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Alla fine della sua esibizione, Belle lasciò il palco, intenzionata a rileggere la lettera di Simone e andare a letto presto, ma, quando uscì a prendere una boccata d’aria fresca, trovò Edward che la stava aspettando.

«Facciamo una passeggiata?», domandò, e le rivolse uno dei suoi sorrisi seducenti. «È una serata meravigliosa. E ho buone notizie».

Lei alzò gli occhi al cielo, blu notte e disseminato di stelle; tirava un’arietta sorprendentemente fresca dopo una giornata così afosa, e Belle sentì gli uccelli notturni svolazzare di albero in albero.

«Volentieri», rispose.

«Sei molto bella, stasera. Vestito delizioso».

«Ti ringrazio. È il secondo che mi sono fatta confezionare nel quartiere cinese».

Edward si fermò e le mise una mano sul braccio per bloccare anche lei. «Davvero? Può essere pericoloso da quelle parti. Le loro società segrete ci causano un’infinità di problemi. Quel posto pullula di usurai e persino i cinesi stessi non osano denunciare le atrocità che commettono».

«Gloria mi ha detto che potrebbe essere rischioso, ma ci sono andata con una delle ragazze».

«Io lo evito come la peste. È un tantino troppo amorale per i miei gusti».

«Quindi non ci vai mai?», chiese lei, ricordando di avercelo visto in compagnia della donna con i capelli rossi dall’aspetto insolitamente familiare.

«No, se posso evitarlo. Cambiando argomento, mi stavo chiedendo se fossi giunta a qualche conclusione».

«In merito a cosa?»

«Tua madre. La bambina. Ciò che è accaduto. L’intera vicenda, ecco».

“Be’, non penso che mia madre sia colpevole”, rifletté, ma non lo disse. «Non esattamente», rispose. «Credo che mi limiterò ad andare avanti con la mia vita».

Lui sorrise, ma Belle colse anche qualcos’altro nella sua espressione. E si domandò perché gli avesse mentito. «Tuttavia», aggiunse, «ho saputo di una neonata che venne sentita piangere nell’albergo o nelle sue vicinanze proprio in quel periodo».

«Da chi?»

«Me ne ha accennato il portiere».

«Quella è una vecchia storia».

«Quindi la conosci anche tu?»

«Ne ho già sentito parlare».

Belle lo trovò un po’ strano. Il portiere le aveva detto che il padre non aveva denunciato l’episodio alle autorità, ma, d’altro canto, era possibile che si fosse sparsa la voce. Forse la notizia era arrivata anche all’orecchio di Edward?

«Ah, be’, è successo talmente tanto tempo fa», concluse. «La gente tende a confondersi, no?».

Continuarono a camminare fianco a fianco lungo Phayre Street, dove nell’aria si respirava il profumo delle violacciocche notturne e le chiazze di luce del giorno erano state rimpiazzate dagli alberi che svettavano rigidi e scuri contro il cielo trapunto di stelle.

«Avrei una cosa per te, ma se non hai intenzione di proseguire, forse… be’…». Fece una pausa. «Non ha importanza».

«Ora mi hai incuriosita».

Lui rise. «La curiosità uccise il gatto».

Belle levò gli occhi al cielo. «Sarei io il gatto?»

«Gli occhi verdi li hai».

«Allora?»

«Ho trovato un verbale della polizia su una bambina bianca avvistata insieme a una coppia birmana».

«Dove?»

«Su un vaporetto che stava risalendo il fiume Irrawaddy verso Mandalay. Ma probabilmente sarà l’ennesima storia infondata».

«Interessante. E la polizia portò avanti l’indagine?».

Lui scosse la testa. «Archiviarono il caso. Avevano seguito troppe false piste, penso, e dovevano esserci altre questioni più pressanti all’epoca. Un po’ come adesso».

«Cosa intendi? Che sta succedendo?»

«Gli animi sono in fermento. C’è stata una sparatoria nel quartiere indiano, ieri sera. Due uomini e una donna rimasti uccisi. È solo una questione di tempo».

«Prima di cosa?»

«Prima che diventi pericoloso per tutti noi».

«Pensavo avessi detto che avevi buone notizie».

«Questo è un altro discorso, ma chissà, magari risalire il fiume Irrawaddy potrebbe davvero essere una buona idea. Rangoon rischia di non essere troppo sicura per una donna da sola e, non si sa mai, magari potresti scoprire qualche indizio sulla bambina bianca vista sul vaporetto».

«Ma è successo talmente tanto tempo fa. Non se ne ricorderà nessuno».

«Forse no, o magari vale la pena tentare».

«Ti stai offrendo di accompagnarmi?».

Rise. «Purtroppo, no, anche se, be’… ormai avrai capito che mi sono affezionato a te».

Belle non sapeva cosa dire e si guardò attorno, cercando appigli per cambiare argomento. Dopo una breve pausa, fu lui a parlare.

«Scusami. Ti ho messa in imbarazzo».

«No. Non ci sono problemi». Si interruppe e gli mise una mano sul braccio mentre ripensava al discorso che avevano affrontato in precedenza. «Volevo chiederti una cosa».

«Spara».

«La storia di quel motociclista di cui mi hai parlato, quello che è rimasto ucciso in un incidente stradale. L’uomo che non è mai stato arrestato».

«Sì?»

«Era vera?».

Non riuscì a vederlo in faccia perché stavano passando sotto un albero, ma si accorse del suo attimo di esitazione. «D’accordo, non riesco a mentirti. La verità è che volevo farti sentire meglio».

«Quindi non era vera?»

«Non del tutto. Eri turbata dal gesto che potrebbe aver compiuto tua madre».

«Mi hai mentito?»

«Temevo potesse diventare un’ossessione e non volevo vederti sprecare le migliori opportunità per avere una grande carriera. E, come ti ho appena detto, mi sono molto affezionato a te e pensavo potessi restarci male».

«E la storia della bambina bianca?»

«Questa è vera, sul serio. Posso mostrarti il verbale. Ma, aspetta, non ti ho ancora parlato della buona notizia».

«Che sarebbe?», domandò lei, rendendosi conto che aveva abilmente portato la discussione in una direzione del tutto diversa.

«C’è un uomo che vorrei farti conoscere. Un agente teatrale che potrebbe avere una proposta da farti. Si fermerà a Rangoon di ritorno dall’Australia. Non so ancora la data precisa, ma non manca molto. Forse un paio di settimane».

Il successivo giorno di riposo, Belle si unì a Gloria e ad alcune sue amiche per una regata notturna sul lago Reale. L’intero ambiente era splendidamente rischiarato da migliaia di lanterne cinesi dai colori accesi e Belle osservò la processione di barche illuminate che passò davanti ai loro occhi, per poi entrare e uscire da una delle tante piccole baie. I britannici si erano radunati a Gossip Point, da dove avrebbero goduto della vista migliore, e Belle stava raccontando a Gloria che Edward le aveva suggerito di prendere un vaporetto con cui risalire il fiume Irrawaddy.

Gli occhi scuri e infossati di Gloria si illuminarono e la donna applaudì. «Che splendida idea! Ma io non ci andrei da sola».

«Stavo pensando di chiedere a Oliver Donohue di accompagnarmi».

Quando Gloria agitò la mano in un gesto sprezzante, Belle si concentrò sugli zigomi finemente cesellati e sull’espressione altezzosa dell’amica. Ma c’era anche qualcos’altro. Un briciolo di diffidenza, forse?

«Cara, non te l’ho già detto? È perennemente a caccia di una nuova storia. È veramente ostinato, e non puoi certo fidarti di lui».

Belle si accigliò. «Io l’ho trovato piuttosto piacevole».

«Piacevole! Che parolone! Ma ti assicuro che è un uomo pericoloso e che non c’è niente di meno piacevole».

L’improvviso e potente scoppio di alcuni fuochi d’artificio spaventò Belle, che si voltò a guardare Gloria a bocca aperta, gli occhi spalancati. I fuochi crepitarono ed esplosero; poi, in modo altrettanto repentino, lo spettacolo pirotecnico si concluse.

«Be’, non me l’aspettavo. Cosa si festeggia?»

«Non lo sai?».

Lei fece cenno di no con la testa.

«È il compleanno del governatore. E adesso, parliamo di quel giro in barca. Conosco la persona giusta per accompagnarti. Harry Osborne. È l’ispettore del governatore, e quello che non sa lui non merita di essere preso in considerazione». Guardò a destra e a sinistra. «Dovrebbe essere qui da qualche parte. Non ti muovere. Vado a dare un’occhiata».

Belle si guardò attorno in cerca di Edward, chiedendosi se avesse ricevuto notizie dall’agente che aveva menzionato. Se mancavano ancora alcune settimane al suo arrivo, avrebbe avuto modo di prendere il vaporetto, risalire il fiume Irrawaddy fino a Mandalay e tornare in tempo, sempre ammesso che partisse.

Rimase da sola e scrutò i vari volti lucenti. Lì per lì li trovò affascinanti, ma poi si rese conto che la patina lucida era dovuta perlopiù al sudore. Sentendosi un tantino in imbarazzo, si allontanò dalle lanterne, spostandosi dove la luce era più tenue. Sebbene conoscesse di vista alcuni degli uomini e delle donne radunati attorno a lei, si sentiva esclusa e le mancava il coraggio necessario per intrufolarsi in uno dei gruppetti. Ma era ridicolo, giacché molte di quelle persone dovevano averla sentita cantare – o forse era proprio quello il problema.

«A cosa stai pensando?».

Riconobbe immediatamente l’accento americano di Oliver e sentì di arrossire per il piacere. Che stupida. Grazie al cielo, però, lui non poteva vederla in viso in quella penombra.

«Tutta sola?»

«Sto aspettando Gloria».

«Dio ce ne scampi! Questo mi offre una valida scusa per portarti via da questo postaccio».

Belle rise. «Per andare dove?».

Lui si avvicinò di un passo. «Un posto vale l’altro, basta che non pulluli di britannici».

«Io sono britannica», replicò lei, ma con il cuore che le batteva a ritmo sfrenato nella cassa toracica non lo disse con grande trasporto. Era diventata qualcosa di diverso, di nuovo e ribelle. Indisciplinata, senza restrizioni, fuori controllo. “È tempo, ragazza mia, di folleggiare e disobbedire”. Esitò ricordando sua madre. Forse folleggiare no, ma disobbedire sì. Sarebbe stato sufficiente. “Che importa cosa pensano gli altri di Oliver? A me piace ed è questo che conta”, si disse.

«Sì, eccome, ma ho il sospetto che tu non sia una di loro. Tu, mia cara, sei furba come una faina».

Lei rise. «Questo per te sarebbe un complimento?».

Oliver si ritrasse e socchiuse gli occhi per guardarla bene in faccia. «Andiamo? Lo so che vuoi andare».

Quel momento fu di un’intimità disarmante. Belle lanciò un’occhiata nella direzione in cui era svanita Gloria e, malgrado le riserve espresse dalla donna su Oliver, prese subito una decisione. Gli permise di afferrarla per una mano e lasciarono di corsa il lago, ridendo come bambini e zigzagando tra le sbalordite matrone britanniche e i loro mariti pieni di sé.

Una volta lontani dalla folla, euforica e senza fiato, Belle si fermò, piegandosi in due e stringendosi il fianco. «Aspetta», esclamò. «Mi è venuta una fitta».

«Lumacona!», replicò lui con una risata.

«Non è giusto. Io porto i tacchi».

«Toglili, allora. Togliti tutto!».

Belle rise. «Così mi farò arrestare».

«In una notte come questa, ti seguirei a ruota».

«In prigione o alludi al togliersi tutto?»

«Tu che dici?».

Belle si tirò su. Oliver aveva ragione. Era una notte inebriante, mite e profumata, con un venticello leggero che le accarezzava le braccia nude, le faceva socchiudere le labbra e la invitava a toccare la pelle calda di lui. “Le notti birmane sono irresistibili”, pensò. “È come se ogni pensiero razionale fosse defluito altrove: le stelle brillano a migliaia, la luna sembra d’oro piuttosto che d’argento, e la notte è piena di suoni misteriosi. Ma la cosa migliore è l’aria fresca”. Quella frescura meravigliosa, magnifica. Si chiese come sarebbe stato come amante. Il suo amante. Immaginò le loro gambe intrecciate tra un groviglio di lenzuola bianche, il calore e il sudore e la pelle accaldata che li tenevano incollati insieme. Poi si impose di non fare la sciocca. Non era lì per innamorarsi. Sarebbe stato meglio se fossero rimasti soltanto amici. Compagni di cospirazione. No, non quello. Compagni d’indagine.

Quando ripresero a camminare, stavolta più lentamente, Oliver si portò la mano di Belle alle labbra e ne baciò ogni dito, uno dopo l’altro. Lei non disse una parola ma si protese verso lui e, con la bocca sulla sua, si strinse a lui. La sua pelle aveva un odore virile, di sapone al limone e di sandalo, ma soprattutto un profumo tutto suo. Mentre si baciavano, diede la colpa all’atmosfera straordinariamente dolce di quella notte. E quando il sudore iniziò a colarle tra i seni, non poté farci niente, se non arrendersi a quel meraviglioso formicolio dato dal sentirsi completamente viva… Con buona pace dell’idea di restare soltanto amici.

Si separarono dopo qualche minuto.

«Hai fame?», domandò lui, scrutandola in viso alla luce di un lampione.

Lei lo guardò raggiante, felice di prolungare il momento. «Ho una fame da lupi».

«Siamo in due allora. Ti andrebbe qualche specialità birmana? C’è un posticino formidabile proprio dietro l’angolo».

«Non le ho mai provate».

«Buon Dio, devi farti una cultura. Andiamo». E le tese una mano.

Nel giro di pochi minuti arrivarono a un ristorante illuminato da lanterne e vennero accompagnati a un tavolo appartato in fondo alla sala, dove aleggiava uno strano odore di pesce.

«Dovrai ordinare al posto mio. Non ho la più pallida idea di cosa sia questa roba».

«Cominciamo dall’insalata allo zenzero. La chiamano gin thoke. Che ne dici?».

Belle si concentrò sui suoi occhi e si rese conto che avrebbe accettato qualunque cosa le avesse suggerito.

«Si prepara con lo zenzero in salamoia, oltre alle lenticchie e ai fagioli di Lima tenuti a bagno per tutta la notte e poi fritti e uniti a cavolo tagliato a strisce, arachidi, semi di sesamo, succo di limone e una salsa di pesce». Agitò una mano. «Questa che senti è la salsa di pesce, e il sapore è molto più buono rispetto all’odore».

Lei gli rivolse un gran sorriso.

Mentre Oliver ordinava, lo vide tamburellare le mani a tempo sul tavolo.

«Cos’è?», gli chiese.

«Un semplice motivetto. Sai com’è quando ti restano in testa, no?». Fece una pausa. «Allora, dopo aver imparato a conoscere la cucina, e la prossima volta prenderemo l’insalata alle foglie di tè, ti introdurrò alla cultura birmana, musica e tutto il resto, a cominciare dalla pagoda più importante».

“La prossima volta”, pensò lei. “Ci sarà una prossima volta”. E si sentì elettrizzata al solo pensiero.