50
Belle lanciò un’occhiata a Oliver. «Hai trovato l’indirizzo della bambinaia?».
Le sorrise compiaciuto. «Tu che dici?».
Lei rise. «Sì?»
«Andiamo». Le tese una mano. «Meglio tornare all’appartamento. Sembra che voglia mettersi a piovere».
«Non dovremmo andare a cercarla subito?»
«Si sta facendo buio. Siamo entrambi stanchi e il suo chiosco è a Chinatown, che non è il posto ideale da frequentare di notte. Ci andremo domattina come prima cosa. A dire il vero, ho bisogno di fare una doccia, e sono sicuro che anche tu debba lavarti».
Belle si sentiva sudata sotto l’abito e, sì, avrebbe ucciso per una doccia, ma… «Non dovremmo darci una mossa?», chiese. «Se sa qualcosa, potrebbero arrivare a lei prima di noi».
«Vero. Prima mangiamo un boccone?».
Concordò e, dopo un viaggio in risciò fino a Chinatown, entrarono in un ristorantino con le luci soffuse e pieno zeppo di cinesi.
«È sempre un buon segno quando un locale è strapieno di gente del posto», commentò lui mentre si accomodavano all’ultimo tavolo disponibile.
«Spero che il servizio non sia troppo lento».
«Rilassati. C’è tempo, e l’ufficio per il rilascio delle licenze è già chiuso, quindi nessuno scoprirà che sappiamo dove si trova».
«Edward mi ha detto che sapeva che stavo facendo domande».
«È possibile che gliel’abbiano detto quelli dell’ufficio del catasto».
«Perché mai?»
«Un uomo come Edward ha informatori ovunque. Ma ricorda, al di là del nesso familiare, non abbiamo altri motivi per collegarlo alla bomba o alla scomparsa di Elvira».
Belle rifletté per un istante. «A eccezione di quanto ci ha detto Harry a proposito dell’unità di intelligence di Rangoon».
«Vero. Ma ci sono un sacco di altre persone che potrebbero esserne responsabili, non solo Edward».
«Perché lo stai difendendo?»
«No. Sto solo dicendo che ancora non lo sappiamo».
Tacquero e si misero in ascolto delle voci cinesi e del clangore e dell’acciottolio che provenivano dalla cucina. D’un tratto, più affamata di prima, a Belle venne l’acquolina in bocca sentendo il profumino aromatico delle spezie cinesi. Si stava guardando attorno, scrutando gli altri clienti, quando uno scroscio di pioggia improvviso, seguito da un tuono, attirò l’attenzione dei presenti. Tutte le teste si voltarono d’istinto in direzione della finestra, dove le luci del ristorante avevano tinto di rosso e oro la fitta cortina di pioggia.
«I monsoni», disse Oliver, e Belle riuscì a carpire il sollievo nella sua voce. «Le prime piogge della stagione. Meraviglioso».
Anche lei condivideva quel senso di meraviglia. L’umidità crescente era diventata insopportabile e, anche se la pioggia rendeva più difficili alcune cose, avevano bisogno di un attimo di tregua dal caldo.
Quando ebbero finito di cenare, Oliver prese un ombrello in prestito dal proprietario, promettendo che gliel’avrebbe riportato il giorno seguente.
Fuori, il mondo si era dissolto sotto il diluvio, con la pioggia che rilasciava nell’aria migliaia di odori e olezzi, alcuni gradevoli, come i profumi dei fiori che scendevano a cascata dai vasi alle finestre, altri meno allettanti. Forse olio rancido e qualcosa di acidulo che stava risalendo dalle fogne traboccanti. Il torrente di pioggia cancellava tutto ciò che altrimenti sarebbero riusciti a vedere e, nonostante l’ombrello, si ritrovarono bagnati fradici nel giro di pochi minuti. Oliver aveva un’idea abbastanza precisa di dove stavano andando e continuava a controllare gli androni e a sbirciare nei vicoli per capire la loro posizione esatta. Scorsero il bagliore dei fanali di un’auto che risaliva la strada a passo d’uomo, e Oliver la trascinò in un androne buio finché non li ebbe superati. Poco dopo, raggiunsero un’area dove le luci dei negozi erano ancora accese, come fari che brillavano fiocamente dietro un muro di pioggia scintillante.
«Chiediamo», disse alla fine, quando si fermarono davanti a un chiosco dei giornali. «Penso sia questo. Sono abbastanza sicuro di esserci già stato, anche se non è gestito da una donna. Conosco il proprietario».
Si aggrappò al braccio di Belle, poi aprì la porta. Entrarono insieme, scrollandosi l’umidità dai capelli.
Oliver spiegò chi stavano cercando, e l’uomo lo fissò con freddezza. «Come ho già detto all’altro tizio, se n’è andata. Non so dove».
«Suvvia, mi conosci. Non lavoriamo per il governo e credo che l’anziana signora possa essere in pericolo. Noi possiamo darle una mano».
L’edicolante sembrava confuso.
«Dimmi almeno che aspetto aveva l’altro tizio».
«Era alto. Un eurasiatico».
Belle e Oliver si scambiarono un’occhiata.
«Ma era in compagnia di un altro uomo. Più anziano, britannico. Non troppo alto. Magro, capelli grigi a quest’altezza». Si indicò le tempie. «Era il capo, comandava lui».
«Potrebbe essere Edward?», sussurrò Belle, ma poi pensò a quanti altri britannici potevano tranquillamente corrispondere a una simile descrizione.
«Senti», stava dicendo Oliver, «siamo venuti qui per aiutare la signora. Non vogliamo causare problemi».
L’uomo scosse la testa, ma sembrava sempre più preoccupato, e Belle si chiese come procedere. «Sicuro di non sapere dove sia finita?», fu la domanda con cui se ne uscì.
«Mi ha ceduto l’attività. Non c’è niente di illegale».
Belle sorrise e gli si rivolse con gentilezza. «Questo non ci interessa».
Socchiuse gli occhi. «E allora cosa volete?»
«Parlare. Siete parenti?».
L’edicolante aprì la bocca, ma, proprio quando Belle cominciava ad avere la sensazione che stessero arrivando a qualcosa, lui chiese a entrambi di andarsene. Si sentì profondamente sconfortata. Non c’era nessun altro a cui chiedere e adesso, a quanto pareva, non avrebbero mai scoperto chi aveva sepolto il neonato, o perché lo avevano seppellito al numero ventuno, e neanche l’identità del bambino. Non voleva ammetterlo, ma in fondo in fondo aveva la certezza che fosse sua sorella.
Proprio in quell’istante, però, un’anziana emerse dal retro del chiosco. L’uomo le fece subito cenno di tornare dentro, ma Oliver l’aveva preceduto.
«Liu Lin?», stava domandando, e la donna annuì senza riflettere. «Facevi la bambinaia?».
Annuì di nuovo, guardinga. «Tanto tempo fa».
L’edicolante le si rivolse in un dialetto cinese, ma lei agitò una mano per accantonare qualunque cosa le avesse detto.
«Parlerò con voi. Di sopra».
Seguirono l’anziana su una scala stretta e angusta. Arrivati in cima, la donna scostò una tendina e spinse una sezione del pannello di legno nascosto dietro. Varcarono quella che era indubbiamente una porta segreta ed entrarono in quella che doveva essere la casa a fianco.
«Casa di mia sorella», disse a mo’ di spiegazione. «Morta. Ora è mia e mio fratello ha il negozio. Mi sto nascondendo qua dentro».
Indicò a entrambi di sedersi sui cuscini sparpagliati sul pavimento.
«Di che cosa volevate parlare?», chiese non appena si furono accomodati.
Fu Belle a prendere la parola. «Volevamo sapere se la bambina che è stata sepolta nel giardino della casa di George de Clemente, presso cui lavoravi, è mia sorella».
Liu Lin la fissò con attenzione per un lungo istante.
«Ti prego, se sai qualcosa, diccelo», la implorò Belle.
«Chi era tua sorella?»
«I miei genitori, Diana e Douglas Hatton, vivevano due case più avanti, nella Valle Dorata. La loro bambina, mia sorella, una neonata di nome Elvira, scomparve dal giardino di casa nel 1911».
L’anziana signora scosse la testa. «Non era lei».
«Allora chi era?»
«Mi diedero dei soldi per comprare il mio silenzio».
«Chi? Ti prego, diccelo».
«Il corpicino sepolto nel giardino della casa della famiglia de Clemente apparteneva alla figlia della mia padrona. Nata morta».
Belle aggrottò la fronte. «Ma perché doveva essere un segreto?».
Liu Lin si morse il labbro e impallidì.
«Qualcuno doveva aver saputo che la bambina non era sopravvissuta».
«Solo io. Io sì. La bambina era un pochino prematura e assistetti la signora durante il parto. Il signor de Clemente era ancora in viaggio, di ritorno dagli Stati degli Shan, e arrivò tre giorni dopo».
«E poi?»
«La signora de Clemente era impazzita, mi assicurò che se l’avessi detto a qualcuno mi avrebbe licenziata. Rifiutava di accettare la morte della bambina, non voleva che mi avvicinassi, non mi lasciava organizzare un funerale, non permetteva a nessuno di entrare nella sua stanza. Tranne che a me. Nessuno in casa sapeva che la bambina era morta. Dissi agli altri che andava tutto bene e che la signora de Clemente aveva bisogno di un po’ di tranquillità. Il giorno dopo, quando sentì la bambina degli Hatton che piangeva e piangeva…».
La donna si interruppe, ma Belle, affascinata dalla storia e con un groppo in gola, sapeva come sarebbe andata a finire.
«Si introdusse nel giardino del numero ventitré, da un sentiero che passava dietro tutte le proprietà, prese la bambina e la portò a casa. Quella notte, mi disse di seppellire sua figlia nella parte più incolta del nostro giardino, dove non andava mai nessuno».
«Oh, buon Dio!», esclamò Belle quando la verità cominciava a fare presa.
«Scavai una buca e coprii la terra smossa con rami e foglie. Dovetti aspettare che tutta la servitù fosse tornata a casa o fosse andata a dormire».
«E nessuno collegò mai le due cose quando scomparve Elvira?», domandò Oliver.
«No, perché nessuno tranne me sapeva che la bambina della signora de Clemente era nata morta».
«Nemmeno un dottore?»
«Mi impedì di chiamare il medico».
«E suo marito? A lui disse la verità?»
«No».
«Non ne sapeva nulla?»
«Quando la polizia cominciò a cercare la bambina scomparsa, mi spaventai e gli raccontai cos’era successo. Pensavo che avrebbe convinto sua moglie a restituire la bambina, ma disse di no. Piuttosto avrebbero lasciato Rangoon. Lo scandalo, se la gente avesse scoperto che sua moglie aveva rapito una neonata, l’avrebbe mandato in rovina».
«E così andarono a Kalaw?»
«Io andai con loro. Dissero a tutti che stavamo andando in vacanza, ma dopo una settimana tornammo a Rangoon nel cuore della notte. Mi diedero un sacco di soldi affinché non parlassi mai dell’accaduto, dopodiché lasciarono il Paese in macchina, in gran segreto. Credo che fossero diretti in Thailandia. Di sicuro non si sono più fatti rivedere in Birmania. Mi dissero che sarei morta se avessi parlato, così comprai il negozio e queste due case, una per mia sorella e una per me e mio fratello».
Oliver sembrava incredulo. «E non hai pensato a come dovevano sentirsi gli Hatton? Non ti è mai venuto in mente di andare alla polizia?»
«Provai a far capire alla signora de Clemente che era sbagliato, ma lei mi inveiva contro, e con il signor de Clemente era anche peggio. Minacciava la mia famiglia. Ero spaventata».
«Ma avranno dovuto farsi aiutare da qualcuno per scappare, no?»
«Tornammo a Rangoon da Kalaw con una macchina, poi incontrammo il nipote del signor de Clemente all’hotel Strand».
«Edward de Clemente», disse Belle con un filo di voce, nauseata.
«Sì, il signor Edward. Veniva spesso a trovarli a casa per cena. Suo zio lo aiutò a fare carriera».
«C’è da scommetterci», commentò Oliver con tono deliberatamente brusco.
«Suo nipote aveva un’altra macchina che li stava aspettando».
«E così la mia sorellina è andata con loro e la mia povera mamma è stata accusata di aver fatto del male a sua figlia».
«Mi dispiace».
«Perché rivelarci tutto proprio adesso?»
«Sono malata. È stata una cosa terribile. Non voglio andare nella tomba portandomi questo peso sulla coscienza».
«Edward de Clemente ti ha mai minacciata?».
Annuì. «Ha minacciato mio fratello».
«Di recente?»
«Qualche mese fa. Io ero quassù, ma ho sentito che mio fratello gli diceva che ero andata in Cina. Edward de Clemente gli ha detto che se fosse venuto qualcuno a fare domande, doveva farglielo sapere o sarebbe finito nei guai».
«Perché non te ne sei andata, allora?»
«Ho intenzione di farlo».
«E tuo fratello, verrebbe con te?»
«Sì, ma prima devo vendere le case. Senza soldi, dove potremmo andare? So che restando potremmo finire entrambi ammazzati, ma non ho ancora trovato un acquirente e, come vi ho già detto, sono malata».
Oliver le appoggiò una mano sulla spalla e le parlò con gentilezza. «Sei disposta a raccontare tutto alla polizia?».
La donna chiuse gli occhi e non rispose per alcuni momenti, ma alla fine acconsentì.
Oliver le rivolse un sorriso incoraggiante. «Sarebbe meglio che tu e tuo fratello veniste con noi e vi fermaste in un posto sicuro, almeno finché non avrai rilasciato questa testimonianza alla polizia».
Lei annuì.
Lì per lì, per Belle fu un grandissimo shock, ma poi, a poco a poco, malgrado avesse sentito com’erano andate veramente le cose, un’emozione che somigliava alla speranza cominciò a crescere e a prendere il sopravvento su tutte le altre. Se i de Clemente erano andati in America, e se a Elvira non era accaduto niente di terribile negli anni successivi, forse aveva ancora una vera sorella ed era viva. Era più di quanto avesse osato immaginare e il cuore le si riempì di nuove prospettive e speranze.
Prima di parlare, osservò attentamente l’anziana. «Sai se la bambina è sopravvissuta?».
Liu Lin e suo fratello vennero portati al sicuro e rilasciarono le loro deposizioni alla polizia. La mattina successiva, di buon’ora, Belle, rimasta da sola nell’appartamento di Oliver, mentre lui era uscito a comprare qualcosa da mangiare, stava rimuginando su tutto. A un tratto sentì bussare alla porta e, dopo un momento, udì la voce di Gloria.
«Belle, se sei in casa, fammi entrare. Per l’amor di Dio, è un’emergenza».
Era esitante, ma la rabbia che provava sentendo la voce di quella donna le fece capire che doveva affrontarla di persona.
Quando Gloria entrò in casa, Belle ne rimase sconvolta. La sua faccia era un disastro. Portava il trucco del giorno prima e si notava quanto fosse colato nelle rughe d’espressione attorno agli occhi e nelle linee più scavate che andavano dal naso alla bocca. Puzzava di profumo stantio e il bianco degli occhi gonfi era iniettato di sangue.
«Mi devi davvero aiutare», disse tutto d’un fiato, senza guardarla mentre faceva avanti e indietro per la stanza, fuori di sé.
«Che vuoi dire?».
Gloria la fissò esterrefatta, come se fosse una stupida. «È tutta colpa tua. Hanno arrestato Edward e l’hanno accusato di aver ostacolato il corso della giustizia. Se lo mettono in carcere, rischia di perdere tutto. Carriera, reputazione, amici».
«Intendi un po’ come i miei genitori, che hanno perso tutto ciò che contava?»
«Mi dispiace, Belle, ma quello è successo talmente tanto tempo fa. Qui parliamo del presente, ed Edward potrebbe ancora avere un futuro talmente brillante. Non vorrai distruggerlo, vero?».
La sconcertava che Gloria potesse svilire tanto a cuor leggero quanto era accaduto ai suoi genitori.
«Non penso che tu capisca quanto abbiano sofferto i miei genitori. E quali ripercussioni abbia avuto su di me».
«Ma se non hai mai conosciuto tua sorella».
«Ha fatto impazzire mia madre. Penso fosse arrivata a convincersi di aver fatto del male alla sua bambina».
«Edward stava soltanto aiutando suo zio. Non è mica stato lui a prendere la bambina».
«Ha occultato tutto. È un reato punibile a livello penale, Gloria. Fosse per me, lo accuserei anche di concorso in reato e favoreggiamento, nonché di aver intralciato le indagini della polizia. E vale anche per te».
«Ti giuro che all’epoca io non ne sapevo niente. È venuto fuori soltanto dopo…». Le si affievolì la voce mentre Belle la guardava con aria torva.
Gloria si accese una sigaretta, poi cercò di arruffianarsela. «Senti, farò tutto quello che vuoi. Potrei contattare mia cugina, Emily… si chiamava Elvira, giusto? Potresti aiutare Edward a uscirne pulito se lo facessi?».
Belle rimase ferma immobile. Era ancora viva. Finalmente ne aveva la certezza. Sua sorella era ancora viva.
Tuttavia, ora che aveva avuto la sua conferma, non sapeva bene come reagire. Dopo tutto quello che aveva passato, si limitò a fissare Gloria mentre il sollievo crescente si opponeva alla sua collera. Si fece coraggio. Gloria e suo fratello le avevano tenuta nascosta l’esistenza di sua sorella e questa era una cosa che non poteva essere perdonata.
«Lei lo sa? Emily sa cosa le è successo?».
Gloria annuì.
«Quando l’ha scoperto?»
«Quando è morta sua madre, Emily ha trovato una lettera… Marie aveva confessato tutto».
«Quando?»
«Appena qualche mese fa».
«E quindi?»
«E quindi cosa?»
«Sa di me?»
«No».
Dopo un lungo attimo di silenzio, Belle strinse i pugni e sbuffò. «E pensi che basti contattarla per rimediare a ciò che hai fatto?»
«Be’, cos’altro vorresti? Ho molto denaro».
Mentre la sua rabbia si tramutava in glaciale freddezza, Belle articolò i propri pensieri con amara precisione. «Tu fraintendi le mie parole. Tu lo sapevi che stavo cercando Elvira. Tu mi hai fatto credere che c’era la possibilità che fosse stata mia madre ad averle fatto del male».
«Io…».
Belle alzò una mano. «No! Tu non hai il diritto di parlare. Mi hai incoraggiata a lanciarmi in un’impresa inutile con Harry, a causa della quale, dovrei aggiungere, per poco non sono stata ammazzata. Quanto sarebbe stato comodo. E immagino che il mio piccolo faccia a faccia con la morte non abbia nulla a che vedere con te o tuo fratello, giusto?».
Gloria scrollò il capo. «Non ne so niente, e sono sicura che anche Edward ne è all’oscuro. Puoi dimostrare che è stato lui?»
«Probabilmente no, ma la nostra testimone sì che può attestare quanto accaduto ventisei anni fa».
«Ti prego, Belle. Edward era così giovane all’epoca, stava appena cominciando a fare carriera. Ti supplico di chiedere alla testimone di ritirare la sua accusa».
Belle la fissò in preda all’incredulità.
Gloria si lasciò cadere di peso su una sedia, coprendosi il viso con le mani, si mise a piangere. «Distruggerà il nome della nostra famiglia».
«Stammi bene a sentire, Gloria, perché ora ti spiego cosa faremo. Tu mi darai l’indirizzo di Emily, così la contatterò di persona. È il minimo che tu possa fare».
«E cosa ne sarà di Edward?»
«Edward avrà esattamente quello che si merita».
Scosse la testa mentre continuava a fissare Gloria, e nessuna delle due donne aggiunse una sola parola, ma c’era una luce negli occhi dell’altra, una consapevolezza, il senso di colpa forse, che la lasciò a bocca aperta. All’improvviso, ebbe la sensazione che le si fosse gelato il sangue nelle vene. «Sei stata tu, vero? Me li hai mandati tu quei biglietti anonimi. Per l’amor di Dio, Gloria, perché?».
Si aspettava una smentita categorica, ma Gloria non negò affatto. Anzi, in uno slancio di spavalderia, i suoi occhi si illuminarono. «L’ho fatto con le migliori intenzioni. Volevo evitare che ti avvicinassi troppo alla verità. Se avessi scavato troppo a fondo, avevo paura che ti saresti messa in pericolo».
«In pericolo a causa di chi?».
Gloria ignorò la sua domanda, ma Belle sapeva che si stava riferendo a Edward. «Speravo che i biglietti ti incoraggiassero ad andartene».
Belle fece un fischio. «Santo cielo. Questa sì che è bella! E sei orgogliosa di ciò che hai fatto? Mi stavi proteggendo?».
Gloria annuì inebetita. «Ecco perché ti ho spronata ad andare a Mandalay. Avevo bisogno di tempo per trovare un modo per convincerti ad abbandonare le ricerche, soprattutto a Rangoon».
«Però all’inizio mi hai aiutata».
«Sarebbe stato troppo evidente che avevo qualcosa da nascondere se avessi cercato di ostacolarti».
«Vale anche per Edward?».
Lei assentì con un cenno del capo. «Nessuno dei due pensava che avresti mai riportato a galla la verità».
«E così mi hai messa in guardia da Oliver. Sapevi che disponeva dei mezzi e dei contatti giusti per farlo. Ti eri resa conto che avrebbe capito dove cercare».
Gloria non mosse un muscolo, il volto pietrificato se non per il mascara che le stava colando sulle guance. Belle non provò neanche un briciolo di pietà per lei.