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Quando Oliver si alzò e andò verso la lucida scrivania di tek disseminata di fogli e di tutto il necessario per scrivere, Belle continuò a sorridere.
«Mi piace molto questo posto», disse. «Ci vivi da tanto tempo?»
«Un paio d’anni».
«L’hai reso davvero confortevole».
Lui sorrise compiaciuto. «Lieto che sia di suo gradimento, madame».
Alla scrivania, aprì un cassetto e tirò fuori una cartelletta di cartoncino marrone.
«Allora», fece Belle, «cos’è?».
Oliver fece un respiro profondo, poi espirò lentamente. «Da quello che mi hai detto, qualcuno ti ha accennato che i tuoi genitori dovevano aver pestato i piedi a una persona importante, e che forse era successo qualcosa».
«Sì».
«Be’, ho passato un’ora negli archivi del mio giornale e ho trovato qualcosa che potrebbe confermarlo».
«L’hai fatto per me?».
Prima di proseguire, la guardò negli occhi. Belle non poté fare a meno di pensare a quanto le piacessero quel suo sorrisetto sbilenco e i suoi modi pacati. E a come la sua presenza sembrasse sempre infonderle un senso di… di… cos’era? Forse era la sensazione di trovarsi al posto giusto?
«Di norma, qualunque trasgressione da parte di un colonialista britannico viene messa a tacere, persino adesso, ma allora era ancora più vero, quindi per arrivare ad accusare pubblicamente tua madre doveva esserci un buon motivo».
«Per qualcosa che aveva fatto mia mamma?»
«In parte, ma tutto è cominciato con una sentenza impopolare di tuo padre».
«Cielo! Quale?»
«Fu una decisione fuori dall’ordinario».
Lei sospirò. «Per l’amor di Dio, sputa il rospo».
«Tuo padre condannò un ufficiale britannico al carcere per lo stupro di una donna indiana. L’intera comunità britannica era talmente scandalizzata che la sentenza venne ribaltata, ma la reputazione di tuo padre ne uscì profondamente intaccata».
Belle rievocò l’espressione solenne e gli occhi gentili di suo padre, e pensare che era stato trattato tanto ingiustamente la fece stare davvero male.
«E credi che sia il motivo per cui accusarono mia madre?»
«Forse. Ma c’è dell’altro. Durante un ricevimento ufficiale a casa del governatore, tua madre tirò un bicchiere di champagne addosso alla moglie del padrone di casa. Dritto in faccia. Non so perché, ma venne visitata da un medico e sedata. Guarda, qui ci sono gli articoli che ne parlano».
Belle sfogliò i vari ritagli ma, malgrado quelle notizie le stesse facendo girare la testa, era qualcos’altro a turbarla. Non riusciva a capire esattamente cosa, ma le stava dando un senso di inquietudine. Si alzò e andò ad appoggiarsi con la schiena a una parete fresca per riflettere.
«Che c’è?», le chiese Oliver.
Si rese conto che dubitava della storia di Edward. Le aveva parlato di un uomo che stava per essere incriminato e che era rimasto ucciso in un incidente in moto, ma adesso non ne era più tanto sicura. Sembrava un po’ troppo comodo, un modo per insabbiare rapidamente l’accaduto, nasconderlo sotto il tappeto e dimenticarsene.
E non condivideva neanche la stessa interpretazione di Oliver. Oliver aveva suggerito che sua madre fosse stata accusata a causa della sentenza di suo padre. Ma se le reazioni di sua madre erano talmente spropositate da arrivare a tirare un bicchiere di champagne in faccia a una persona così importante, persino prima che nascesse la bambina, forse questo dimostrava che era abbastanza pazza da aver fatto del male alla neonata. Un gesto che equivaleva a gettare dello champagne in faccia al re… be’, nessuna persona sana di mente avrebbe mai osato farlo.
Belle si avvicinò alla finestra per contemplare la deliziosa vista sugli alberi e ripensare a Edward. Il suo era stato un atto di gentilezza? Aveva cercato di proteggerla dalla verità perché sua madre era davvero colpevole? Aveva trovato una scusa talmente vaga per spiegarle perché non poteva leggere il verbale con i suoi occhi. O forse in fin dei conti la sua storia era vera, perché se sua madre fosse stata realmente colpevole, di sicuro non l’avrebbero mai lasciata andare. Era tutto così complicato, e le varie possibilità continuarono a vorticarle in testa fino a fargliela girare. Poi, rammentando il messaggio anonimo, prese la borsa, ci frugò dentro e si voltò verso Oliver.
«Anch’io devo farti vedere una cosa. È solo uno stupido biglietto», disse con noncuranza, per nascondere il fatto che in realtà l’aveva davvero turbata.
Oliver glielo sfilò dalle mani e lo lesse ad alta voce: «“Credi di sapere di chi ti puoi fidare? Pensaci meglio…”». Poi alzò gli occhi e la guardò con aria preoccupata. «Quando l’hai ricevuto?»
«Un po’ di tempo fa. Era in una busta fatta scivolare sotto la porta della mia stanza».
«Hai idea di chi possa avertelo mandato?».
Lei scrollò il capo.
«Ma da allora hai cominciato a chiederti di chi ti puoi fidare?»
«Be’, sì. Un pochino».
«Incluso me?».
Fece spallucce, ma quando rispose non riuscì a guardarlo negli occhi. «No, tu no».
Le si avvicinò e le posò una mano calda su ogni spalla. «Chiunque sia il responsabile ha fatto una cosa davvero crudele».
In imbarazzo, Belle si scostò leggermente, ma poi lo guardò dritto negli occhi e si sentì subito meglio. Ci vide talmente tanta correttezza e trasparenza che le venne voglia di abbracciarlo e poi di tenerlo stretto per un lungo istante. C’erano così tante cose lì a Rangoon che le apparivano infide e ignote. Ma ciò che era nato tra loro, qualunque cosa potesse diventare, era diverso e gradito.
«Non sei sola, Belle. Io sono dalla tua parte. Te lo assicuro».
E l’intensità del suo sguardo la convinse. Ma allora, se lui era dalla sua parte, da chi doveva guardarsi le spalle?