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Baley sentì l’aria fredda attorno al piede, e uno spruzzo di pioggia. Era una cosa spaventosamente anormale, e tuttavia non poteva permettere che la portiera si richiudesse, perché poi non avrebbe saputo come riaprirla. (Come avevano fatto i robot ad aprire le portiere? Senza dubbio era una cosa semplicissima, ma nel corso delle sue letture su Aurora non aveva trovato alcuna istruzione in merito. Tutte le cose importanti sono date per scontate. Si presuppone che uno sappia, anche se in teoria viene informato.)
Mentre pensava, si stava frugando nelle tasche, e anche le tasche non erano facili da trovare. Non erano al posto giusto, ed erano chiuse, per cui dovette provare parecchie volte prima di scoprire il sistema per aprire le cerniere.
Prese un fazzoletto, lo arrotolò e lo sistemò fra la portiera e il battente. Solo allora tolse il piede.
Adesso doveva pensare... se ci riusciva. Non c’era alcun scopo a tenere la portiera aperta, a meno che non volesse uscire. Ma c’era uno scopo nell’uscire?
Se aspettava lì, prima o poi Giskard sarebbe tornato a prenderlo, e l’avrebbe portato in salvo.
Ma poteva aspettare?
Non sapeva quanto tempo ci sarebbe voluto a Giskard per accompagnare Daneel al sicuro e tornare.
Ma non sapeva neppure quanto ci sarebbe voluto ai robot di Amadiro per accorgersi che non riuscivano a trovare Daneel o Giskard su nessuna strada che conduceva all’Istituto. (Senza dubbio era impossibile che Daneel e Giskard fossero tornati verso l’Istituto in cerca di un rifugio. Baley non aveva ordinato loro di non farlo... Ma se fosse stata l’unica strada? No! Impossibile!)
Baley scosse la testa, come per negare a se stesso quella possibilità, e sentì come risultato una fitta. Si mise le mani attorno alla testa, stringendo i denti.
Per quanto tempo i robot avrebbero continuato la loro ricerca, prima di decidere che Baley li aveva ingannati... o si era lui stesso ingannato? Sarebbero tornati per prenderlo in custodia, con grande cortesia e facendo attenzione a non arrecargli danno? Sarebbe riuscito a tenerli a bada, dicendo loro che poteva morire, se esposto al temporale? Ci avrebbero creduto? Avrebbero chiamato l’Istituto per chiedere istruzioni? Senza dubbio l’avrebbero fatto. E a questo punto sarebbero arrivati degli esseri umani? Questi non si sarebbero certo preoccupati del suo benessere.
Se Baley usciva dalla macchina e trovava qualche posto per nascondersi fra gli alberi, sarebbe stato molto più difficile per i robot inseguitori trovarlo, e questo gli avrebbe fatto guadagnare tempo.
Sarebbe stato più difficile anche per Giskard, ma l’ordine di Giskard di proteggerlo era molto più intenso rispetto a quello dei robot di trovarlo. Il compito principale del primo era trovare Baley, quello dei secondi trovare Daneel.
Inoltre, Giskard era programmato da Fastolfe, e Amadiro, per quanto abile, non
era al livello di Fastolfe.
Senza dubbio perciò, a parità di condizioni, Giskard sarebbe tornato prima degli altri robot.
Ma ci sarebbe stata questa parità? In un debole tentativo di cinismo, Baley pensò: sono distrutto, non riesco a pensare. Mi sto solo aggrappando disperatamente a una speranza. Tuttavia, cos’altro poteva fare se non sperare di aver calcolato esattamente i rischi?
Si appoggiò alla porta, e si trovò fuori. Il fazzoletto cadde fra l’erba alta e bagnata, e lui automaticamente si chinò a raccoglierlo, tenendolo in mano mentre si allontanava con passo malfermo dalla macchina.
Si sentiva sopraffatto dagli scrosci di pioggia che gli bagnavano la faccia e le mani. Dopo un po’, gli abiti umidi gli si erano appiccicati addosso, e tremava di freddo.
Ci fu uno squarcio abbagliante nel cielo, troppo rapido perché riuscisse a chiudere gli occhi, poi un suono lacerante, che lo irrigidì per il terrore, e gli fece portare le mani alle orecchie.
Il temporale era tornato? O sembrava più forte solo perché lui adesso era all’aperto?
Doveva muoversi, allontanarsi dalla macchina, in modo che gli inseguitori non potessero trovarlo facilmente. Non doveva esitare, altrimenti tanto valeva essere rimasto in macchina, all’asciutto.
Cercò di asciugarsi la faccia col fazzoletto, ma era bagnato quanto la faccia, per cui lo buttò via.
Continuò a camminare, con le braccia tese in avanti. Non c’era una luna attorno ad Aurora? Gli sembrava di ricordare qualcosa del genere. Adesso la sua luce,gli avrebbe fatto comodo... Ma anche se fosse esistita, e in quel momento fosse stata in cielo, sarebbe stata nascosta dalle nuvole.
Sentì qualcosa. Non riusciva a vedere cosa fosse, ma riconobbe la corteccia ruvida di un albero. Era senza dubbio un albero. Anche un abitante delle Città era in grado di riconoscerlo.
Poi si ricordò che i lampi colpivano più facilmente gli alberi, e potevano uccidere. Non ricordava di aver mai letto alcuna descrizione dell’effetto che produceva un fulmine, o se c’erano misure per difenderci. Non sapeva di nessuno che fosse stato colpito da un fulmine. Girò attorno all’albero a tentoni, in preda all’apprensione e alla paura. Quanto era mezzo giro, per poter riprendere a muoversi nella stessa direzione?
Avanti!
C’erano cespugli fitti, difficili da attraversare. Erano come dita scheletriche che lo trattenevano. Tirò con rabbia, e sentì la stoffa strapparsi.
Avanti!
I denti gli battevano, tremava.
Un altro lampo. Non così forte. Per un attimo, riuscì a vedere i dintorni.
Alberi! Molti. Era in mezzo a una macchia di alberi. Molti alberi erano più pericolosi di uno, in un temporale? Non lo sapeva.
Serviva non toccare il tronco? Non sapeva neppure questo. La morte per fulmine era semplicemente qualcosa di inesistente nelle Città, e i romanzi antichi (e certe volte i libri di storia) che ne facevano cenno, non entravano nei dettagli.
Alzò gli occhi al cielo buio, e sentì la pioggia sul viso. Si asciugò la faccia bagnata con mani bagnate.
Riprese ad avanzare, cercando di non inciampare. A un certo punto, finì coi piedi in un torrentello, che scorreva in un letto di pietre. Ma non si ritrovò più bagnato di prima.
Continuò. I robot non l’avrebbero trovato. E Giskard?
Non sapeva dove si trovava. Né dove stava andando.
Se avesse voluto tornare alla macchina, non poteva. Non poteva neppure trovare se stesso.
E il temporale sarebbe continuato per sempre, e lui alla fine si sarebbe sciolto, trasformandosi in un piccolo torrente, e nessuno l’avrebbe più trovato.
E le sue molecole sarebbero arrivate all’oceano.
C’era un oceano su Aurora?
Certo che c’era. Era più grande di quelli terrestri, e c’era più ghiaccio attorno ai poli.
Ah, le correnti l’avrebbero portato fino al ghiaccio, e lì sarebbe rimasto, scintillante sotto il sole arancione.
Le sue mani toccarono un altro albero... mani bagnate... albero bagnato... brontolii di tuono... strano che non avesse visto il lampo... era stato colpito?
C’era la terra sotto di lui, perché le dita affondavano nel fango freddo. Voltò la testa per respirare. Si stava abbastanza bene. Non doveva più camminare. Poteva aspettare. Giskard l’avrebbe trovato.
D’improvviso si sentì molto sicuro. Giskard l’avrebbe trovato perché... Si era dimenticato del perché. Era la seconda volta che dimenticava qualcosa. Prima di addormentarsi... Era la stessa cosa che aveva dimenticato la prima volta?... La stessa cosa?...
Non importava.
Sarebbe andato tutto bene... bene...
E rimase lì steso, solo e incosciente, nella pioggia, ai piedi di un albero, mentre il temporale imperversava.