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La sera della seconda esibizione, prima che le altre ragazze tornassero in camerino al termine dei due balli iniziali, Belle rovistò nella sua borsa in cerca del taccuino, poi tirò fuori i ritagli di giornale. Quando aveva letto per la prima volta l’articolo aveva provato una fortissima curiosità e, volendo essere sincera, era ancora così. L’anno precedente, quando era morto suo padre, le era toccato l’ingrato compito di imballare tutti i libri della sua enorme biblioteca. I ritagli di giornale, fragili e ingialliti, erano stati nascosti all’interno di un libro polveroso e, se non fossero scivolati via dal tomo mentre finiva di impacchettare tutto, Belle non avrebbe mai saputo della loro esistenza. Li aveva messi al sicuro tra le pagine del suo taccuino per poterli conservare, e lì erano rimasti. Ora, mentre rileggeva il primo dei due ritagli, scosse la testa perché stentava ancora a crederci.
«The Rangoon Post», 10 gennaio 1911
rapita in giardino
il caso della bambina scomparsa
È con grande dolore e rammarico che questo corrispondente ha il compito di annunciare la scomparsa di una neonata. La bambina, Elvira Hatton, solo tre settimane di vita, è la figlia del nostro stimato membro del ministero della Giustizia, il magistrato distrettuale dell’area di Rangoon, il signor Douglas Hatton, e sua moglie, Diana. La bambina è scomparsa ieri dalla sua carrozzina, dove stava riposando all’ombra di un albero di tamarindo nel giardino della famiglia Hatton nella Valle Dorata, a Rangoon. La polizia sta invitando i testimoni a farsi avanti con la massima urgenza.
Quando le altre ragazze rientrarono nel camerino, trasudando energia, Belle diede un’occhiata al suo orologio da polso e fece scivolare i ritagli nella borsa. Con cinque minuti ancora a disposizione, scelse un abito lungo fino a terra di viscosa increspata color avorio, con il collo e la vita tempestati di perline, e se lo infilò in un attimo. Esaminò il proprio riflesso e valutò il look con il quale sarebbe andata in scena. Le ci era voluto un po’ per abituarsi a tanto trucco; lasciata libera di fare di testa sua, si truccava poco e teneva i capelli sciolti sulle spalle con le loro onde naturali. Diede il tocco finale con una passata di rossetto lucido e scostò i capelli dal viso fissandoli con due fermagli di strass.
Qualche attimo dopo, salì sul palco fremendo per l’emozione e sapendo che il nodo allo stomaco si sarebbe rapidamente allentato non appena avesse cominciato a cantare, proprio com’era successo la sera prima.
Il primo brano fu accolto con entusiasmo, ma Belle rimase delusa dal numero di presenti in sala. Tuttavia, era solo un martedì sera e più tardi, al bar, Gloria, completamente vestita di raso nero e con un vero rubino al collo, le disse che le grandi folle si presentavano solamente nei fine settimana. Quando Belle l’aveva incontrata in città, aveva accennato che suo fratello, il quale era un pezzo grosso dell’amministrazione britannica, sarebbe venuto appositamente per sentirla cantare quel sabato sera. E adesso le rivelò l’esaltante notizia alla quale il giorno prima aveva solamente fatto allusione: suo fratello aveva dei contatti nel mondo dello spettacolo, in America. Di conseguenza, se Belle avesse giocato bene le sue carte… be’, chissà cosa sarebbe potuto accadere.
«Davvero? Sai di chi si tratta?». Belle, incapace di nascondere l’eccitazione, si chiese quali fossero quelle carte.
«Temo di no. Ma, mia cara, tu sei meravigliosa. Il modo in cui l’orchestra prende vita, soprattutto la tromba, e poi la tua voce. Giuro che la tua voce è come miele, e come riesci a modularla! Favoloso. Tutti in piedi ad applaudire. E guardati! Ti brillano gli occhi, sei radiosa. Hai trovato la tua vocazione, direi».
Belle fremeva per la soddisfazione, ma si limitò a dire che era un sollievo che fosse andata così bene.
«L’unica cosa che conta per avere successo a questo mondo è credere in se stessi, e se non ci riesci… be’, allora devi credere in me». Gloria rise e Belle la imitò, ma, in quell’istante, individuò Rebecca che le stava osservando con aria astiosa. Accennò un rapido sorriso, ma la ragazza si accigliò prima di voltarsi e andarsene.
«Che c’è?», domandò Gloria, accorgendosene.
Belle optò per una risposta evasiva. «Le altre ragazze stanno facendo un pochino le difficili. Non è niente».
«Cambieranno idea».
«Pensano che abbia ottenuto il lavoro perché conosco te».
Gloria inarcò le sopracciglia. «Magari potrei risolvere la situazione?»
«Onestamente, preferirei occuparmene da sola». Belle esitò prima di continuare. «A dire il vero», disse alla fine, avendo deciso che valeva la pena fare un tentativo, «ci sarebbe una cosa per la quale potresti darmi una mano».
Gloria la incoraggiò con un sorriso. «Non c’è niente di meglio che aiutare un’amica. Spara».
«Il fatto è che i miei genitori vivevano in Birmania. Magari potresti mettermi in contatto con le persone che li conoscevano».
«Non me l’avevi mai detto!».
«No».
«E come fanno di cognome?»
«Be’, Hatton, naturalmente. Come me».
Gli occhi di Gloria si socchiusero appena appena. «Ah, sì. Mi stavo proprio chiedendo se non fosse un cognome familiare».
«Douglas e Diana, si chiamavano».
Gloria parve stupefatta. «Quindi hai già vissuto qui? Non l’avevo capito».
«No. È stato prima che io nascessi. Ed è stato estremamente triste, in realtà». Fece una pausa, non sapendo se andare avanti, ma alla fine proseguì: «Hanno perso una bambina».
Gloria assunse un’aria comprensiva. «Girano talmente tante malattie infettive da queste parti».
«No. Intendo dire che hanno letteralmente perso una bambina. È scomparsa dal giardino di casa loro, qui a Rangoon, nel 1911».
«Buon Dio, ma è terribile!».
«Quindi non ne hai mai sentito parlare?».
Gloria sembrò vacillare, come se non fosse più tanto sicura di sé, poi chinò il capo e frugò nella borsa più a lungo, a parere di Belle, di quanto fosse strettamente necessario, finché non tirò fuori il portasigarette e un accendino.
«Beee’», disse, prolungando la vocale mentre si accendeva una sigaretta. «All’epoca non mi trovavo qui, ma sai, questa storia non mi giunge nuova. Devo averla letta sui giornali. Mio fratello, Edward, probabilmente se ne ricorderà. Meglio che tu lo chieda a lui». Tradì un briciolo di incertezza quando tacque all’improvviso e scrutò il viso di Belle. «Cielo, è per questo che ti sei offerta di venire qui?»
«No. Sono venuta esclusivamente per il lavoro. E quanto accaduto risale a molto tempo fa. Venticinque anni fa, quindi ho pensato che non ci fosse niente di male a venire».
Belle decise di non aggiungere altro riguardo ai genitori, ma non riuscì a evitare il ricordo di quella casa enorme in cui si smarriva, con solo sua madre e la signora Wilkes come compagnia. E ogni volta che aveva odiato sua madre, provando tutta quella rabbia incontenibile, era sempre andata a finire male. Le aveva persino detto che l’avrebbe voluta morta.
«A cosa stai pensando?», chiese Gloria.
«Oh, niente di importante. Dimmi di te».
«Se c’è una cosa che devi sapere su di me è che non dico mai la verità. Per principio».
Belle rise.
«E l’unico obiettivo che ho nella vita è infrangere tutte le regole».
«Se lo faccio io, sembra che mi colgano sempre in flagrante».
Gloria, maestra del sorriso abbagliante e dell’alzata sardonica di sopracciglia, le rivolse un sorrisetto malizioso. «Oh, mia cara, pizzicano anche me, di continuo. Il trucco, quando succede, è non dar peso alla cosa. Spavalderia, dolcezza, ecco cos’è che ci vuole. A me non importa un fico secco».
Belle rise di nuovo, pensando alla spavalderia che, a dire il vero, aveva già mostrato con disinvoltura di possedere.