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Harry Osborne si rivelò essere un uomo scrupoloso e con un’ottima padronanza della lingua birmana. Il suo lavoro consisteva nell’ispezionare l’andamento del Paese e nel redigere un resoconto per il governo, descrivendo nel dettaglio l’utilizzo dei terreni e le attività delle aree più remote della Birmania. Uomo oltremodo preciso, con i capelli color sabbia e gli occhiali dalla montatura di metallo che continuavano a scivolargli sul naso, sembrava stranamente fuori posto in quel locale, dove sorseggiò in silenzio la sua limonata e declinò le offerte di alcolici da parte di Gloria.

Il forte odore di incenso che proveniva dall’angolo della sala faceva bruciare gli occhi a Belle, che cominciò a tossire. Quando si riprese e spiegò che stava cercando di scoprire la verità su sua sorella, Harry annuì lentamente e si guardò attorno, come per assicurarsi che nessuno potesse sentirli.

Poi fu Gloria a intervenire. «Harry conosce tutti gli abitanti dei villaggi lungo quella tratta. I birmani, intendo. Se qualcuno ha notato qualcosa, lui è l’unico a poter cavare le parole di bocca a quella gente. Non lo batte nessuno, ed è una grandissima fortuna che stia per mettersi in viaggio. Ma lascerò che sia Harry a spiegarti tutto», disse, indirizzandogli uno dei suoi abbacinanti sorrisi.

«Se desidera accompagnarmi a Mandalay…», esordì lui, parlando a voce così bassa che Belle dovette sporgersi tanto da ritrovarsi praticamente a un palmo dal suo naso, e riuscì addirittura a percepire nell’alito dell’uomo un vago sentore di pesce.

«Parto tra tre giorni», continuò Harry, «e non tornerò prima di dieci mesi. Vede, dopo Mandalay andrò a nord-ovest, fino all’aspro confine tra le montagne e il fiume Chindwin. Sono certo di poterle organizzare alcuni incontri fruttuosi a Mandalay. Magari persino con il commissario distrettuale. Mi dia un giorno o due ed escogiterò un piano».

Belle deglutì. Tre giorni. Avrebbe dovuto decidere in fretta. Ora che aveva finalmente conosciuto Harry e l’escursione sul fiume era diventata più reale, la storia della bambina bianca avvistata sul battello con una coppia birmana la stava tentando. Se Harry fosse davvero riuscito a persuadere un alto ufficiale a riceverla, ci sarebbe stata la possibilità di avvicinarsi alla verità, o almeno di portare alla luce una qualche pista. Era una scommessa azzardata, naturalmente, ma se la fortuna fosse stata dalla sua parte, magari avrebbe potuto incontrare qualcuno che li aveva visti.

«Quanto tempo ci vuole per risalire il fiume?»

«Due settimane».

«Due settimane?». Aveva ingenuamente sperato in un paio di giorni, che le avrebbero comunque consentito di andare a Sydney.

Harry le rivolse uno sguardo annoiato. «Inoltre, il treno per tornare a Rangoon non sempre è così veloce. Possono volerci più di dodici ore, a meno che non ci siano inondazioni, perché in quel caso chi può dirlo. Anzi, se ha intenzione di tornare in treno, dovrà farsi trovare pronta molto prima che arrivi il periodo dei monsoni».

«E quando sarebbe?»

«All’inizio di giugno, in genere».

Perlomeno c’era abbastanza tempo prima delle piogge, eppure era innegabile che l’intero viaggio si sarebbe potuto rivelare una totale perdita di tempo: una falsa pista che le sarebbe costata l’opportunità di procurarsi un agente.

Gloria, che ovviamente si era accorta della sua titubanza, intervenne: «Cara, dovresti proprio andare. Il viaggio è assolutamente sicuro, quantunque Harry, poverino, potrebbe giocarcisi la testa».

Non capendo, Belle aggrottò la fronte.

«Spera di raggiungere il Nagaland. I Naga sono famigerati cacciatori di teste». E scoppiò a ridere, anche se Harry, notò Belle, non condivideva la sua ilarità.

«A dire il vero, Gloria, sono un po’ più preoccupato per le tigri», disse, «e per quanto riguarda i Naga, mi limiterò soltanto a ispezionare il territorio, benché sia senz’altro necessario scoprire se esista la possibilità di persuadere alcuni di loro a unirsi alle nostre forze militari».

Durante quello scambio di battute, Belle si era soffermata a pensare, e non ai cacciatori di teste o alle tigri. «E Clayton Rivers?», chiese, rivolgendo uno sguardo ansioso a Gloria. «Non aspetterà».

«Da quanto ho capito, è un semplice ruolo da sostituta. Ci saranno occasioni migliori. Magari in futuro ti rappresenterà comunque, no?»

«Ha precisato che dovrò farmi trovare a Sydney alla fine della prossima settimana».

Gloria sbuffò. «Non credere a tutto quello che ti viene detto, soprattutto quando ha a che vedere con mio fratello. Dammi retta, non ti porterà a nulla. Comunque, sono abbastanza sicura che Edward possa convincere Clayton a prenderti a prescindere. Quell’uomo è in debito con lui».

«Perché?»

«Tempo fa Edward gli ha prestato del denaro, quando Clayton stava prendendo piede nel mondo dello spettacolo».

Belle gonfiò le guance e lanciò un’occhiata a Harry Osborne, il quale stava fissando con aria imbronciata il fondo del suo bicchiere vuoto. Era avvolto da un’aura di indefinibile tristezza. Cosa avrebbe dovuto fare? Accettare la sua offerta o quella di Clayton Rivers?

Un’ora dopo, quella mattina, Belle bussò all’appartamento di Oliver. Passarono alcuni minuti prima che lui venisse ad aprire, così, quando lo fece, lei stava per andarsene. Era malconcio, con i capelli scompigliati e ombre scure sotto i begli occhi dalle lunghe ciglia nere. Doveva essersi appena alzato dal letto e, con addosso soltanto un asciugamano avvolto attorno alla vita, si stirò e sbadigliò.

«Che ti è successo ieri sera?», le chiese con voce roca, e la sua freddezza la fece trasalire.

«Ti ho svegliato?», domandò lei, cercando di non fissargli troppo apertamente il petto nudo, con l’ombelico scoperto e un accenno di peluria arricciata poco più in basso. Provò un maremoto di emozioni e una stretta al cuore dinanzi alla sua pelle dorata, e allungò una mano per toccarlo. Poi, però, gli scorse sul collo una sbavatura simile a rossetto e rimase di sasso.

Lui si accigliò. «Come puoi ben vedere, non sono esattamente in condizioni di ricevere ospiti».

«D’accordo», disse, confusa, chiedendosi se stesse nascondendo un’altra donna nel suo appartamento. «Ci vediamo un’altra volta allora».

Quando fece per andarsene, lui le mise una mano sul braccio. «Scusami. Entra. Mi butto sotto la doccia e poi preparo il caffè, se non ti spiace aspettare».

Belle lo seguì in casa e, fermandosi a osservarlo dalla soglia della cucina mentre preparava il caffè, rimase per un momento in silenzio.

«Pensavo che prima avresti fatto una doccia», disse alla fine.

Girò la testa per guardarla. «Hai ragione, è vero». Le porse una tazzina di quello che doveva essere caffè ristretto e svuotò la sua in un unico sorso. «Non ci metterò molto».

«Fai con comodo. Non vado di fretta. Volevo spiegarti cos’è successo ieri sera».

Lui annuì, quindi attraversò il salotto per andare in bagno. Belle sentì i gemiti e i cigolii delle tubature e il rumore dell’acqua corrente. Avrebbe potuto telefonare, ma moriva dalla voglia di vederlo di persona, e adesso quel segno di rossetto la turbava. Si sforzò di trovare ragioni innocenti per quell’allarmante presenza rosa acceso sul suo collo, ma fallì miseramente. Cosa stava a indicare? O meglio, chi stava a indicare? Provò a concentrarsi sul salotto dalle tinte chiare, osservando i mobili di rattan, i cuscini di seta color smeraldo e i magnifici tappeti persiani verdi e azzurri, tutti al solito posto. Dopo aver appoggiato la tazzina vuota sul tavolino da caffè, rovistò in una pila di riviste, poi andò alla finestra per godersi la vista sugli alberi ad alto fusto.

«Bel panorama, eh?», fece Oliver, e Belle si voltò di scatto perché non l’aveva sentito entrare. Pallido malgrado l’abbronzatura, non si era rasato e sul mento si intravedeva ancora un velo di barbetta.

«Volevo darti una spiegazione».

Lui si strinse nelle spalle. «Davvero, non importa».

«Invece sì. Mi dispiace. È successa una cosa dell’ultimo minuto».

«Qualcosa di importante, immagino», osservò lui con un tono insolitamente distaccato.

«Be’, sì».

Oliver allungò una mano. «Andiamo. Sediamoci. Sono davvero stanco morto».

«Nottata pesante?», chiese Belle, gettando via la rivista.

«Già. Ho incontrato per caso una vecchia conoscenza».

Mentre si sedevano sul divano, gli si rivolse con più spavalderia del previsto. «Una donna?».

I suoi occhi azzurri si spalancarono. «Come fai a saperlo?».

Lei sollevò il mento e gli rivolse un’occhiataccia stizzita. «Il segno di rossetto che hai sul collo. Indizio abbastanza lampante, non credi?».

Invece di risentirsi, Oliver si mise semplicemente a ridere. «Gelosa?»

«Non dire assurdità».

Conscia che la sua diffidenza stava straripando e infastidita con se stessa per la propria petulanza, si affrettò a rialzarsi. «Meglio che vada».

«Non mi hai spiegato perché mi hai dato buca».

«Oh, niente di che, solo per un agente teatrale di fama internazionale che Edward ha portato a conoscermi! Sai, cose che capitano tutti i giorni… Comunque, me ne…».

«Se desideri andare, fai pure». Oliver alzò le mani e fece spallucce.

«Infatti vado». Ma non si mosse. Invece, con suo grande orrore, cominciarono a bruciarle gli occhi e, quando sgorgarono le lacrime, le asciugò stizzita con il dorso della mano. Lui fu istantaneamente al suo fianco, la prese tra le braccia e la strinse forte a sé. Belle sentì il battito del suo cuore contro il petto e le parole che le stava sussurrando all’orecchio.

«Dai, tesoro, non litighiamo. Mi sono ubriacato con una vecchia amica, tutto qua. Non c’è stato niente, te lo giuro».

Lei si ritrasse e tirò su con il naso. «E il rossetto?»

«Un bacetto destinato alla guancia ma che dev’essere finito sul collo quando ci siamo salutati. Niente di più. Ero arrabbiato perché mi avevi dato buca e ho bevuto più del previsto».

«Vecchia amica o vecchia fidanzata?».

Oliver si grattò la nuca. «La seconda. Più di un anno fa. Adesso è felicemente sposata».

Il suo sguardo sincero, completamente privo di malizia, la rassicurò. Belle comprese di aver reagito in modo spropositato e annuì. Dopotutto, non si erano fatti alcuna promessa e non avevano neanche pubblicamente annunciato di essere una coppia. Non aveva alcun diritto di essere turbata. Oliver era una persona indipendente, e anche lei. Avevano iniziato la giornata con il piede sbagliato, ma potevano passarci sopra.

Belle si passò il pollice sul mento e se lo sfregò, ancora titubante riguardo al viaggio sul fiume. «Devo prendere una decisione», disse. «Volevo discuterne con te…».

«Be’, sono qui per questo».

Si riaccomodarono e, mentre lui le teneva la mano, Belle gli spiegò la situazione.

«Ti fidi di Edward?», le domandò poi, poco convinto. «Questo agente è una persona perbene?».

«Perché non dovrebbe esserlo?»

«Guarda, non vorrei fare il guastafeste, ma, da quanto ne so io, Edward è un uomo infido».

«In che senso?».

Un’ombra passò sul volto di Oliver. «Non ne ho le prove, ma gira voce che abbia ostacolato il corso della giustizia in più di un’occasione».

Belle si irrigidì leggermente, i pensieri in tumulto. «Ma ciò non significa che quello non sia un vero agente. E comunque, come fai a sapere di Edward?».

Oliver le rivolse un sorrisetto sbilenco. «Un buon giornalista non rivela mai le sue fonti», rispose con ironia.

«Cosa fa di preciso? Come lavoro, intendo».

«Be’, la storia vuole che sia un influente consigliere del commissario di polizia».

«E tu non ci credi?».

La sua alzata di spalle fu evasiva.

«Cosa stai cercando di dirmi?»

«Che è la mente dietro una serie di operazioni equivoche. Quando conveniva, lui e altri individui hanno messo a tacere più di una mia inchiesta, e le persone che lo hanno sfidato sono scomparse. Edward, come tanti altri, non si fa scrupoli quando si tratta di salvaguardare il potere e la dignità dei britannici».

Belle aggrottò la fronte. Quella non era la persona che aveva imparato a conoscere. Edward era sempre stato disponibile e gentile con lei. Anzi, gli si era persino affezionata parecchio.

«In ogni caso, la cosa più importante è scoprire cos’è successo a tua sorella, giusto?»

«Be’, sì. Forse. Ma…».

Oliver la interruppe. «E cosa te ne è parso di Harry Osborne?»

«Lo conosci?»

«Di nome. Ho sentito dire che è un tipo in gamba, molto stimato nel suo campo».

«L’ho trovato abbastanza simpatico, anche se un po’ taciturno».

Lui sorrise e i suoi occhi si illuminarono. «Sono le acque chete quelle da cui ti devi guardare».

«Oh, tu non puoi certo essere accusato di essere silenzioso». Quando le fece una boccaccia, lei gli diede un colpetto sul petto. «Esiste un solo americano davvero taciturno?».

Rise, ma poi tornò subito serio. «Quella bambina bianca sulla barca è il primo indizio decente che hai trovato. E se tu riuscissi ad arrivare a Mandalay, là potresti scoprire qualcosa di più, soprattutto se avessi la possibilità di parlare con un funzionario ai vertici, il comandante della polizia o qualcuno di quel livello».

Oliver stava dando voce ai suoi stessi pensieri, ma era comunque una decisione difficile da prendere. Se avesse intrapreso il viaggio sul fiume, non sarebbe riuscita a rispettare i termini del signor Rivers. Le cose stavano così, e anche se Gloria le aveva fatto notare che potevano esserci altre occasioni, avrebbe avuto ragione?

Con un’espressione elettrizzata, e alzandosi in piedi, Oliver cominciò a fare avanti e indietro per la stanza. «Pensaci! Se seguissimo questa pista e venisse fuori qualcosa… se scoprissi cos’è accaduto, o magari trovassi persino Elvira viva, pensa che storia meravigliosa sarebbe. Immagina i titoli: “Affascinante donna inglese risolve il caso della bambina scomparsa”. “Cantante fa luce sul mistero”. Sarebbe la notizia dell’anno. Potrebbe persino fare il giro del mondo o, senti questa, magari potrebbero farci un film. Faremmo fortuna!».

Calò un lungo attimo di silenzio.

«Belle?».

Lei prese una boccata d’ossigeno. Come aveva fatto a essere così ingenua? Come aveva fatto a riporre la sua fiducia in una persona che riteneva ammissibile vendere le vicende private della sua famiglia, la loro tragedia addirittura, metterle in piazza e farle diventare materia di pettegolezzo? Un film… per l’amor del cielo! Le vennero i brividi e si alzò di scatto.

«Storia?», balbettò, troppo sconvolta per aggiungere altro.

«Belle, io…».

Lei scosse la testa. «Non posso farlo».

Mentre dolorose ondate di delusione la travolgevano e la verità veniva a galla, il caldo all’interno della stanza si faceva via via più intenso. «Sono questo per te? Uno scoop?»

«No. Non intendevo…».

«Fermati subito». Indietreggiò. «Mi avevano messa in guardia da te».

Oliver contrasse la mandibola e rimase completamente immobile a fissarla. «Avevano?»

«Ho scelto di non credere alle loro parole».

Avvertì una stretta al petto. Era stata così stupida. Ora voleva soltanto andarsene alla svelta, e non dover più ripensare alla sua slealtà.

«Non è di Edward che non mi dovrei fidare, vero? Ma di te».

«Belle, questa è una reazione spropositata…».

Alzò una mano per metterlo a tacere. «Stai passando del tempo con me perché stai dando la caccia a una grande notizia. Hai bisogno del mio aiuto per scoprire la verità. Il grande scoop di Oliver Donohue!».

Lui le rivolse uno sguardo talmente singolare da farle temere che le si potesse spezzare il cuore. Poi scrollò il capo. «Hai frainteso tutto», disse con una risata vuota, «ma credo che tu sia più simile a loro di quanto pensassi. Se riponi la tua fiducia in Edward e nei suoi compari, sarà peggio per te».

Belle si sentiva triste, sola e incredibilmente delusa, ma, facendosi coraggio e decisa a conservare la dignità, ricacciò indietro il groppo che le era salito in gola. «Mi spiace che la mia amicizia con Edward non incontri la tua approvazione. Non voglio disturbarti ulteriormente. Tu non sei interessato a me. Sono stata una sciocca a pensare il contrario…».

Lui la osservò incredulo per un istante, poi fece spallucce.

Nel momento esatto in cui lasciò l’edificio, Belle prese una decisione. Al diavolo la sua storia! Al diavolo il viaggio sul fiume. Non ci sarebbe andata. Né ora né mai. Accecata dalle lacrime di rabbia che presero a rigarle le guance non appena scese in strada, e fomentata dal dolore per essere stata ingannata, rimase scioccata dalla ferocia della propria reazione di fronte a quanto era successo. La noncuranza con cui aveva scrollato le spalle alla fine aveva suggellato il tutto. E adesso il dolore la flagellava. Come? Come poteva essere stato tanto menefreghista? Tanto insensibile di fronte alle pene della sua famiglia? Era difficile dover accettare il fatto che la persona in cui aveva riposto la sua fiducia non era chi aveva pensato che fosse. Poi si ricordò del biglietto anonimo. “Credi di sapere di chi ti puoi fidare?”.