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Baley si accorse di ondeggiare. Era forse la macchina? Stava andando a pezzi? Oppure Giskard ne aveva perso il controllo? O forse stava conducendo un’operazione diversiva? Non gli importava. Che andassero pure a schiantarsi. Non desiderava altro che il buio. Qualsiasi cosa, pur di liberarsi di quella orribile paura, della sua totale incapacità di affrontare l’Universo.
Ma prima doveva assicurarsi che Daneel fuggisse... che si mettesse in salvo. Ma come?
Tutto gli pareva irreale, e non sarebbe riuscito a spiegarsi con quei robot. La situazione era perfettamente chiara per lui ma come fare a trasmettere la sua conoscenza ai robot che capivano soltanto le Tre Leggi, e che avrebbero lasciato che tutta la Terra, e alla lunga tutta l’umanità andasse al diavolo, perché erano capaci di preoccuparsi solo dell’unico uomo che avevano sotto il naso?
Perché mai erano stati inventati i robot?
E a questo punto, stranamente, il meno sofisticato dei due Giskard, venne in suo aiuto. Con la sua voce imperturbabile disse: «Amico Daneel, non posso tenere questa macchina in movimento ancora a lungo. Forse sarà opportuno fare come suggerisce il signor Baley. Ti ha dato un ordine molto forte.»
«Come posso lasciarlo mentre sta male, amico Giskard?» disse Daneel perplesso.
«Non puoi portarlo fuori con te in mezzo al temporale. Inoltre, sembra così ansioso di vederti andar via che se rimanessi potrebbe fargli male.»
Baley si sentì rinascere. «Sì... sì…» riuscì a gracchiare. «È come dice Giskard. Giskard, vai con lui, nascondilo. Poi torna da me.»
«Questo non è possibile,» disse Daneel. «Non possiamo lasciarti solo, senza protezione.»
«Nessun pericolo... non c’è nessun pericolo. Fai come ho detto.»
«Quelli che ci seguono probabilmente sono robot,» disse Giskard. «Gli esseri umani avrebbero parecchie esitazioni a uscire con il temporale. E i robot non potrebbero far male al signor Baley.»
«Potrebbero portarlo via,» disse Daneel.
«Non in mezzo al temporale, dal momento che questo gli farebbe evidentemente del male. Adesso fermo la macchina. Tienti pronto a fare come ha detto il signor Baley. Io ti seguo.»
«Bene!» mormorò Baley. «Bene!» Provò un senso di gratitudine per il cervello più semplice, che si lascia va impressionare più facilmente, e a cui mancava la possibilità di perdersi nell’incertezza e in sottigliezze.
Pensò vagamente a Daneel, intrappolato fra la consapevolezza che Baley stava male, e la perentorietà dell’ordine, al suo cervello dilaniato dal conflitto.
Baley pensò: “No, no Daneel. Fai come ti dico e non chiedere niente.” Gli mancavano le forze, quasi la volontà di articolare le parole, e il pensiero rimase tale.
La macchina si fermò con un tonfo e un rumore stridente. Le portiere si spalancarono, una per parte, poi si richiusero con un sibilo sommesso. I robot erano spariti. Avendo preso una decisione, non c’erano state esitazioni, e si erano mossi con velocità superiore a quella umana.
Baley tirò un profondo respiro ed ebbe un brivido. La macchina era immobile, come se facesse parte del terreno.
Si rese conto all’improvviso di quanto le sue miserevoli condizioni dipendessero dall’ondeggiare del veicolo, dall’incertezza che nasceva dalla sensazione di essere alla mercé di forze inanimate, indifferenti.
Adesso che era fermo, aprì gli occhi
Non si era reso conto di averli chiusi.
C’erano ancora lampi all’orizzonte, e il tuono rumoreggiava sommessamente, mentre il vento, incontrando un oggetto impossibile da smuovere, ululava con una nota più acuta. Era buio. Gli occhi di Baley erano solo quelli di un uomo, e non vedeva alcuna luce, a parte i lampi. Il sole era senza dubbio tramontato, e le nuvole erano gonfie.
Per la prima volta da quando aveva lasciato la Terra, Baley era solo.