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Diana, Cheltenham, 1921

 

Amavo il nostro giardino privato nella Valle Dorata. Le rose nei mesi di giugno e luglio, gli enormi cespugli di poinsezia con i fiori rosso acceso, l’anturio, gli aster viola circondati da grandi nugoli di farfalle celesti, e il delizioso albero di bahuinia con le foglie a forma di cuore e i fiori bianchi e rosa. E anche gli uccelli, specialmente quelli verde brillante, e i falchi che sfrecciavano nel cielo azzurro e terso, sopra l’antico albero di padouk che era già lì molto prima che venisse costruita la casa.

Quando ci eravamo trasferiti, avevo chiesto al giardiniere birmano quale fosse il nome del padouk nella mia lingua. Mi disse che non aveva un nome in inglese, ma che era un albero della famiglia delle leguminose e forniva un tipo di legname abbastanza simile al palissandro. Si offrì di abbatterlo, ma io gli dissi di no. Sono felice di averglielo impedito, perché ad aprile, quando le giornate erano così calde e polverose che temevo di non sopravvivere, si riempiva di fiori dorati nel giro di ventiquattr’ore. E quando la fragranza delicata del padouk aleggiava nell’aria serale, io e Simone ci sedevamo fuori a osservare i serpenti che vivevano negli alberi e ad agitare le mani per scacciare gli insetti. Bevevamo i nostri gin tonic e ridevamo delle stravaganze dei nostri mariti, e a volte ci ritrovavamo abbastanza alticce. A quei tempi ci svegliavamo alle cinque di mattina per evitare il caldo, e io dormivo quasi tutto il giorno.

Il giardiniere mi aveva anche detto che era il periodo del Thingyan, o festival dell’acqua, e del Capodanno birmano, giorni in cui chiunque si fosse azzardato a uscire avrebbe ricevuto una secchiata d’acqua in testa. “Mica male visto il clima”, pensai, ma Douglas mi mise in guardia e contraddirlo non era mai prudente.

Casa nostra era bellissima. Dipinta di bianco, con camere ben ventilate in cui entrava la brezza dalla veranda che circondava la casa, e spesso passavo i pomeriggi a riposare su una chaise longue nel salottino al piano di sopra, dove una corrente d’aria dava un po’ di sollievo dal caldo torrido. Tutti i pavimenti di parquet erano scuri e talmente tirati a lucido che, giuro, ci si poteva specchiare. Le persiane di legno, in origine dipinte di verde, erano scolorite in fretta, diventando di una sfumatura più chiara che io preferivo. Le palme facevano ombra alla facciata della casa e i cespugli e le piante tropicali fiancheggiavano la sponda stondata di uno stagno.

Tra i vari alberi avevamo un fico della Bodhi, un’acacia e un tamarindo frondoso sotto il quale l’ayah sistemava la carrozzina della mia piccola.

Non dimenticherò mai il giorno in cui scavarono nel mio amato giardino e dragarono lo stagno, uccidendo i pesci e distruggendo la vegetazione, e a cosa valsero gli sforzi della polizia, cosa trovarono scavando con tutte le loro forze in quel tremendo caldo asfissiante?