Belle. «Voglio…». E ricominciò a piangere.
Diana si precipitò dalla figlia che si afflosciò tra le sue braccia aperte. Mentre le due donne singhiozzavano, la realtà rimase sospesa, come se il loro pianto potesse non cessare mai. Alla fine, quando si calmarono, Diana sorrise tra le lacrime e asciugò le guance di sua figlia, proprio come se fosse stata una bambina.
«Sono così orgogliosa di te», le disse. «Così orgogliosa. Quando hai finito la scuola, ti ho mandato delle lettere a Cheltenham per spiegarti tutto, ma non mi hai mai risposto…».
Belle spalancò gli occhi. «Non ho mai ricevuto alcuna lettera».
«Forse Douglas…».
«Pensava di proteggermi?».
Diana annuì.
Poi, come calò il silenzio sulle tre donne dagli occhi umidi, Oliver prese la parola. «Ho messo in fresco dello champagne. Chi ne vuole un po’?».
Tra le risate e le lacrime, Belle riuscì a dire: «Mamma, ti presento Oliver, il tuo futuro genero».
Il mese successivo era volato e ormai era arrivato il giorno della vigilia delle nozze. La ciliegina sulla torta, se mai ce ne fosse stato bisogno, era stata la lettera da parte di Emily, il cui arrivo a Rangoon era previsto in giornata. Belle le aveva già scritto per darle la splendida notizia che Diana era ancora viva e che al momento anche lei si trovava in Birmania. I genitori di Oliver, nel frattempo, erano appena arrivati e avevano preso una suite all’hotel Strand. Ogni mattina, Belle e sua madre gironzolavano per il giardino prima che arrivassero le piogge pomeridiane, parlavano e si confidavano tutto ciò che era successo durante il lungo periodo di separazione. A volte Belle se l’era presa con sua madre, poi con suo padre, e descriverle le sofferenze che aveva vissuto da bambina era doloroso. Non riusciva a capire per quale motivo suo padre avesse intercettato le lettere di Diana. Quando gliel’aveva chiesto di nuovo, sua madre si era limitata a dire che un tempo lei e Douglas si erano amati, ma che la vita aveva cambiato entrambi. Il velo di tristezza negli occhi di Diana l’aveva dissuasa dall’insistere sull’argomento. Lettere a parte, e per quanto le era stato possibile, pian piano Belle aveva cominciato ad accettare il fatto che le cose dovevano essere andate così per una ragione ben precisa. Diana era riuscita a convincere la figlia che gran parte dei comportamenti di Douglas, quantunque a volte un tantino maldestri, erano dettati dalla volontà di proteggerla.
«E adesso stai davvero bene?», le aveva domandato Belle, guardandola negli occhi, quando era arrivata la pioggia ed erano fuggite a ripararsi in casa.
«Sì, sto davvero bene».
E Belle, avendo scorto la saggezza e la compassione negli occhi verdi della madre, aveva capito che era la verità.
Più tardi, cessata la pioggia e prima che calasse l’oscurità, Belle e Diana esplorarono il limitare del giardino, dove le rose si arrampicavano a profusione e scendevano a cascata. L’intero giardino, impregnato d’umidità, brillava dopo le piogge monsoniche. Diamanti di luce scintillavano sull’erba bagnata e il cielo riluceva di sfumature di rosa e lilla. Madre e figlia inspirarono a pieni polmoni la dolcezza che aleggiava nell’aria, ma nessuna delle due parlò di Elvira. Era come se non avessero il coraggio di menzionare il suo nome, nel timore che la magia dell’averla ritrovata viva potesse svanire e, con essa, anche la stessa Elvira. Parlarono invece del matrimonio, delle condizioni del Paese, di cosa sarebbe accaduto in futuro. Diana le parlò della strada verso la guarigione e del suo debito di gratitudine nei confronti di Simone e del dottor Gilbert, che le aveva restituito la vita. Belle le raccontò di Oliver e del suo lavoro. Anche se inizialmente era andata in Birmania piena di energie e speranze per la propria carriera, le cose erano andate in modo diverso. Aveva ottenuto una madre e un fidanzato, e stava per ritrovare anche una sorella. Cantare era ancora una parte importante della sua vita e sperava di continuare a farlo, ma adesso aveva anche una famiglia.
«La voce l’hai presa da me», disse Diana.
«Come gli occhi verdi e i capelli rossi», aggiunse Belle.
Diana sfiorò i capelli della figlia. «I tuoi sono più dorati dei miei».
Ma Belle non le prestava più ascolto. Stava osservando la porta sul retro della sua vecchia dolce casa, dove Oliver stava insieme a una donna che non aveva mai visto prima. La donna sorrideva e i suoi capelli, illuminati dal sole, erano ancora più rossi di quelli di Diana o di Belle.
«Elvira». La voce di Diana non era che un sussurro roco.
«Vai», disse Belle con estrema delicatezza, poi le diede una spintarella.
Diana girò la testa, sorrise a Belle e si mise a correre, più veloce di quanto avesse mai corso prima di allora, e con le braccia protese raggiunse la figlia che le era stata portata via ventisei anni prima e che aveva creduto di aver perso per sempre. Belle la seguì lentamente, volendo concedere a sua madre quei pochi preziosi momenti da sola con Elvira. Si voltò a guardare il tamarindo al quale era passata accanto. Chi avrebbe mai immaginato che sarebbe andata a finire così?
Dopo qualche minuto, andò incontro a Emily e Diana e si fermò. Sua madre fece un passo indietro, e le due sorelle rimasero immobili, fissandosi a vicenda. Incantata e desiderosa di farsi avanti, ma pietrificata da quanto, nemmeno troppo tempo prima, le era parso impossibile, Belle si rese conto che ce l’aveva fatta. Non si era arresa, nemmeno quando era terrorizzata. Ora, non riuscendo a far altro che godersi sua sorella, ebbe il timore che le prendesse un colpo; il cuore palpitava e faceva le capriole, tanto che si dovette portare una mano al petto. E a quel punto l’incantesimo si ruppe. Emily si fece avanti e allungò le braccia, e dopo pochi secondi le due donne si stavano abbracciando e ridevano in mezzo a un fiume di lacrime.
C’erano così tante cose da dire, così tante questioni da risolvere, e tuttavia per Belle era impossibile parlare. Nessuna delle due sorelle sembrava sapere da dove cominciare. L’attimo si protrasse fino a quando, alla fine, si voltarono entrambe a guardare Diana, dopodiché le tre donne si incamminarono in silenzio verso casa, prendendosi a braccetto. Belle sentì agitarsi il passato, come se fosse improvvisamente tornato in vita, e capì che certe cose, almeno per il momento, erano troppo complesse per essere espresse a parole.
Arrivate alla porta, si voltarono a contemplare il giardino, soffuso d’oro dal sole morente.
«Amavo questo giardino», sussurrò Diana.
Belle ritrovò la voce. «L’ho capito non appena l’ho visto».
Emily guardò il terreno ai suoi piedi prima di alzare gli occhi verso Diana. «Mi spiace tanto per quello che è successo in questo posto».
Diana le prese una mano e gliela strinse. «Avremo tempo per parlare. Per adesso, voglio solo che crediate che ci siamo lasciate tutto alle spalle».
Ci fu qualche altro attimo di silenzio.
«Cambiando discorso», intervenne Belle con un sorrisetto, «so che non ti sto dando molto preavviso, Emily, ma non è che accetteresti di farmi da damigella d’onore?».
Dopo il matrimonio, Oliver e Belle decisero di non partire. Come avrebbero potuto, visto che Emily era appena arrivata, con solo tre settimane da passare a Rangoon e così tanti anni da recuperare. Una mattina presto, quando la giornata era ancora fresca e piena di promesse, Belle ed Emily erano sedute su una panchina sotto il tamarindo, intente ad ascoltare il venticello che smuoveva le foglie e a osservare gli uccelli che scendevano in picchiata di albero in albero.
«È qui che dormivi nella tua carrozzina il giorno in cui sei stata rapita», disse Belle. «Proprio sotto questo tamarindo».
Emily annuì, ma non rispose.
Avevano passato talmente poco tempo da sole, e in realtà Belle non sapeva come la facesse sentire tutto ciò che era accaduto. Era davvero felice di essere stata ritrovata, o una piccola parte di lei era contrariata dal fatto che le avesse stravolto la vita? Gliel’avrebbe voluto chiedere, ma non sapeva come, e poi Emily cominciò a parlare.
«A modo suo, Marie è stata una buona madre con me, o almeno ha fatto del suo meglio», disse, interrompendo il filo dei pensieri di Belle.
«Anche Diana», disse Belle con una certa titubanza. «Sebbene all’epoca non me ne rendessi conto. Non capivo. La giudicavo. La biasimavo».
«Eri una bambina».
Belle prese fiato e chiuse gli occhi, che d’un tratto avevano preso a bruciarle.
«Ora hai un’occasione per rimediare a tutto».
Belle annuì ed espirò lentamente, sbattendo le palpebre per ricacciare indietro le lacrime.
«Quando ho letto che Marie mi aveva rapita proprio da questo giardino è stato… be’, non ci sono parole per descriverlo. Non c’è niente che ti prepari a uno shock capace di cambiarti così tanto la vita».
Calò un breve attimo di silenzio, nel quale Belle cercò di immaginare cosa avesse provato.
«Ero così arrabbiata», continuò Emily. «Ma mi sentivo anche triste e confusa. Mi era crollato il mondo addosso e tutto ciò che pensavo di essere era diventato una bugia. Soprattutto, non volevo crederci. Penso di non aver dormito per una settimana. Ma questo spiegava la depressione e l’ansia di cui Marie ha sofferto per tutta la vita».
«In che senso?».
Emily si strinse nelle spalle. «Alla base di tutto c’era il senso di colpa».
Ci fu un’altra lunga pausa prima che Belle rispondesse.
«Anche Diana è stata male per anni. L’avevano accusata di averti fatto del male».
Emily scrollò il capo e, quando parlò, le si spezzò un poco la voce. «Mi spiace così tanto per ciò che ha fatto Marie e per il modo in cui ha distrutto la tua famiglia. Non so se sarò mai in grado di accettarlo fino in fondo».
Belle la prese per mano.
«A mano a mano che metabolizzavo la verità, mi sono resa conto che Marie era tormentata dal rimpianto per quello che aveva fatto. Ecco perché si era ammalata così tanto».
«Anche Diana, benché mi senta fortunata, perché non solo è ancora viva, ma sta persino bene».
«L’abbiamo ritrovata entrambe, non è così?».
Belle sorrise, perché le tornò in mente il viso di sua madre. «Ha un aspetto meraviglioso, non trovi?».
Emily fece cenno di sì con la testa, ma Belle scorse qualcosa di strano nella sua espressione e, all’improvviso, si innervosì.
«Posso essere onesta?», domandò Emily.
«Ma certo».
«Be’, il problema è che non so cosa dire a Diana. Mi sento tremendamente combattuta. Vorrei imparare a conoscerla e non so spiegarti quanto sia importante per me averla incontrata di persona, ma dall’altro lato, e forse non dovrei, per certi versi mi sento ancora protettiva nei confronti di Marie. Ciò che ha fatto è imperdonabile, lo so, ma mi voleva bene».
Belle annuì e ci pensò bene prima di risponderle. «Diana per prima ne ha passate tante. Sono certa che capirà».
«Lo spero».
«E che mi dici di tuo padre? Cosa ne è stato di lui?».
Emily inspirò a fondo. «Purtroppo, mio padre si è sparato un colpo in testa un anno dopo aver lasciato la Birmania. Ero troppo piccola per ricordare qualcosa, ma mia madre era fuori di sé dal dolore e lo è stata per anni. Sono convinta che si ritenesse responsabile».
«Così tanti sensi di colpa».
«Sì, ma come ti ho detto, ha fatto del suo meglio, e qualche anno dopo, quando si è risposata, ho avuto un patrigno meraviglioso e premuroso, ed è stata una figura determinante per me».
«E adesso hai un bel bambino».
«Sì. La luce dei miei occhi. Non vedo l’ora di fartelo conoscere. Spero che tu e Oliver veniate presto a trovarci a New York. Abitiamo in una vecchia casa d’arenaria. È bellissima e ci sono stanze a non finire».
Belle sorrise. «Puoi scommetterci!».
Emily scoppiò a ridere. «Cielo, penso che potresti trasformarti in un’americana».
In tutta risposta, Belle inarcò le sopracciglia e si mise a ridere a sua volta. «E chi lo sa, magari alla fine potremmo venire a vivere lì. Anche se sarebbe triste lasciare questo posto».
«Posso immaginare».
«Sono sicura che un giorno o l’altro riuscirai a scendere a patti con i tuoi sentimenti per Marie. Non posso fare a meno di pensare che all’epoca dovesse essere molto disturbata».
«Sì. Non era una cattiva persona. Nient’affatto. Era soltanto una donna malata e malaccorta che ha commesso un gesto orribile e ne ha pagato le conseguenze per il resto della vita. La cosa tremenda è che non riesco ancora a perdonarla».
«Ci riuscirai. Con il tempo».
Emily chinò il capo. «Fa male, Belle».
«Lo so».
Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi Emily strizzò gli occhi e guardò Belle, come se stesse valutando un’idea.
«Che c’è?», chiese Belle.
«Volevo ringraziarti».
«Per cosa?»
«Per tutto. Per avermi trovata».
«Ne sei davvero felice?».
A Emily brillavano gli occhi. «Ho sempre desiderato una sorella».
«Ma c’è dell’altro, non è così?»
«Ci sono ancora così tante cose con cui devo fare i conti. Un sacco di nodi da sciogliere, capisci?».
Belle riusciva a vedere la tristezza nello sguardo di Emily e capiva benissimo. Certo, non poteva essere tutto rose e fiori. Sua sorella avrebbe dovuto riconsiderare tutta la sua vita, un po’ come avrebbe dovuto fare anche lei.
«Potrai sempre parlare con me», disse. «Te lo prometto».
«Sì, non ho mai avuto nessuno con cui poterlo fare».
Mentre si sorridevano a vicenda, Belle capì che avrebbe sempre custodito gelosamente quel momento. Era una tregua, quel momento, un singolo istante negli assurdi alti e bassi della vita che forse avrebbe permesso al passato di mutare e dissolversi mentre sedevano insieme in giardino. Nonostante le emozioni contrastanti di Emily, c’era qualcosa di speciale nel condividere i profumi, appena sprigionati dalla pioggia, delle piante e dei cespugli ancora in fiore, e nell’osservare gli uccelli che volavano tra le fronde degli alberi. Sua sorella era viva, e quella era l’unica cosa che contava. Il regalo di una sorella. Quanto era fortunata. Quanto erano state fortunate tutte e due a essersi ritrovate, e Belle sperava che avessero tutti gli anni a venire per diventare amiche per la pelle. Anni per imparare a conoscere i rispettivi sogni e le speranze. Anni per scoprire i rispettivi difetti e le paure. Anni per supportarsi a vicenda a prescindere da cosa le aspettasse, persino – data l’incertezza della situazione – la possibilità di un’altra guerra. Niente avrebbe mai potuto cancellare la solitudine che entrambe avevano vissuto in passato, o gli orrori ai quali Belle aveva assistito, ma lei sapeva che gli anni che avevano ancora davanti a loro, in quel meraviglioso modo in cui la vita dava tanto quanto toglieva, alla fine avrebbero compensato quelli che avevano perduto.
Sarebbero diventate una famiglia e, visto quanto era stata burrascosa la sua infanzia, Belle non poteva chiedere di meglio. Era figlia, sorella, moglie, zia e, se tutto fosse andato secondo i piani, anche se al momento Oliver era l’unico a saperlo, presto sarebbe anche diventata madre… tra sette mesi, all’incirca. E le si stringeva il cuore per Diana, che finalmente avrebbe potuto dissipare qualunque riserva stesse ancora nutrendo rispetto al passato. Già amava il bambino che le stava crescendo dentro e adesso iniziava davvero a intuire l’angoscia che doveva aver provato sua madre quando era scomparsa Elvira. Tirò un profondo sospiro e poi, assorta nei suoi pensieri, cominciò a canticchiare tra sé e sé.
Emily le sfiorò molto delicatamente il braccio. «Cosa stai cantando?», le chiese.
Belle si voltò verso sua sorella e sorrise al ricordo. «Oh, è solo una canzoncina della mia infanzia». Poi lanciò un’occhiata alla casa.
«È un posto incantevole», disse Emily, seguendo il suo sguardo.
«Dovrebbe essere tua. Sei la maggiore».
«No, Belle, è tua», replicò Emily, poi strinse la mano di sua sorella. «Te la meriti. Se non fosse stato per te, a quest’ora non saremmo qui. È merito tuo e non so dirti quanto ti sono riconoscente. Ti chiedo soltanto: non perdiamoci più di vista».
Mentre guardava prima sua sorella e poi la sua nuova casa, a Belle si riempirono gli occhi di lacrime. Non era soltanto un posto incantevole, come aveva detto Emily. Era la casa in cui era nata la sua splendida sorella, il posto dal quale era stata portata via, e adesso era diventato il posto dove era stata ritrovata.
«Ero così spaventata al pensiero che non ti avrei mai trovata», disse Belle, «o che tu fossi morta».
«Be’, mi hai trovata eccome. E adesso non ti lascerò più andare».
Si alzarono insieme e passeggiarono per il giardino tenendosi a braccetto, godendosi il momento che Belle aveva tanto desiderato ma che aveva anche temuto non sarebbe mai arrivato. La sorella scomparsa era finalmente tornata a casa. «Grazie», sussurrò mentre il cuore le si riempiva di gratitudine. «Grazie».