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Gloria attraversò la strada con la borsa che le dondolava al braccio e un gran sorriso stampato in faccia. Belle ricambiò il sorriso e la donna le diede un bacio sulla guancia, con il suo rossetto color cremisi da stella del cinema.
«Allora, Rangoon sta piacendo al nostro piccolo usignolo?»
«Non ho ancora avuto tempo di vedere granché, ma sì, mi piace tantissimo. C’è un tale fermento». Tacque per un istante e si passò una mano sulla fronte. «Ma perbacco, fa caldo! Stavo cercando di capire dove andare a bere qualcosa. Sto morendo di sete».
«Conosco un posticino. E, nel frattempo, ti comprerò un cappello. Da Rowe avranno sicuramente qualcosa. È quello che ti ci vuole, poco ma sicuro. E già che ci siamo, devi prendere una copia del loro catalogo. Si può comprare letteralmente di tutto».
«Fantastico».
«Dentro è bellissimo. Ventilatori ovunque, bei pavimenti di marmo bianco e nero, e solo commesse britanniche. L’Harrods dell’Oriente, mia cara».
Belle sorrise. «Sei molto gentile».
«Mia cara, non lasciarti ingannare. La verità è che mi intrighi. Vedi, io mi annoio molto facilmente». Emise un sospiro lungo e svenevole, come a enfatizzare il concetto. «E mi sembra che ti serva un’amica che si prenda cura di te».
Belle aveva la sensazione di poter diventare una specie di giocattolo per la donna più anziana, da prendere e accantonare con la stessa velocità, e poi, quanto ad aver bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lei, aveva da tempo imparato a badare a se stessa. Tuttavia, se Gloria voleva pensarla così, l’avrebbe lasciata fare. L’affiancò e si misero in cammino, attraversando i giardini di Fytche Square per tornare in Merchant Road.
«E quella roba gialla che hanno in faccia?», domandò Belle. «Cos’è?»
«Si chiama thanaka. Credono che faccia bene alla pelle e prevenga anche le scottature».
«Sembra estremamente secca. Tu l’hai provata?»
«Non fa per me, cara».
E Belle capì che le guance cesellate dell’amica non sarebbero mai state imbrattate dai rimedi locali.
Una volta entrate nel bar, Gloria ordinò due Pimm’s ghiacciati.
«Oh, niente alcol per me», disse Belle. Non si fidava degli alcolici. Se potevano cambiare una persona in meglio, potevano anche cambiarla in peggio. Aveva preso l’abitudine di negarsi dei piaceri all’età di otto anni, quando si era resa conto che, con un minimo di autocontrollo, poteva far durare una singola barretta di cioccolato più a lungo di chiunque altro. «È… relativamente presto», aggiunse. «Posso prendere un tè?».
Gloria rise. «Un tè! Qua è una schifezza rivoltante, a meno che non ti piaccia con il latte in polvere. So che alcuni lo bevono così».
«Perché con il latte in polvere?»
«I birmani pensano che mungere una mucca sia disgustoso. Comunque, volevi qualcosa da bere, e a casa mia significa soltanto una cosa».
Belle la guardò con aria risoluta. «Solo una limonata. Davvero».
Gloria scosse la testa e la fissò, fingendosi intristita. «Non sai cosa ti perdi. Qui hanno il miglior Pimm’s di tutta la città. Ma non importa, dimmi cos’hai combinato».
«Non molto. Sto cercando di ambientarmi, a dire il vero».
La donna sorrise con un’espressione che indicava un certo autocompiacimento. «Be’, devo dirti una cosa che potrebbe interessarti».
«Continua».
La sera dopo, prima della sua performance d’esordio, Belle ripassò mentalmente la scaletta dello spettacolo mentre si truccava. Osservò il proprio riflesso nello specchio del camerino illuminato a giorno e si mise un rossetto color vinaccia che metteva in risalto i toni dorati e ramati dei suoi capelli, anche se non aveva ancora deciso come acconciarli. Sciolti? Tirati su?
Era nervosa? Un pochino, ma aveva imparato a farsi coraggio quando cantava. Soprattutto, però, provava un nuovo tipo di folle felicità ed era determinata a fare buona impressione. Avrebbero cominciato con alcune delle sue canzoni preferite: un buon segno. Amava Billie Holiday, senza dubbio, ma anche Bessie Smith, la regina del blues. Ogni suo brano le piaceva da impazzire, ma aveva scelto Nobody Knows You When You’re Down e Careless Love.
Dopo aver salutato le ballerine, era stata talmente concentrata da prestare ben poca attenzione al gruppo che si stava cambiando dall’altro lato del camerino. In quel momento, però, si rese conto che stavano menzionando il suo nome in una serie di sussurri concitati, in modo che arrivassero alle sue orecchie. Non diede segno di aver sentito e continuò a truccarsi.
I mormorii continuarono, e Belle capì che stavano dicendo che aveva ottenuto il lavoro solo grazie alla raccomandazione di Gloria de Clemente. Si voltò e fissò i volti accigliati delle quattro ragazze.
«La conosco appena», disse con un sorriso, sperando di dissipare il malumore. «Dico davvero».
Rebecca la guardò dritta negli occhi. «Sapevamo che avresti detto così, giusto? Annie si era candidata per questo lavoro ed ecco che all’improvviso appari tu, arrivando sulla stessa nave della signora de Clemente».
«E ieri ti ho vista in un bar insieme a lei», aggiunse la ragazza che si chiamava Annie. «Molto in sintonia».
«Io e Gloria ci siamo conosciute sulla nave».
«Gloria, eh? A noi non è consentito chiamarla Gloria».
Belle si alzò in piedi, sentendo montare la rabbia. «Oh, per l’amor del cielo, è assurdo. Ho visto un annuncio per questo lavoro e mi sono candidata come chiunque altro».
«Oh, sì, e io sono il re d’Inghilterra», ribatté Rebecca.
Annie soffocò una risata e Belle si accorse di aver stretto i denti mentre si voltava a fronteggiarla. «Forse, carina, non hai ottenuto il lavoro perché non sei abbastanza brava. Ci hai mai pensato?»
«Per te è facile. Abbiamo visto cosa fanno quelle come te da queste parti…».
«Quelle come me? Tu non sai niente di me. Niente!». Belle si sentì avvampare, perciò si diede una calmata prima di riaprire bocca. «Ora, se non vi dispiace, ho un’esibizione da preparare».
Tornò rigidamente a sedersi, cercando di non mostrare il suo turbamento e di isolarsi da loro. Rintanarsi nei suoi pensieri era sempre stato il modo con cui aveva evitato i conflitti, ed era brava a farlo. Ciononostante, aveva sperato che i rapporti con la compagna di stanza fossero più amichevoli, quindi quella sgradevole discussione la infastidì. Dopo un paio di respiri profondi, riprese il controllo, ma temeva comunque che lo spiacevole incidente potesse pregiudicare la sua performance. Certo, era il motivo per cui l’avevano provocata. Be’, che le venisse un colpo se aveva fatto tutta quella strada per permettere a un gruppo di ragazze gelose e vendicative di rovinarle la vita. Sarebbe andata sul palco, avrebbe sorriso e tirato fuori la voce.