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Diana, Minster Lovell, 1923

 

Oggi è un giorno speciale perché io e Simone ci stiamo preparando per andare a fare una passeggiata sulla strada, non verso il villaggio, verso la campagna, dove staremo più tranquille. Non so cosa mi aspetterà un domani, ma sono felice dei miei progressi. Già è tanto se sono qui e mi fido del dottor Gilbert. Chiunque si fiderebbe di un uomo come lui, dico bene? E dopo tante sedute, durante le quali siamo tornati indietro negli anni, ho cominciato a ricucire insieme i pezzi della mia vita. Ora faccio qualche lavoretto in giardino. Giusto togliere un po’ di erbacce e potare qualche ramo, ma mi rende così felice che potrei mettermi a piangere dalla gioia.

Non riesco a evitare di chiudere le porte a chiave, non ancora, perché ho il timore che ciò che è fuori potrebbe strisciare dentro e io perderei la mia oasi di pace. Il dottor Gilbert preferirebbe che lavorassi in giardino lasciando aperta la porta sul retro, così mi potrei assicurare che non succeda niente, ma ho paura che qualcosa si introduca all’interno e poi riempia ogni minimo angolo della mia casa, e io non avrei la forza necessaria per evitarlo. Gli dico che ritrovarmi da sola e indifesa di fronte a tutto ciò che c’è là fuori, senza un rifugio sicuro, è il mio peggior incubo.

Ciononostante, sto migliorando. Oltre a incoraggiarmi a fare qualche piccolo passo fuori di casa, sta anche riducendo la quantità di farmaci che assumo, e credo davvero che un giorno ci sarà la reale possibilità di stare meglio. Parliamo di tutto, io e il dottore, persino della vergogna per il tradimento di Douglas in Birmania. Finora avevo trovato il coraggio di confidarmi soltanto con Simone, mi ero sempre ripetuta che non ci dovevo pensare. Ma come faccio a non pensare a una cosa che mi torna sempre in mente? Durante tanti dei nostri incontri, il dottor Gilbert mi ha spronata a parlare di come mi ero sentita. Lo sapevo, ovviamente: c’erano stati il dolore, la rabbia, l’impotenza. All’inizio ero restia all’idea di dirglielo, avevo l’impressione di confessargli una debolezza, ma alla fine, quando l’ho fatto, ho pianto tanto. E quando ho finito e mi sono asciugata gli occhi, la vergogna è sparita come per magia e mi sono resa conto di quale fosse il vero peso del fardello che stavo portando.

Come se mi si fosse accesa una lampadina, ero anche riuscita a comprendere che la vergogna avrebbe dovuto pesare sulle spalle di Douglas e non sulle mie. Quando vivevamo in Birmania, però, il fatto che un marito cercasse distrazioni era visto come una colpa della moglie che non era riuscita a renderlo felice, e se si distraeva mentre lei era incinta, be’… gli uomini erano fatti così. Nessuna donna ammetteva mai di sentirsi ferita o tradita.

Ciò che più mi interessa di questo metodo è il fatto che il dottore mi chiede sempre come mi sento. Nessuno prima d’ora mi aveva mai chiesto come mi sentissi, nemmeno quando ero bambina o dopo, quando mia madre morì a causa di una terribile influenza. In quanto figlia unica, e sebbene sia convinta che a modo loro i miei genitori mi abbiano amata, ho passato la maggior parte del tempo con la mia tata. Non è mai stata mia madre a consolarmi quando cadevo e mi sbucciavo un ginocchio, o quando stavo male ed ero confinata a letto. La vedevo soltanto in occasione delle uscite speciali, o quando mi era appena stato fatto il bagno a fine giornata e la tata mi portava giù in salotto a dare la buonanotte con la mia camicia da notte bianca e immacolata.

Il dottor Gilbert mi ha persino chiesto cos’avrei voluto dire ai miei genitori se ne avessi avuta la possibilità. Sono rimasta in silenzio, ma lo sapevo. Amatemi, avrei detto. Amatemi. Ma non gliel’ho voluto dire, non volevo mettermi in ridicolo scoppiando di nuovo a piangere. Mi ha domandato cosa mi ha fatto provare quella mancanza d’affetto, e scoprire quanto poco riesca realmente a ricordare mi ha sconvolta. Gli ho detto che mi volevano bene. La tata mi voleva bene. Il dottore mi ha suggerito di andare a trovare mio padre non appena mi sentirò in grado di farlo. Forse c’è ancora un modo per rimediare alla tristezza del passato. Dovrei fare uno sforzo. È passato troppo tempo, anche se mi scrive un paio di volte l’anno e l’ho invitato a trasferirsi nel mio cottage.

Da allora, ho cominciato a ricordare sempre più dettagli. E adesso, naturalmente, sento un senso di colpa devastante alla bocca dello stomaco al pensiero che mia figlia, Annabelle, stia sperimentando la stessa mancanza d’affetto per colpa mia. Ripenso ai suoi occhi verde giada e ai suoi capelli color rame, e mi rendo conto che mi manca davvero tantissimo. Dice che presto parleremo di Annabelle e, per quanto sia arrivata a capire che è meglio esternare tutte queste cose tristi e vergognose, sono anche spaventata. Il dottore mi ha detto che quando la affrontiamo sul serio, l’oscurità che abbiamo dentro ha il potere di farci stare davvero molto male.

Quindi, per tutti questi motivi, e anche se a volte sciogliere i nodi è stato difficile, la vita ha ricominciato a sembrarmi reale. Io stessa sto ricominciando a diventare reale e il mio cuore trabocca di coraggio.

Adesso devo andare a prepararmi per la nostra passeggiata. Simone mi ha descritto tutto il tragitto. Per prima cosa risaliremo un pochino la collina, poi gireremo a destra e scenderemo oltre la chiesa e il camposanto, superando le rovine di Minster Hall, e da lì arriveremo al fiume. Dice che la distanza da percorrere è poca e che saremo da sole, circondate dalla pace della natura, bellissima e rilassante. Il dottore dice che la natura ci guarisce, e io gli credo.