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La successiva sera di riposo, Belle aspettò Gloria nell’atrio dell’albergo. Sarebbero andate insieme a Gossip Point, anche se Belle nutriva sentimenti contrastanti in merito. Seppure interessata a scoprire se Florence Outlaw fosse rimasta in contatto con l’amica di sua madre, Simone, trovava al contempo che l’intera vicenda fosse stancante. In giornata aveva chiamato gli uffici della «Rangoon Gazette», dove aveva accettato di incontrarsi con Oliver, ed era rimasta delusa nell’apprendere che era fuori città per lavoro e non sapevano quando sarebbe tornato.

Credi di sapere di chi ti puoi fidare? Pensaci meglio…

Si era fidata di Oliver, non era forse così? Le piaceva molto. E di Gloria?

Scosse la testa, poi si accomodò su un divanetto a righe a sorseggiare l’acqua con ghiaccio che aveva ordinato e, poco tempo dopo, l’amica la stava salutando allegramente dalla porta in un turbinio di guanti, cappello, tacchi alti e profumo. L’abito di quella sera era scarlatto e stretto in vita, con un ampio colletto bianco.

«Cara. Sbrigati. Ci perderemo il meglio», disse a Belle. Poi aggiunse in un sussurro volutamente udibile: «Anche se, in tutta onestà, vengo solo perché altrimenti quelle vecchie pettegole sparlerebbero di me».

Belle sorrise e ironizzò: «Non è possibile! Cosa mai potrebbero avere da ridire su di te?».

Gloria rise. «Resta al mio fianco, ragazzina, e lo scoprirai».

Il portiere tenne loro aperta la porta e, non appena si furono sistemate sul sedile posteriore dell’auto, le due donne ripresero la conversazione.

«In effetti», disse Belle, «avevi promesso che mi avresti raccontato la tua storia se fossi venuta alla festa in piscina. Io ho fatto la mia parte».

Gloria alzò gli occhi al cielo. «Anch’io. E l’unica cosa che ci abbiamo guadagnato è che hai conosciuto quel Donohue».

«Oliver».

«Proprio lui. È incredibilmente attraente, te lo concedo… con quegli occhi azzurri così seducenti! E ammetto di aver nutrito un interessamento superficiale per lui, ma non è…». Si interruppe.

«Non è cosa?»

«Uno di noi».

«Non pensavo che a te importasse».

Gloria assunse un’aria sprezzante. «Be’, infatti, non più di tanto. Ma io non passerei troppo tempo con lui. L’hai rivisto, vero?».

Belle la osservò con attenzione. «E tu come fai a saperlo?»

«L’ironia di Rangoon è che in una città piena di segreti come questa è impossibile fare qualcosa senza che gli altri lo scoprano».

Belle si accigliò. «E perché dovrebbe interessare a qualcuno?»

«Oliver Donohue ha una pessima reputazione».

«Con le donne, lo so».

Gloria rise. «Buon Dio. Questa è ordinaria amministrazione. Qui tutti hanno le loro storielle. È praticamente obbligatorio. No, non vorrei mai stroncare un’amicizia sul nascere, ma è coinvolto in giri abbastanza loschi».

«Loschi? Di che tipo?».

Gloria fece spallucce. «Sono soltanto voci, ma diciamo che potrebbe metterti in pericolo».

«Non puoi dire così e poi tacere».

«Io non so altro, davvero, ma mio fratello potrebbe dirti di più».

«Sai che Edward mi ha chiesto di andare a cena con lui?»

«Gli piaci».

«Ma è sposato».

Gloria scoppiò in una fragorosa risata. «E allora?».

Belle sentì che stava arrossendo.

«Suvvia, mia cara. Il suo è un matrimonio solo di nome. Ed è un uomo importante. Potresti fare molto di peggio».

«Tipo diventare l’amante di qualcuno?»

«Non essere così rigida. È soltanto una cena».

«Ti ha chiesto di convincermi?»

«Quanto sei malfidata!».

«Comunque, alla fine ho accettato di andare a cena a casa del governatore».

Gloria sgranò gli occhi. «Be’, è un grande onore».

Tacquero, poi l’auto si fermò nei pressi dei laghi e l’autista andò ad aprire le portiere. Mentre scendeva, Belle si guardò attorno. Aveva già scoperto che Rangoon prendeva vita subito dopo l’ora del tè, con o senza latte in polvere, e quel giorno non fece eccezione. Il sole aveva esaurito il suo furore, ma il cielo era ancora di un magnifico azzurro e da un padiglione in lontananza il suono di una fanfara militare accoglieva le donne in arrivo. A mano a mano che scendevano dalle macchine guidate dagli autisti, diveniva sempre più chiaro che facevano parte della classe più abbiente e privilegiata. Gossip Point era davvero un punto panoramico mozzafiato sul lago Reale, e Belle che stimò a occhio e croce ci si fossero già radunate almeno una ventina di donne, mentre decine di giardinieri indiani erano ancora al lavoro.

«Non riesco a credere a quanto è verde», commentò Belle, osservando la vasta distesa di prati color smeraldo sui quali saltellavano uccelli simili a storni. «Ogni volta che penso di essermi ambientata almeno un po’, c’è qualcosa di nuovo che mi sorprende».

«Sfruttano l’acqua del lago per mantenerlo così verde».

Alberi in vari stadi di fioritura circondavano l’enorme lago e la profusione di fiori e piante rampicanti intorno agli argini rifulgeva di riflessi vibranti, in contrasto con lo straordinario bacino d’acqua azzurra.

«Di cosa parlano le donne?», sussurrò Belle mentre s’incamminavano.

«Più che altro delle ultime notizie di attualità. Le solite cose, sai. Di cosa sta succedendo in giro per il mondo. Ci aiuta a restare in pari. E anche delle notizie locali, ovviamente».

«Niente di più personale?»

«Perché non andiamo a salutare e lo scopri da sola?». Gloria le strinse delicatamente la spalla, come per incoraggiarla a farsi avanti. «Non mordono».

La maggior parte delle signore sfoggiava bei cappelli e vestiva alla moda, con abiti dai motivi poco appariscenti che slanciavano la figura, con l’orlo a metà polpaccio e le maniche a tre quarti. Purtroppo, era uno stile che poco si addiceva ad alcune delle donne più mature e in carne, che erano molto più anziane di Gloria e che, a giudizio di Belle, sarebbero state molto meglio se non avessero seguito pedissequamente le ultimissime tendenze. Nel gruppo c’erano anche alcune ragazze più giovani, le quali, come farfalle colorate, indugiavano un attimo prima di passare oltre.

«Mia cara, lei è Annabelle Hatton», ripeté Gloria, ancora e ancora, nel presentare Belle a una donna dopo l’altra.

Alla fine, quando sembrò essersi formato un gruppetto di cinque, la conversazione si spostò sulla storia di una barista.

«Deplorevole», dichiarò una delle più anziane mentre si sventolava sempre più rapidamente, incapace di nascondere una punta di esultanza perversa nel tono di voce.

«Pensateci. Un’inglese che si mette a fare la meretrice per strada», aggiunse un’altra.

«Roba da matti. E avete saputo…? Quasi mi vergogno a parlarne».

Quando la donna si interruppe, Belle capì che era impaziente di rubare la scena alle amiche.

«Oh, diccelo, Wendy».

«Non puoi tenerci sulle spine».

Wendy guardò ciascuna di loro. «Be’, ho appreso da fonti sicure che sta adescando servitori indiani».

Mentre le altre restavano a bocca aperta, Gloria fece l’occhiolino a Belle, che non riuscì a trattenere un sorriso.

Dopodiché la condusse altrove, verso una piccola donna rotondetta che era arrivata solo un minuto prima e si stava facendo strada verso la sponda del lago.

«Florence», la chiamò Gloria, sbracciandosi come una forsennata e poi sussurrando a Belle: «Era con Florence Outlaw che volevi parlare, giusto? Me ne ha accennato Edward».

Belle annuì.

Florence Outlaw aveva i capelli bianchi acconciati in un elegante chignon e una pelle morbida e rosea. Rivolse un gran sorriso a Gloria e andò loro incontro con un’andatura lenta e ondeggiante, accompagnata da un cagnolino bianco tenuto al guinzaglio.

«Florence, ti presento la mia nuova amica, l’incantevole Belle».

«Mio marito mi ha parlato di te. A proposito di Simone. Una donna talmente bella. Occhi ambrati, sai. Così insoliti».

«Suo marito mi ha detto che avete mantenuto i contatti», disse Belle. «Mi piacerebbe tanto conoscerla».

«Oh, mia cara, non è più qui con noi».

Belle aggrottò la fronte. «Ma è ancora viva?».

Florence sembrava tranquilla. «Grazie al cielo, sì... Ronnie non ti ha detto che è tornata a casa già da un po’ di tempo ormai?»

«A casa?»

«In Inghilterra. Nelle Cotswolds. Ti ho già segnato il suo indirizzo». Rovistò in una grossa borsa di tela e frugò nel suo contenuto. «Oh, e adesso dove diavolo è?»

«Conosceva bene mia madre?». Belle non ricordava che sua madre avesse mai avuto delle amiche.

Florence alzò gli occhi e annuì. «Migliori amiche, anche se dobbiamo tornare un po’ indietro nel tempo. Cielo, ti spiacerebbe tenermi aperta la borsa mentre lo cerco?».

Belle sorresse la borsa e, dopo pochi istanti, Florence localizzò un foglietto piegato a metà. «Evviva! Finalmente. Ecco a te, cara. Sono sicura che non le dispiacerà se le scrivi. Falle il mio nome».

«Grazie. Non vedo l’ora di chiederle se ricorda come sono andate le cose quando è scomparsa mia sorella».

Poco dopo, Belle si ritrovò da sola in mezzo a un gruppetto di donne che stava parlando dei pochi buoni partiti che ancora vivevano a Rangoon. Una di loro si voltò verso di lei e, dopo una rapida occhiata al suo anulare, la fulminò con uno sguardo carico di disprezzo.

«Povera me. Non sei ancora fidanzata?»

«No», replicò Belle con orgoglio. «Faccio la cantante allo Strand».

La donna impallidì visibilmente. «Oh, no. No, no. Non ci siamo proprio. Trovati un marito in men che non si dica. Non vorrai dover lavorare per sostentarti, e anche se proprio dovessi, sono sicura che potremmo trovarti una famiglia».

Belle si accigliò. «Scusi tanto, io…».

«Una famiglia che abbia bisogno di una governante, cara, una sistemazione rispettabile».

Una delle altre donne annuì, e Belle, ridendo di quella mentalità abominevole e antiquata, si affrettò ad accomiatarsi e si incamminò verso la sponda del lago. La sera stessa avrebbe scritto a Simone, sperando fosse più assennata di quelle donne.

Notò le sfumature rosa del cielo e, quando uno stormo di uccelli neri sorvolò il lago, spostò lo sguardo verso il sole, che stava tramontando dietro la pagoda Shwedagon. La pagoda dorata, che in quel momento era di un profondo color rame brunito, la affascinava e sembrava una creatura vivente che cambiava colore a seconda dell’ora del giorno. Completamente assorta nello spettacolo, Belle continuò a guardare l’orizzonte e si rese conto solo un poco alla volta che le altre donne si stavano scambiando i saluti – il tramonto era il segnale che dovevano tornare alle loro auto. Contemplò il cielo, lilla in alto, poi giallo, arancione e rosa, e infine di una cupissima tonalità bordeaux. “Questo è il colore della Birmania”, pensò. Poi localizzò Gloria, circondata da lucciole che brillavano come minuscoli diamanti nell’oscurità crescente, e osservò il suo passo languido e ancheggiante mentre le andava incontro. Sopra le loro teste, le stelle nascenti sembravano due volte più grandi che in Inghilterra.

Credi di sapere di chi puoi fidarti? Pensaci meglio…

La sera in cui Belle si incontrò con Edward per andare a cena a casa del governatore, sperò che il vestito che si era fatta confezionare nel quartiere cinese fosse abbastanza elegante. Il completo da sera indossato da Edward valorizzava la sua corporatura atletica e slanciata, e per certi versi metteva anche in risalto i fili d’argento tra i capelli sulle tempie. Belle non era poi così smaniosa di andare, poiché temeva che sarebbe stata una serata noiosa, ma, quando arrivarono a destinazione, l’opulenza dell’edificio la lasciò disorientata – sebbene non in modo particolarmente positivo.

«È stato completato nel 1895», disse Edward, notando il suo sbigottimento quando scesero dalla macchina. «L’architetto, Henry Hoyne-Fox, lo descrisse come “stile rinascimentale regina Anna”».

Belle annuì e continuò a osservare le imponenti torri a cupola e la stravagante architettura dell’edificio. «Ti piace?», domandò mentre procedevano insieme.

Lui scoppiò in una risata fragorosa. «Piacermi? No! Trovo che sia il peggior esempio di eccesso di ricercatezza che io abbia mai visto».

A dispetto delle riserve iniziali, e apprezzando la sua onestà, anche Belle rise.

«Vogliamo entrare? Credo che ci serviranno dei drink in terrazza, e poi ho alcune notizie da darti».

«Perché non me le dai adesso?».

Edward esitò, poi inclinò la testa. «È una storia abbastanza lunga».

«Non importa».

«Be’, il fatto è che un tizio che conosco ha trovato un verbale schedato al posto sbagliato negli archivi della polizia».

Le raccontò tutto strada facendo e le disse che a un certo punto un birmano era stato accusato di aver rapito la bambina, ma poi era stato rilasciato. Comunque, a quanto pareva, la polizia doveva aver trovato nuove prove, e alla fine aveva deciso di incriminarlo di nuovo, ma l’uomo era rimasto ucciso in un incidente stradale con la sua moto prima che lo arrestassero.

«Pare che la notizia non sia mai stata fatta trapelare sui giornali, ma, da quanto ho avuto modo di capire, c’è una forte probabilità che la polizia sia rimasta convinta di un suo coinvolgimento nella scomparsa della bambina, almeno in una certa misura».

«Che prove avevano? Posso vedere quel verbale?»

«Purtroppo, non possiamo consentirlo. Per la segretezza dei rapporti ufficiali e via dicendo. Ma ti ho detto tutto quello che ti serve sapere. E subito dopo i tuoi genitori sono tornati a casa, in Inghilterra».

«Tutto qua?».

Osservandola da distanza ravvicinata, confermò con un cenno del capo. «Sì. Tutto qua».

Belle avrebbe voluto assentire, ma qualcosa glielo impedì. «Peccato che non sia così, dico bene? Perché ancora non so cos’è realmente accaduto».

Lui annuì. «Ma non ti rassicura sapere almeno che tua madre è stata prosciolta da ogni accusa?»

«Sì, certo», rispose lei, anche se non riusciva a fare a meno di pensare a Elvira.

Edward si avvicinò e la prese per mano. «Senti, non so come tu possa sperare di scoprire cos’è successo a tua sorella dopo tutti questi anni, quando all’epoca la polizia fece un buco nell’acqua. È così importante per te?»

«Be’, no, all’inizio no, ma adesso…». Le si incrinò la voce.

Lo vide reprimere un sorriso. «Su, signorina, niente ma».

L’aveva detto con tono spensierato, e ci fu un breve attimo di silenzio prima che lei rispondesse.

«Grazie», disse lei alla fine.

Edward le fece un gran sorriso, e Belle si rese conto che stava cominciando a sciogliersi un po’ nei suoi confronti. «Forza, penso proprio che sia giunto il momento di goderci la serata, non credi?».

Non si era aspettata di divertirsi a una cena tanto formale, e invece, con sua grande sorpresa, scoprì che le piaceva stare insieme a Edward. Oltre a conoscere tutti, era un uomo vivace, intelligente, estremamente premuroso e di ottima compagnia. Tuttavia, Belle sapeva che a festa finita avrebbe di nuovo dovuto affrontare l’impresa di scrivere a Simone. Era complicato scrivere a una persona che non conosceva e, fino a quel momento, aveva già fatto tre inutili tentativi. E tutti e tre erano finiti appallottolati nel cestino. Quella sera sarebbe andata dritta al sodo e le avrebbe semplicemente chiesto cosa ricordava di sua madre e degli eventi del 1911.