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D’umore volubile, Belle se ne stava sul portico davanti all’albergo a guardare gli ospiti che andavano e venivano. Prima due uomini d’affari con completi di lino chiaro che le rivolsero un cenno del capo mentre uscivano dall’hotel. Poi una matriarca di mezz’età vestita in modo fin troppo elegante, che entrò nell’atrio a passo di marcia trascinandosi dietro un bambino recalcitrante. Il caldo era già impietoso, e Belle sapeva che si sarebbe dovuta andare a sedere sotto un ventilatore, ma era confusa a causa delle recenti rivelazioni di Oliver su suo padre e sua madre, e non riusciva a stare ferma. Oliver si stava dimostrando un vero amico, ma non si era ancora minimamente avvicinata a scoprire cos’era successo alla bambina, e non sapeva quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Dopo qualche minuto, notò che il portiere indiano la stava osservando con un’aria incuriosita, quindi gli andò incontro.

«Posso aiutarla in qualche modo, signorina Hatton?», domandò in un momento di tregua dagli ospiti che avevano bisogno di assistenza.

Belle prese in considerazione l’idea. Poteva aiutarla? A volte gli ospiti si dimenticavano della presenza del personale e un uomo nella sua posizione poteva aver sentito dei pettegolezzi.

«Forse».

«Se mi è consentito, la vedo parecchio turbata».

«Non ho dormito bene».

«È un peccato. Ha qualche pensiero in particolare per la testa?».

Lo studiò con attenzione, annusando l’aria impregnata di salmastro e dell’olio dei moli. «Be’, in effetti sì». Poi, dopo un momento di esitazione, gli parlò dei suoi genitori e della bambina che era scomparsa nel 1911.

Durante un breve attimo di silenzio, l’uomo aggrottò al fronte.

«Sarebbe stata mia sorella, capisci», aggiunse Belle a mo’ di spiegazione. «Mi piacerebbe capire cos’è successo realmente».

L’indiano annuì, e lei credette che fosse finita lì, ma poi parlò. «Mio padre lavorava qui prima di me come sorvegliante notturno. Aveva l’abitudine di raccontare la storia di una bambina di cui una notte aveva sentito le urla. Urla atroci. Si era appisolato, immagino, e le grida della bimba l’avevano svegliato. Per qualche minuto si sentì disorientato e pensò che fosse stato un incubo. Ma le urla continuarono. Lì per lì non riuscì a capire da dove venissero, ma andarono avanti e si rese conto che provenivano da un punto vicino all’entrata secondaria dell’albergo. Quando fece il giro, non riuscì a vedere niente, eccetto un’auto nera che sfrecciava via a rotta di collo. Parlava spesso di quella notte. Diceva che lo tormentava. Quella bambina che urlava».

Belle lo fissò a bocca aperta. Possibile che si fosse trattato di Elvira? O era un’assurdità? Chissà quanti bambini avevano alloggiato in quell’albergo.

«Non c’erano bambini in hotel», disse lui, rispondendo alla domanda ancora prima che gliela ponesse.

«Sicuro che fosse proprio il 1911?».

Lui annuì. «Oh, sì, me lo ricordo con grande precisione».

«Ne parlò con la polizia o con gli altri membri dello staff, la mattina dopo?»

«Fece domande, è naturale, ma nessuno sapeva nulla, o, se sapevano, non dissero niente. Certo, aveva letto la notizia della bambina scomparsa, era su tutti i giornali, ma mia madre lo persuase a non chiamare in causa la polizia. Era preoccupata per il suo lavoro, capisce».

«Tuo padre è ancora vivo?»

«Sì, ma non sta bene. E non penso sia in grado di dirle più di quanto le ho appena riferito io. È una storia che mi ha raccontato così tante volte. Non aveva prove, ma l’istinto gli diceva che c’era qualcosa che non andava. L’auto lussuosa che sfrecciava via. Le grida angosciate. L’ora tarda, di notte. C’era qualcosa di clandestino nell’accaduto».

Belle annuì e lo ringraziò, i pensieri in subbuglio. E se Elvira fosse stata davvero rapita, e da persone agiate per di più? Questo perlomeno avrebbe potuto significare che era ancora viva, anche se non aveva proprio idea di come avrebbe fatto a ritrovarla.

Stava per tornare dentro quando Fowler, l’assistente del direttore, uscì con aria tronfia e sussiegosa.

«Signorina Hatton. Avrai anche amici altolocati, ma noi non incoraggiamo il personale a spettegolare sulla soglia davanti agli occhi degli ospiti».

«Non c’era nessuno».

Chinò il capo. «Be’, ora levati dai piedi. Attendiamo ospiti importanti che stanno per arrivare da un momento all’altro».

Belle lanciò un rapido sguardo al portiere e gli fece l’occhiolino, poi si rivolse di nuovo a Fowler. «Non dare la colpa a lui», disse. «La responsabilità è soltanto mia».

«Non ne dubito», replicò Fowler, scoccandole un’occhiataccia infastidita. Dopodiché le diede le spalle per accogliere con il suo classico atteggiamento servile un ospite appena arrivato.

Più tardi, Belle andò al bancone della reception per vedere se fosse arrivata posta per lei. Il capo receptionist, uno scattante uomo di mezz’età che veniva da Glasgow, le porse una busta che recava il timbro postale di Oxford. Finalmente era arrivata: una risposta dalla vecchia amica di sua madre, Simone. Belle la portò subito in camera sua, sentendo crescere le speranze. Per quanto adesso le piacesse Rebecca, voleva leggerla in privato, e per fortuna la ragazza non c’era. Aprì la lettera e, esaminando la minuscola calligrafia, ne divorò ogni parola. Poi la rilesse più lentamente.

 

Cara Annabelle,

ricevere tue notizie è stata una grande sorpresa, ma anche un enorme piacere. È davvero straordinario che tu ti trovi a Rangoon. La vita sa essere così strana con tutti i suoi colpi di scena, non sei d’accordo? Ma cosa sto dicendo? Sei una ragazza e, anche se so che alcuni momenti della tua infanzia non devono essere stati facili, non puoi ancora aver vissuto chissà quanti capovolgimenti inattesi. Ti ringrazio per avermi informata della morte del caro Douglas. Anche lui, come il mio caro marito, Roger, era un brav’uomo.

Ma passiamo all’argomento principale della tua lettera. Sì, certo che mi ricordo della scomparsa della piccola Elvira. Come potrei mai dimenticarla? Sono stati giorni angoscianti per tutti noi, ma soprattutto per tua madre, che ha sofferto pene atroci a causa della polizia. Io e mio marito restammo sconvolti dal fatto che una donna come tua madre potesse essere accusata in quel modo. Naturalmente, facemmo tutto il possibile. Roger passò da tutti i canali ufficiali, mentre io feci del mio meglio per consolare Diana.

Non era stata bene durante la gravidanza a causa di un malessere che in pratica si portò dietro fino alla fine, ma fu dopo la nascita della bambina che le cose andarono di male in peggio. Come se il parto l’avesse prosciugata. Mi preoccupava. Quasi non mangiava, non riusciva a dormire e piangeva di continuo. Anche la bambina piangeva, incessantemente a detta di Diana. Roger le diede qualcosa per aiutarla a dormire, ma continuava ad avere l’umore a terra. Niente sembrava funzionare, e io ero in pensiero per la sua salute mentale. È vero che alcune donne attraversano un periodo difficile dopo il parto, ma, e me lo garantì Roger, nel suo caso era molto peggio. Era come se Diana avesse completamente rinunciato alla vita. Non aveva più alcuna luce negli occhi e vedeva tutto nero. Douglas poteva essere un uomo impegnativo, testardo, e credo che invecchiando lo sia diventato ancora di più. Come tanti altri uomini, non riusciva a gestire le sue emozioni e pensava di avere sempre ragione, sempre e comunque, quindi non c’era modo di ragionare con lui. Mi dispiace dover dire certe cose di tuo padre. In fondo era una persona buona e faceva del suo meglio, solo che non riusciva a capire come la nascita della figlia che avevano tanto voluto potesse aver causato un cambiamento così drastico in sua moglie, né quale ruolo avesse avuto lui in tutta quella situazione.

Per quanto ne so, quel giorno Diana era da sola in giardino ed Elvira dormiva nella sua carrozzina. Uno dei domestici vide tua madre inginocchiata nell’erba in camicia da notte, accanto a un’aiuola appena piantata, e dichiarò che stava scavando nella terra a mani nude. Fu quella la ragione per cui poi venne accusata, insieme alla sua incapacità di occuparsi della bambina. La polizia concluse che Diana voleva vederla morta e, quando cominciarono a scavare in giardino, trovarono una scarpina nel punto esatto in cui stava scavando tua madre. Non riuscì mai a dare una giustificazione per le azioni di quel giorno, dettaglio che la polizia trovò altamente sospetto, mentre secondo me furono una semplice conseguenza dello stato confusionale in cui si trovava.

Gli interrogatori andarono avanti per giorni, fino a quando, all’improvviso, tua madre venne lasciata libera di andare e i tuoi genitori partirono per l’Inghilterra nel cuore della notte, senza neanche impacchettare le loro cose. Ho sempre avuto la sensazione che avessero ricevuto l’ordine di andarsene da qualche pezzo grosso ai vertici. Oh, quasi dimenticavo, c’era stato un incidente con la moglie del governatore. Quando Diana era incinta e non si sentiva bene, Douglas l’aveva trascinata a una cena a casa loro. La moglie del governatore, che a mio avviso era una donna stupida e frivola, aveva fatto un commento mentre Diana era vicina dicendo che le donne in gravidanza avrebbero dovuto darsi una mossa e tacere. Nessuno credeva nelle storie dei loro malesseri prolungati. Diana le piombò addosso e le tirò un bicchiere di champagne in faccia. Oh, che scandalo! Anche se io, in cuor mio, pensai che quella donna se lo fosse meritato, l’episodio non giovò affatto alla reputazione di tua madre. Cominciarono a ritenerla instabile ancor prima della nascita della bambina.

Quando i tuoi genitori partirono, mi resi conto che tua madre non era stata prosciolta dalle accuse. Il caso rimase aperto per un po’, ma, alla fine, non fu mai risolto. Il mio sospetto è che qualcuno sapesse com’era andata ma si fosse assicurato di mettere a tacere l’intera vicenda. A mio parere, tua madre fu semplicemente un capro espiatorio.

Comunque, cara Annabelle, per adesso è tutto. Spero tu riesca a leggere la mia calligrafia.

Con i migliori auguri per la tua salute,

Simone Burton