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Il battello fluviale, di proprietà della Irrawaddy Flotilla Company e capitanato da uno scozzese, era più piccolo di quanto Belle si fosse aspettata, ma la cabina in prima classe era accogliente e confortevole. Dopo il sollievo provato apprendendo, grazie a Edward, che la bambina tratta in salvo si era finalmente ricongiunta con una nonna, la sera prima aveva impacchettato poche cose e si era imbarcata. Edward le aveva detto che la bambina si chiamava Madhu, e che il nome significava “miele”. La nonna viveva in un villaggio non lontano da Rangoon, quindi la piccola sarebbe cresciuta al sicuro e con un po’ di fortuna non si sarebbe ricordata niente. Ma cosa aveva visto realmente la piccina? Conscia del fatto che niente poteva averle impedito di sentire le urla mentre venivano commessi gli omicidi, Belle si impose di non immaginarlo. Quantomeno qualcuno si sarebbe preso cura di lei, quindi almeno un aspetto positivo c’era, anche se lei per prima non aveva idea di come avrebbe fatto a riprendersi completamente.

Il battello aveva atteso ormeggiato sotto un cielo senza stelle, quindi c’era stato ben poco da vedere al momento dell’imbarco, e non che le fosse importato più di tanto. Per quanto la luce delle lanterne che danzava sull’acqua avesse dato vita a un bello spettacolo, Belle era troppo stanca e sconfortata. Rifiutato il cocktail che le era stato offerto, era andata subito a letto e aveva rammentato ciò che le aveva detto l’indovino. Be’, sul viaggio aveva avuto ragione.

Dopo un sonno inaspettatamente ristoratore, venne svegliata dal rumore dei motori e, dato che voleva vedere il fiume alla luce del giorno, si vestì in tutta fretta. Poi, una volta salita la scaletta metallica e scivolosa fino al ponte panoramico, prestando grande attenzione alla gamba ancora dolorante, vide il fiume avvolto da una fitta nebbiolina dorata. Grata per il vecchio scialle di cachemire di sua madre, se lo avvolse attorno alle spalle.

Quando aveva chiesto un periodo di permesso dal lavoro, l’incarnato solitamente rubizzo di Fowler era diventato viola, il fisico squadrato era sembrato ancora più impettito del consueto e le sopracciglia sul punto di sgattaiolargli via dalla faccia. Belle era riuscita a nascondere il divertimento mentre le sottolineava quanto sarebbe stato problematico. Già sapeva che Gloria aveva voluto intercedere per lei e che Fowler non si sarebbe mai azzardato a respingere la sua richiesta, ma aveva dovuto fingere di implorarlo e poi profondersi in ringraziamenti quando alla fine aveva ceduto. Le aveva concesso meno di tre settimane e sperava che fossero sufficienti.

Mentre faceva colazione – uno strano miscuglio di spaghetti collosi con pezzetti di pollo e una salsa troppo dolciastra – studiò i pochi altri passeggeri che erano già seduti ai tavoli. Una coppia di uomini d’affari vestiti in modo elegante che si stavano avventando su una colazione all’inglese, tre birmani solitari con i loro abiti tradizionali e una donna con il pancione, che portava un longyi rosa e verde e dei fiori tra i capelli. Le sorrise con dolcezza, e Belle riuscì a ricambiare con un debole sorriso. Le comode sedie di rattan e i tavolini erano stati sistemati sul ponte, tra magnifiche palme in vaso e, a prua, c’era una fila di sdraio di tessuto a disposizione di chiunque volesse andarsi a sedere al sole.

In effetti, la nebbia si diradò in fretta e, quando si concentrò sul presente, Belle capì che mettere un po’ di distanza tra sé e quanto accaduto a Rangoon era stata la cosa giusta da fare. Vagamente rincuorata dalla splendida mattinata con il suo cielo color zaffiro e i raggi del sole che disegnavano diamanti lucenti sulla superficie dell’acqua, ebbe la netta sensazione che risalire il fiume in barca le sarebbe stato d’aiuto. Quando uno stormo di aironi spiccò il volo, lo prese come un buon auspicio.

La barca solcava lentamente le acque, diretta verso nord. Trascorsa un’ora o giù di lì, trovò che quella quiete fosse rilassante e si mise a osservare il modo in cui la luce del sole metteva in risalto il fitto ombroso sotto gli immensi alberi della pioggia oltre gli argini del fiume. Persino l’erba e i cespugli vicini alla riva erano immobili e Belle, colpita da quel panorama fuori dal tempo, sentiva allentarsi la tensione nervosa. Superarono alcuni abitanti della zona impegnati nelle loro attività quotidiane, come preparare le reti, lavare i vestiti al fiume e poi sbatterli contro le rocce. Altri stavano cucinando sui fuochi all’aperto mentre i bambini seminudi giocavano nel fango, e Belle si sorprese a sorridere. La vita andava avanti come sempre.

Un’ora dopo, Harry riapparve con gli occhi velati e un aspetto trasandato.

«Va tutto bene?», gli chiese.

«Sono andato a letto tardi».

«Caffè?».

Lui annuì e spinse gli occhiali sul naso.

Osservò il passaggio di altre imbarcazioni silenziose. Prima un’enorme petroliera che, a detta di Harry, trasportava petrolio greggio per la Burmah Oil Company, poi un’altra chiatta stracarica di legname per la Burmah Bombay Corporation. I pescherecci più piccoli procedevano a velocità da crociera e Belle intravide un vaporetto con una chiatta galleggiante al seguito, sopra la quale erano legate due autovetture. Incrociarono navi da trasporto cariche di merci che andavano nella direzione opposta: giada, vitelli, elefanti grigi, rotoli di cotone e sacchi di riso pieni fino all’orlo. Harry le indicava tutto, crogiolandosi nel suo ruolo di guida e dimenticando la sbronza.

«Niente entra o esce dalla Birmania senza passare dal fiume Irrawaddy», le disse.

Si chiese se ciò valesse anche per sua sorella.

Come se avesse intuito ciò a cui stava pensando, Harry alzò un dito. «Ho scambiato due parole con il commissario di bordo a proposito della sua situazione, ieri sera. Un bravo ragazzo. Ama farsi qualche goccetto di whisky. Se le andasse di fare una chiacchierata, è libero per un aperitivo prima di cena».

«Cosa gli ha detto?»

«Che spera di rintracciare un membro della sua famiglia».

Uno stormo di grossi uccelli neri spiccò il volo da un albero vicino all’argine del fiume, e Belle vide una nativa del posto, con un velo rosso avvolto attorno alla testa e il longyi usato come fascia per trasportare il suo bambino, alzare gli occhi al cielo e seguire i loro movimenti.

Pensò a Oliver e si sentì trafiggere da una fitta di dispiacere, ma accantonò ogni proposito di ricercarlo. Le aveva mostrato la sua vera natura e tanto le era bastato; eppure, visto che sentiva ancora il bisogno di confidarsi, le sarebbe davvero piaciuto avere la possibilità di parlare con lui. Di dirgli tutto. Era l’unica persona che l’avrebbe capita. Non era mai stato così con Nicholas. Scosse la testa. Pensare a loro non aveva alcun senso. Tra lei e Oliver era finita. Ma il modo in cui si erano lasciati la faceva ancora soffrire e non riusciva a fare a meno di rimuginarci.

A eccezione delle ore più roventi intorno a mezzogiorno, passò la giornata sul ponte a leggere o a fantasticare mentre osservava la vita fluviale, lanciando fischi d’ammirazione ogni volta che vedeva delle pagode lungo gli argini del fiume. A volte scorgeva i peli rossi di un licaone, ma, fino a quel momento, non aveva visto né leopardi nebulosi, né orsi malesi o babbuini. Aveva sentito dire che gli orsi malesi riuscivano addirittura ad arrampicarsi sugli alberi e a costruirsi un nido in cui dormire. Il pranzo, al quale andò con Harry, era tipicamente birmano, un’insalata di foglie di tè seguita da un piatto di pesce chiamato pampo, accompagnato da un riso fortemente aromatizzato. Si accorse che a Harry piaceva bere parecchio e questo la fece riflettere. Non le era sembrato un bevitore quando l’aveva incontrato per la prima volta a Rangoon, quando aveva accettato soltanto una limonata e storto il naso di fronte al gin. Ma, a dire il vero, ora sembrava abbastanza nervoso, e Belle si chiese cosa ci fosse che non andava.

Quando la giornata iniziò a volgere al termine, l’azzurro iridescente dell’acqua diventò più scuro, con gli argini rischiarati dal sole basso che rilucevano di sfumature dorate, mentre il cielo, ormai color lilla, trasformava le colline in lontananza in una macchia imbrattata di grigio-bluastro. Sul ponte vennero accese le lanterne e, insieme all’odore di salmastro e di pesce, c’era anche quello dell’olio bruciato ad aleggiare nell’aria. Il fiume era abbastanza spettrale, come se delle voci stessero cantando a pelo dell’acqua, ma era assai più probabile che i suoni fossero condotti dal vento dai villaggi vicini. La sua mente continuava a rievocare il sangue della donna riversa a terra e il momento in cui si era chinata su di lei e aveva trovato la bambina nascosta sotto il lenzuolo. Era stata coraggiosa, la madre, a proteggere sua figlia in quel modo. Belle si fermava ogni volta che iniziava a ipotizzare cosa sarebbe accaduto se non avesse trovato la piccola.

Con il pensiero della bambina ancora in testa, osservò i passeggeri che formavano dei gruppetti, parlavano e ridevano mentre accettavano da bere dai camerieri vestiti in modo elegante, ma non vide da nessuna parte la donna incinta.

Un omino, con una casacca verde e un longyi scuro dai disegni poco appariscenti, le stava andando incontro e le sorrideva. Belle si alzò dalla sedia e lui le rivolse un inchino e le indicò di riaccomodarsi. Quando prese posto di fronte a lei, si presentò come il commissario di bordo e cominciò a parlare. Purtroppo, però, il suo inglese era terribile, e ci vollero diversi tentativi prima che Belle riuscisse a capire che le stava chiedendo come poteva esserle d’aiuto. Sentendosi in imbarazzo, si guardò attorno nella speranza di localizzare Harry, che sarebbe stato in grado di farle da interprete, ma, quando lo scorse, era tutto preso a conversare con un altro uomo e sul tavolo tra loro c’era una bottiglia di whisky mezza vuota.

Non appena gli ebbe spiegato di aver sentito parlare di una bambina bianca avvistata tanti anni prima insieme a una coppia birmana, il commissario di bordo scosse la testa, facendole capire che all’epoca lui non c’era. Riuscì anche a comunicarle che c’era un archeologo a Bagan che avrebbe potuto sapere qualcosa. Viveva in una casa di riposo gestita dal governo e aveva lavorato a Bagan per moltissimi anni. La casa di riposo era un posto speciale, perché era stata costruita nel 1922 per ospitare il principe del Galles in visita in Birmania, anche se purtroppo non ci aveva mai alloggiato.

Quando Harry arrivò caracollando al loro tavolo, Belle gli chiese se c’era la possibilità di andare alla casa di riposo, e lui annuì.

«Abbiamo una notte e due giorni da passare a Bagan», disse, strascicando un po’ le parole. «È un sito meraviglioso con una grande quantità di templi parzialmente in rovina, quindi ci sono un sacco di cose da vedere. E in ogni caso, è lì che dovranno fare rifornimento e provviste».

Quando arrivarono a Bagan, più di una settimana dopo, Belle si era talmente abituata ai ritmi e alla lenta routine della vita di bordo da non sapere più che giorno fosse. Tutto ciò aveva contribuito a cambiare le cose. I ricordi stavano sbiadendo un po’ e, per quanto sapesse che non avrebbe mai dimenticato, che non avrebbe mai dovuto dimenticare, aveva smesso di tormentarsi con la stessa frequenza. Ci sarebbe voluto del tempo. E la cosa migliore da fare era visitare Bagan, incontrare l’archeologo e scoprire quanto più possibile.

Avevano già fatto una sosta notturna, durante la quale l’equipaggio era sceso per i rifornimenti, ma molti passeggeri, inclusa Belle e la donna incinta che le aveva sorriso di nuovo e le aveva detto “buonasera” in un inglese praticamente perfetto, erano rimasti a bordo. Belle si era poi goduta l’arietta serale e aveva ascoltato il suono tintinnante della musica birmana che arrivava da un villaggio vicino.

Bagan era la sosta dove sarebbero dovuti scendere tutti.

Sorpresa dalle procedure di sbarco abbastanza improvvisate, osservò il commissario di bordo aiutare la donna incinta. Poi accettò di buongrado la sua offerta di portarle la piccola valigetta, in modo che potesse attraversare l’instabile e stretto tavolaccio di legno gettato sopra la fanghiglia più putrida. Il battello, ormeggiato a un palo conficcato in profondità nel terreno, dondolava dolcemente sull’acqua.

Harry l’accompagnò sul calesse trainato da un cavallo, e percorsero una stradina sterrata fino alla casa di riposo. Belle vide apparire l’ampia struttura in legno, costruita come se fosse destinata alle loro contee natie in Inghilterra, ma con qualche tocco orientale qua e là. Furono ricevuti da un maggiordomo birmano che li condusse in un’ariosa sala di rappresentanza, dove a entrambi furono offerti deliziosi succhi di mango e guaiava, e dove spiegò che negli ultimi tempi sempre più visitatori erano venuti a vedere le rovine. Dopo la registrazione, mostrò loro le stanze buie al primo piano.

Non appena il maggiordomo la lasciò da sola, Belle si avvicinò alle finestre chiuse, le spalancò e osservò con attenzione il giardino sottostante. Circondato da mura su tre lati, tutte ricoperte da un tripudio di buganvillea di un bel viola acceso, il giardino era piccolo ma idilliaco. Al centro, un rivolo d’acqua suggeriva la presenza di una fontana, anche se sembrava trascurata e abbandonata. Gli uccellini si lanciavano in picchiata da un albero all’altro, ma il vento che ne smuoveva le foglie non era in grado di raggiungere la sua stanza torrida e soffocante. Per quanto il viaggio sul fiume le fosse piaciuto, si rese conto che l’aveva cullata in un falso senso di sicurezza. Aveva quasi dimenticato il motivo per cui si trovava lì e adesso era tempo di incontrare l’archeologo, un certo dottor Walter Guttridge.