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Oliver trascinò via Harry dalla sedia e socchiuse gli occhi. «Faremo così».
Harry tremava visibilmente, troppo spaventato per parlare.
«Ti porterò dritto al commissariato e dirai alla polizia cosa hai fatto. Spiegherai come ci hai attirati in quella trappola mortale. Tentata strage, come minimo, e chissà quanti feriti non riusciranno a sopravvivere».
Harry ritrovò la voce. «Non ci daranno retta».
«Scherzi? E perché mai non dovrebbero?»
«Perché…». Fece una pausa. «Perché è la polizia… ad avermi minacciato».
Oliver rimase di stucco. «E a chi ti riferisci di preciso?»
«Ehm, non proprio alla polizia».
«Allora a chi?»
«All’unità di intelligence di Rangoon».
«Iniziamo a ragionare. Chi ne fa parte, Harry?».
Lui scrollò il capo. «Non so come si chiama. È un uomo alto, pelle scura e capelli corti, rasati».
«Nient’altro?»
«Indossava un completo di lino. Non riesco a ricordare altro. Mi ha soltanto detto che dovevo trattenerla».
Oliver e Belle si scambiarono un’occhiata, poi fu l’americano a riprendere la parola. «Levati dai piedi, Harry. E giuro su Dio che se dici una sola parola sul fatto che io e Belle siamo usciti indenni da quell’esplosione, ti troverò».
Harry non se lo fece ripetere due volte e schizzò letteralmente via dall’atrio.
«Ma dobbiamo comunque andare alla polizia, no?», chiese Belle, continuando a tremare al ricordo della devastante deflagrazione della bomba.
Oliver la guardò con aria sprezzante. «Sarebbe una perdita di tempo».
«Perché?»
«Corruzione. Se dietro tutta questa storia c’è l’unità di intelligence, e in questo credo a quanto ci ha raccontato Harry, hanno antenne molto lunghe».
«Oliver, perché hanno fatto una cosa del genere? Non capisco. Perché vogliono farmi del male?». Le tremava la voce e represse un singhiozzo. Anche se cercava di non lasciarsi andare, sapeva che stava cedendo. Era troppo spaventoso per pensarci.
Oliver le posò le mani su entrambe le braccia e strinse delicatamente. «Non per cercare il pelo nell’uovo, ma hanno tentato di ucciderti, amore mio, non di farti del male».
Lo guardò negli occhi e vide che era molto preoccupato per lei. «Lo so», sussurrò. «Lo so».
Ci fu un breve attimo di silenzio.
«Hanno cercato di uccidere anche te».
Lui si strinse nelle spalle, disgustato. «Danni collaterali. Ma quei bastardi vogliono te. Qui si tratta di tua sorella. È chiaro che tua madre non ha avuto niente a che fare con l’accaduto, ma qualcun altro c’entra eccome».
Inspirò a fondo, poi espirò lentamente per allentare la tensione. «Abbiamo fatto bene a lasciare andare Harry?»
«Harry Osborne non è nessuno. Qua c’è da salire molto più in alto».
«Fino a chi?»
«Potrei tirare a indovinare, ma vediamo se riusciamo a scoprire qualcosa».
«Mio Dio, però, cos’è che stanno nascondendo?».
Oliver sospirò. «Non lo so, ma non si fermeranno di fronte a nulla pur di mantenere il segreto. E ti vedono come una minaccia».
Belle si massaggiò le tempie doloranti con la punta delle dita e rimpianse di essersi lanciata in quell’impresa. Avevano attentato alla sua vita, per l’amor del cielo! La volevano morta e il pensiero la faceva stare malissimo. Ma c’era qualcosa di più. Strinse i pugni perché iniziava a sentirsi pervadere dalla rabbia, e desiderava scagliarsi contro chiunque le aveva fatto una cosa simile. Come osavano? Che diritto avevano?
«Non torneremo direttamente a Rangoon», continuò Oliver. «Ho degli amici a Maymyo. È a una quarantina di chilometri da qui, a nord-ovest. Andremo lì e capiremo come muoverci. È più fresco sulle colline, così avremo un po’ di tregua da questo maledetto caldo».
«E come ci arriviamo?»
«In treno. Pensi di aver bisogno di farti vedere da un medico?».
Belle scosse la testa. «Sono solo sporca e ho qualche taglietto sul braccio. Ho dei cerotti di sopra».
«D’accordo. Datti una rinfrescata e fai la valigia, ma sbrigati. Meglio darsi una mossa».
«Ci riproveranno, vero?», chiese lei, senza riuscire a nascondere la sua paura.
«La verità?», domandò lui.
Belle annuì.
Era passata un’ora e avevano fatto appena in tempo. Mentre il treno lasciava la stazione di Mandalay, Belle guardò dal finestrino i vialoni alberati e le grandi dimore britanniche. Il panorama era rimasto invariato per un bel pezzo, ma adesso le capanne di legno punteggiavano i sentieri sterrati che correvano paralleli ai binari. La strada pullulava di carovane di carretti trainati da vitelli, che rientravano dai campi nel tardo pomeriggio, di cani che giacevano profondamente addormentati nell’aria polverosa, di graziose ragazze birmane con i fiori nei capelli che portavano caraffe d’acqua sopra la testa, e di uomini che sobbalzavano sulle loro biciclette mentre procedevano sul terreno roccioso. Oliver le spiegò che i suoi amici, Jeremy e Brenda, dirigevano un piccolo albergo o pensione, e che li aveva già avvisati del loro arrivo. Anche se Belle si era cambiata d’abito, non aveva avuto il tempo di lavarsi i capelli, quindi sentiva ancora la cute secca e le dava prurito. Il viaggio sarebbe durato tre ore e, scossa dall’esplosione della bomba, e da quanto appreso da Harry, non desiderava far altro che dormire.
Si appoggiò al finestrino ma, a mano a mano che il treno si inerpicava più in alto, il suo sferragliare e gli scossoni le impedirono di addormentarsi. Aprì gli occhi e percepì di aver preso le distanze dalla realtà. Con una lentezza angosciante, superarono villaggi in cui gli alberi della pioggia offrivano riparo dal caldo, dove i banani crescevano a perdita d’occhio e dove le colline in lontananza erano avvolte da una cupa foschia viola. Poi vennero i boschetti di acacie gialle e le pendici verdeggianti delle colline coperte da tappeti erbosi, ma ben presto i binari passarono in mezzo a ripide colline dalle basi rocciose circondate da una fitta vegetazione. Sotto un cielo ancora azzurro, oltrepassarono dei templi e attraversarono un ponte sopra la vallata, continuando a salire. Osservò attentamente i crinali inghiottiti dalla giungla, verde scuro nelle vicinanze, verde muschio più avanti, e poi via via a schiarire sempre di più fino a diventare color carta da zucchero.
Per un tratto, Belle si appoggiò a Oliver e riuscì a concedersi un sonno intermittente. Mentre si avvicinavano a Maymyo, si svegliò e restò sorpresa nel vedere quanto fosse verdeggiante la zona. Oliver le indicò la frutta che cresceva vicino ai binari: fragole, susine selvatiche, uva, limoni e lime.
«È una terra incredibilmente fertile», le disse.
Lei osservò il suo bel viso spossato e annuì.
Oliver le sfiorò la guancia, e Belle trovò che nella semplicità di quel gesto ci fosse qualcosa di rassicurante. «Stai bene?»
«Penso di sì».
In prossimità della stazione, del bestiame che si era addormentato sui binari ritardò il loro arrivo, ma alla fine riuscirono a scendere. Un facchino caricò le loro valigie su un carretto trainato da un pony che li stava aspettando e, superati i soliti chioschi e una chiesa metodista, iniziarono a salire più in alto. Lì, racchiuse tra gli alberi, c’erano le case coloniali di mattoni rossi, con le loro persiane verde bosco, le travi in legno, i portici e i giardini. Subito dopo il palazzo del governo, le sedi dell’amministrazione e l’ufficio dell’ispettorato, risalirono un’altra collina. Oliver le indicò una grande casa signorile parzialmente costruita in legno.
«È il Candacraig», disse, notando che stava guardando. «Il circolo britannico. È dove vivono anche i militari non sposati. Non siamo lontani dalla pensione dei miei amici».
Quando arrivarono al piccolo albergo, il sole stava tramontando. Belle accolse con gioia la presenza di un leggero venticello e alzò gli occhi al cielo, che ormai aveva assunto una cupa sfumatura color corallo striata di violetto.
«Qua può fare parecchio freddo di notte», disse Oliver, «a seconda della stagione. Accendono persino il fuoco».
Per prima cosa, Belle venne presentata agli amici di Oliver, Jeremy e Brenda, un’anziana coppia di americani che, a parte dirigere il posto, era ormai in pensione. Oliver le spiegò che aveva alloggiato da loro durante le sue prime settimane in Birmania e che l’avevano aiutato a prendere dimestichezza con l’ambiente. Gli chiesero come stesse andando il lavoro e si informarono sulla sua salute, e di certo sembravano essergli davvero molto affezionati. Brenda era cordiale e amichevole, nonché una cuoca eccezionale, disse Oliver a Belle, quindi dovevano senz’altro aspettarsi una cena coi fiocchi.
Vennero accompagnati in una camera che affacciava sul giardino anteriore e, una volta soli, Belle si voltò a guardarlo. «Una stanza sola?»
«Ti crea problemi? Pensavo sarebbe stato più sicuro. Io posso dormire in poltrona».
Belle si chiese cosa fare.
«Altrimenti posso chiedere un’altra stanza», propose lui.
«I tuoi amici pensano che… be’, hai capito».
«Ti darebbe fastidio se lo pensassero?»
«Un pochino. Non vorrei si facessero un’idea sbagliata di noi due. Di me».
«Non ti preoccupare. Ho spiegato a entrambi cos’è successo. Hanno capito che dobbiamo stare insieme. Lui è un ex militare, nervi d’acciaio e paura di niente, quindi è proprio la persona giusta da avere al nostro fianco. Andrà tutto bene».
«D’accordo». Tacque, poi lo raggiunse e gli sfiorò la guancia. «Condivideremo il letto».
«Magari prima ci facciamo un bagno e mangiamo qualcosa?»
«Magari», rispose lei, fissando i suoi occhi azzurri e luminosi. Poi si allungò per baciarlo.
L’impatto avuto da quanto accaduto e dal fatto che fossero stati a un passo dalla morte aveva pervaso entrambi di un grande bisogno di conforto e sicurezza. Più tardi, mentre erano sdraiati a letto insieme dopo il bagno e la cena deliziosa che Oliver le aveva promesso, ma che quasi non era riuscita a consumare, Belle cominciò a tremare. La paura ricominciò a serpeggiare, raggiungendo ogni parte di lei finché non le si annidò nel petto. Era come rivivere da capo l’intero massacro. Più di ogni altra cosa, desiderava essere abbracciata e che qualcuno le dicesse che sarebbe andato tutto bene. Ma non sarebbe andato tutto bene. Non finché restava in Birmania. E anche se Oliver la stava stringendo forte a sé e riusciva a sentire il suo cuore che batteva all’unisono con il suo, era consapevole di quanto anche lui fosse rimasto traumatizzato. Poi arrivarono le lacrime. Era lo shock, le mormorò lui, una reazione a scoppio ritardato, e Belle capì che aveva ragione, perché il terrore prese a scorrerle nelle vene, annientandola al punto da farle quasi dimenticare chi era. Provò a parlare, ma balbettò e incespicò nelle parole finché non si ritrovò a boccheggiare, strozzandosi e agitando le mani. Lui l’aiutò a mettersi seduta e le portò un bicchiere d’acqua alle labbra.
Quando si fu calmata un po’, le chiese se era pronta a parlare di quanto accaduto a Rangoon.
Lo guardò in silenzio e poi, dapprima a spizzichi e bocconi, cominciò a dare voce al suo dolore. Gli raccontò tutto, e la paura che aveva sepolto e mai condiviso si riversò fuori come un fiume in piena. Le atrocità a cui aveva assistito, il sangue versato, la brutalità animalesca e le sventurate vite spezzate, e infine, ansimando al ricordo, gli parlò della piccola bambina che aveva trovato ancora viva. Quando ebbe finito di sfogarsi, Oliver le accarezzò le guance e le baciò la fronte con una dolcezza infinita.
«Ho paura», disse lei.
Lui annuì.
«Cosa facciamo adesso?».
Le prese una mano e la strinse delicatamente. «Non lo so. Dormiamo un po’ e ci penseremo domani, a mente fresca».
Dopo colazione, la mattina seguente, presero due biciclette ed esplorarono la città fresca e verdeggiante sotto un cielo celeste pastello. Oliver le indicò i vari palazzi del governo britannico e le case dei funzionari che si occupavano della gestione amministrativa della Birmania. Belle assimilò tutto, sconcertata dalla sfarzosità di quelle ville in confronto alle minuscole baracche della gente locale. Quando Oliver espresse ancora una volta la convinzione che un giorno o l’altro la Birmania sarebbe tornata in mano ai birmani, lei si disse d’accordo.
«Non manca molto», aggiunse con un cenno d’approvazione. «I segnali sono ovunque».
«Intendi i disordini?»
«Già. Proprio nel cuore dell’Impero. Le cose cambieranno, e presto».
Si fermarono al mercato dei fiori che sorgeva al limitare di uno dei vialoni principali. L’atmosfera, carica del profumo delicato dei fiori bianchi e viola, riempì Belle di una strana euforia dolceamara. Si intrufolarono all’interno dell’enorme giardino botanico, dove trovarono un alto tamarindo frondoso sotto il quale sedersi e a cui appoggiarsi. Mentre osservavano gli alberi di tek in lontananza, Oliver le spiegò che i britannici erano stati attirati in Birmania proprio dal tek. Avevano bisogno di legname per le loro flotte ed era ben presto diventato una crescente fonte di guadagno, insieme all’oro e ai rubini degli Shan, e alla giada trovata nei giacimenti all’estremo nord. E dopo aver esiliato in India l’ultimo re della Birmania, i britannici avevano fatto man bassa di tutto ciò che era rimasto a loro disposizione.
Sollevò il mento. «Allora, come ti senti?»
«Ancora molto scossa».
Lui annuì. «Forse è meglio se torno a Rangoon da solo».
«Lasciandomi qui?»
«Sì».
«Preferisco venire con te».
«Jeremy e Brenda baderebbero a te».
Lei scosse la testa. «Non saprei».
«Altrimenti dobbiamo farti tornare di nascosto a Rangoon e imbucarti su un aereo».
«Ho sentito dire che adesso ci sono degli aeroplani di linea».
«L’Imperial Airways. Ma non ci sono così tanti voli. Ci vogliono undici giorni per arrivare a Londra».
Ci pensò su.
«Se solo sapessi chi c’è dietro a quella bomba, saprei da dove cominciare».
«Chi pensi possa essere stato?», domandò Belle.
«Credo sia tutta una questione politica. Nel 1935, l’ultima Costituzione birmana ha sancito che la Birmania dovesse essere separata dall’India britannica. Avrebbero creato un nuovo Senato e una nuova Camera dei rappresentanti. Il tuo amico, Edward de Clemente, fa parte della commissione che sta definendo gli ultimi dettagli della Costituzione e della legge elettorale in vista delle elezioni generali».
«Non me n’ero resa conto».
«Chiunque abbia preso parte a questa fase di transizione deve essere al di là di ogni sospetto, altrimenti le prescrizioni di legge non saranno accettabili. Di conseguenza, posso ipotizzare che qualche pezzo grosso si stia sentendo minacciato a causa tua».
«E cosa pensi che abbia fatto?»
«Che stia tentando di insabbiare qualcosa. Ecco cosa penso. È ovvio che qualcuno ha nascosto la verità su quanto accaduto il giorno in cui è scomparsa tua sorella».
«Sospetti di Edward?»
«Non nello specifico. Potrebbe trattarsi di chiunque».
Ci fu un lungo attimo di silenzio. Belle ascoltò il ronzio degli insetti e il rumore del vento che faceva frusciare le foglie sopra le loro teste. I prati verdi si estendevano a perdita d’occhio.
«Facciamo una passeggiata fino al lago», propose Oliver, e spinsero le loro biciclette fino a un’altra zona del parco, dove i cigni solcavano la superficie argentata dell’acqua.
«Te l’ho detto che il portiere dello Strand mi ha riferito che suo padre sentì urlare una bambina quella notte del 1911? Faceva il guardiano notturno».
«Ne è passato di tempo per ricordarsi dell’episodio».
«Be’, non c’erano bambini che alloggiassero in albergo e, quando arrivò sul retro, vide una macchina sfrecciare via. Gli è rimasto impresso».
«L’ha denunciato?»
«Penso che l’abbiano persuaso a tacere».
«Vale la pena indagare».
«Tu dici?».
Oliver annuì.
«In tal caso, torno insieme a te».
«Potrebbe non portare a niente».
Belle gli lanciò un’occhiata. «Oliver, non credo che riuscirò mai a lasciare la Birmania se prima non scopro cos’è successo a Elvira, e devo anche pensare alla mia casa. Non posso lasciarla andare in rovina».
«Non puoi tornare in albergo».
«No».
«Vieni a stare da me».
Lo fissò con attenzione. «E cosa ne penserà la gente?»
«Malgrado il sentore di altre condotte indecorose qui non manchi di certo, sparleranno e fingeranno di essere scandalizzati. Forse per alcuni sarà un vero shock, ma, in ogni caso, la tua incolumità è l’unica cosa che conta realmente in questo preciso momento».