28
Fastolfe si limitò a sorridere cortesemente, senza mostrare né sorpresa, né sollievo, né incredulità. Lo condusse fino a una sala da pranzo, più piccola e familiare di quella in cui avevano mangiato la prima volta.
«Caro signor Baley,» disse Fastolfe, «voi ed io ceneremo da soli in maniera informale. Manderemo anche via i robot, se questo vi fa piacere. Né parleremo di affari, a meno che non insistiate a tutti i costi.»
Baley non disse nulla ma si fermò a guardare le pareti, stupito. Erano di un verde luminoso, e onde di intensità e sfumature diverse si muovevano lentamente dal basso verso l’alto. C’era qua e là un cenno di verde più scuro, di fugaci ombre. La stanza appariva così come una grotta bene illuminata, sotto la superficie del mare. Dava un senso di vertigine... o almeno questo era l’effetto su Baley.
Fastolfe non ebbe difficoltà ad interpretare l’espressione di Baley. «Ammetto che è questione di abitudine, signor Baley... Giskard, abbassa l’illuminazione murale... Grazie.»
Baley tirò un sospiro di sollievo. «Grazie a voi, dottor Fastolfe. Potrei andare al Personale?»
«Ma certo.»
Baley esitò. «Non potreste...»
Fastolfe sorrise. «Lo troverete del tutto normale. Non avrete di che lamentarvi.»
I Baley chinò la testa. «Grazie mille.»
Senza le insopportabili illusioni il Personale (doveva essere lo stesso che aveva utilizzato la prima volta) era solo quello che doveva essere, anche se molto più lussuoso e accogliente di quanti ne avesse mai visto. Era incredibilmente diverso da quelli terrestri, costituito da file di unità identiche, che si stendevano all’infinito, ciascuna predisposta per l’utilizzo di una, e una sola, persona per volta.
Splendeva, tale era la pulizia. Era come se lo strato molecolare esterno venisse asportato dopo ogni utilizzo, e sostituito con un nuovo strato. Oscuramente, Baley aveva la sensazione che se fosse rimasto su Aurora abbastanza a lungo, avrebbe trovato difficile riadattarsi alle folle terrestri, che rendevano l’igiene e la pulizia una specie di ideale irraggiungibile a cui rendere omaggio.
Baley, in piedi nel Personale dotato di arredi che sembravano d’argento e d’oro, lucido e splendente, si trovò a rabbrividire ripensando alla facilità di scambio di batteri sulla Terra, alle occasioni di infezione. Non era la stessa cosa che provavano gli Spaziali? Come fargliene una colpa?
Si lavò le mani, sfiorando la striscia in vari punti per cambiare la temperatura. Eppure, gli Auroriani erano ridicoli con quelle loro decorazioni inutili, con quella finzione di vivere allo stato di natura, quando la natura era addomesticata e domata. O era solo Fastolfe?
Dopo tutto, la casa di Gladia era molto più austera. O questo era solo dovuto al fatto che lei era stata allevata su Solaria?
La cena che seguì fu una pura delizia. Ancora una volta, come durante il
pranzo, ebbe la netta sensazione di trovarsi più vicino alla natura. I piatti erano numerosi: ognuno diverso, ognuno in piccola quantità, e in vari casi era possibile vedere le parti di animali o piante. Cominciava a considerare le piccole difficoltà (un frammento di osso, un pezzetto di grasso, una fibra di muscolo), che in precedenza l’avrebbero disgustato, come incontri avventurosi. Il primo piatto era costituito da un piccolo pesce, da mangiare intero, con tutte le interiora. Inghiottì il pesce con un certo sforzo, imitando Fastolfe, e il sapore lo convertì immediatamente. Non aveva mai assaggiato niente di simile. Era come se d’improvviso gli fossero state impiantate nuove papille
I sapori cambiavano da un piatto all’altro; alcuni erano decisamente strani, e non del tutto piacevoli, ma scoprì che non era molto importante: ciò che contava era la sorpresa di un sapore diverso, distinto dal precedente (su consiglio di Fastolfe bevve un sorso d’acqua leggermente aromatizzata fra un piatto e l’altro), non il sapore in se stesso.
Cercò di non inghiottire in fretta e furia, e di non concentrarsi interamente sul cibo. Cercò disperatamente di imitare Fastolfe, ignorando lo sguardo cortese ma divertito dell’altro.
«Spero,» disse Fastolfe, «che la cena sia di vostro gradimento.»
«Ottima,» riuscì a rispondere Baley fra un boccone e l’altro.
«Vi prego di non fare complimenti. Se qualcosa vi sembra troppo strano, o immangiabile, lasciatelo da parte. In cambio, posso farvi portare il bis di qualche piatto che vi sia piaciuto.»
«Non è necessario. È tutto buonissimo.»
Malgrado l’offerta di Fastolfe di mangiare senza robot, era un robot che serviva. (Fastolfe probabilmente non l’aveva neppure notato, tanta era l’abitudine, pensò Baley, e non sollevò la questione.) Come c’era d’aspettarsi, il robot era silenzioso, i suoi movimenti impeccabili. La sua livrea sembrava uscita da qualche dramma storico della trivi. Era solo guardandolo da vicino che ci si rendeva conto che l’abito era in gran parte un’illusione data dalla luce, e che il robot in effetti era rivestito solo di liscio metallo.
«Il rivestimento del cameriere è stato disegnato da Gladia?» chiese Baley.
«Sì,» disse Fastolfe, ovviamente compiaciuto. «Sarebbe molto contenta di sapere che avete riconosciuto la sua mano. E brava, vero? Il suo lavoro ha sempre più successo su Aurora, e le ha fornito una buona posizione sociale.»
La conversazione durante il pasto era stata piacevole, ma priva di importanza. Baley non aveva voglia di parlare di affari, e preferiva godersi la cena senza parlare, mentre il suo inconscio (o qualunque facoltà intervenisse in assenza di un pensiero sistematico) decideva come affrontare la questione che a questo punto gli sembrava centrale.
Fastolfe prese l’iniziativa, dicendo: «Visto che avete fatto il nome di Gladia, signor Baley posso chiedervi come è successo che avete lasciato la mia casa nella più profonda disperazione, e ne ritornate quasi allegro, dicendo di aver forse in mano la chiave di tutta la faccenda? Avete appreso qualcosa di nuovo, di inatteso, a casa di Gladia?»
«Infatti,» disse Baley con aria assente: stava pensando al dessert, che aveva un sapore irriconoscibile, e di cui (dopo un’occhiata significativa rivolta al cameriere), aveva avuto una seconda razione. Si sentiva sazio. Non aveva mai gustato tanto l’atto di mangiare, in tutta la sua vita, e per la prima volta si trovò a rimpiangere i limiti fisiologici che rendevano impossibile mangiare all’infinito.
«E cosa avete appreso di nuovo e inaspettato?» chiese Fastolfe pazientemente. «Qualcosa che io non sapevo?»
«Forse. Gladia mi ha detto che le avete dato Jander circa mezzo anno fa.»
Fastolfe annuì. «Questo lo sapevo anch’io.»
Bruscamente Baley chiese: «Perché?»
L’espressione amabile sul viso di Fastolfe svanì lentamente. «Perché no?»
«Non so perché no, dottor Fastolfe. Non mi interessa. La mia domanda è: perché?»
Fastolfe scosse adagio la testa e non disse niente.
«Dottor Fastolfe,» disse Baley, «sono qui per trovare una soluzione a quello che sembra un inestricabile pasticcio. Niente di quello che avete fatto, niente, e servito a semplificarmi le cose. Piuttosto, sembra proviate quasi gusto a dimostrarmi quanto il problema sia inestricabile, e nel distruggere le mie ipotesi. Io non mi aspetto che chi interrogo risponda alle mie domande. Non ho alcuna posizione ufficiale su questo pianeta, e non ho alcun diritto di porre domande, e ancor meno di obbligare qualcuno a rispondermi. Ma nei vostri confronti la cosa è diversa. Sono qui per vostra richiesta, e sto cercando di salvare la vostra carriera, quanto la mia, e secondo la vostra stessa opinione, sto cercando di salvare sia Aurora sia la Terra. Perciò, mi aspetto che rispondiate alle mie domande con completezza e sincerità. Vi prego di non insistere con tattiche dilatorie, come chiedere perché no, quando io chiedo perché. E adesso per l’ultima volta: perché?»
Fastolfe strinse le labbra, con aria cupa. «Le mie scuse, signor Baley. Se ho esitato a rispondere è perché, ripensandoci, sembra che non ci sia alcuna ragione importante. Gladia Delmarre... no, lei non vuole che venga usato il suo cognome... Gladia è straniera su questo pianeta; aveva subìto alcune esperienze traumatiche sul suo mondo natale, come sapete, e esperienze altrettanto traumatiche su questo, come forse non sapete...»
«Lo so. Vi prego di arrivare al punto.»
«Bene: mi faceva pena. Era sola, e mi sembrava che Jander l’avrebbe fatta sentire meno sola.»
«Vi faceva pena? Nient’altro? Siete amanti? Lo siete stati?»
«No, assolutamente. Non mi sono mai offerto né l’ha fatto lei. Perché me lo chiedete? Vi ha detto che eravamo amanti?»
«No. Ma ho bisogno di continue conferme. Ve lo dirò, se ci saranno contraddizioni: non preoccupatevi. Come mai, dato che provavate tanta simpatia per lei, e a quanto mi ha detto Gladia, lei vi era così grata, nessuno di voi due si è offerto? Mi pare di capire che su Aurora offrirsi sessualmente è comune quanto fare commenti sul tempo.»
Fastolfe aggrottò la fronte. «Voi non ne sapete niente, signor Baley. Non
giudicateci in base agli standard del vostro mondo. Il sesso non è cosa di grande importanza per noi, ma stiamo attenti a come lo usiamo. Può darsi che a voi non sembri, ma nessuno di noi si offre con leggerezza. Gladia, che non era abituata ai nostri costumi ed era sessualmente frustrata, forse si è offerta con leggerezza (o meglio: con disperazione), e non è sorprendente, quindi, che non abbia gradito i risultati.»
«Non avete cercato di migliorare la situazione?»
«Offrendo me stesso? Non sono l’uomo di cui lei ha bisogno, e lei non è la donna di cui ho bisogno io. Mi faceva pena. Mi piace. Ammiro il suo talento artistico. E vorrei che fosse felice. Sono sicuro, signor Baley, che sarete d’accordo con me nel dire che la simpatia di un essere umano per un altro non deve necessariamente poggiare sul desiderio sessuale, o su qualcosa di diverso da un legittimo sentimento umano. Non avete mai provato simpatia per qualcuno? Non avete mai voluto aiutare qualcuno, per nessun’altra ragione se non la soddisfazione di avere dato sollievo alla sua pena? Da che razza di pianeta venite?»
«Quello che dite è giusto,» disse Baley. «Non metto in dubbio il fatto che siate una persona sensibile. Ma abbiate pazienza con me. Quando vi ho chiesto perché avevate dato Jander a Gladia, non mi avete detto quello che mi avete detto adesso... e con grande passione, posso aggiungere. Il vostro primo impulso è stato di sottrarvi, di prender tempo chiedendomi perché no. Stabilito che quello che mi avete detto alla fine è la verità, cosa c’è nella domanda che vi ha imbarazzato all’inizio? Quale ragione, che voi non volete ammettere vi è venuta in mente prima di decidervi a dirmi la ragione che volete ammettere? Perdonatemi se insisto, ma devo sapere... e non per personale curiosità, vi assicuro. Se quello che mi direte è inutile per risolvere questo maledetto imbroglio, allora fate finta di aver gettato le parole in un buco nero.»
A bassa voce, Fastolfe disse: «In tutta onestà, non sono sicuro del perché ho cercato di sfuggire alla vostra domanda. Mi avete ricordato qualcosa che forse non voglio affrontare. Lasciatemi pensare.»
Rimasero in silenzio un po’. Il robot sparecchiò e uscì. Daneel e Giskard erano da qualche parte (presumibilmente sorvegliavano la casa). Baley e Fastolfe erano finalmente soli
Alla fine, Fastolfe disse: «Non sono sicuro di quello che devo dirvi, ma torniamo indietro di qualche decennio. Ho due figlie. Forse lo sapete. Nate da due madri diverse...»
«Avreste preferito due maschi, dottor Fastolfe?»
Fastolfe parve genuinamente sorpreso. «No. Per niente. La madre della mia seconda figlia voleva un maschio, credo, ma non ho voluto dare il mio consenso all’inseminazione artificiale con sperma selezionato, neppure il mio; ho insistito per gettare il dado genetico. Prima che mi chiediate perché, vi dirò che preferisco conservare un certo elemento aleatorio nella vita, e inoltre credo che volessi una possibilità di avere una figlia. Avrei accettato anche un figlio, sia chiaro, ma non volevo abbandonare la possibilità di una femmina. Ho un debole per le femmine. Bene, anche la seconda fu una figlia, e questa potrebbe essere una delle ragioni per
cui la madre sciolse il matrimonio subito dopo la nascita. D’altra parte, un buon numero di matrimoni si sciolgono subito dopo la nascita dei figli, per cui forse non devo andare in cerca di ragioni particolari.»
«Immagino che abbia preso il figlio con sé.»
Fastolfe diede un’occhiata perplessa a Baley. «E perché? Già, dimenticavo: siete Terrestre. No, certo che no. La bambina doveva essere messa in un asilo, dove sarebbe stata allevata opportunamente. Tuttavia,» arricciò il naso, come per un ricordo imbarazzante, «non ce la misi. Decisi di allevarla io stesso. Era legale, ma molto insolito. Ero piuttosto giovane, si capisce: non avevo ancora un secolo, ma mi ero già fatto un nome nel campo della robotica.»
«Ci siete riuscito?»
«Ad allevarla? Oh sì. Mi sono molto affezionato a lei. L’ho chiamata Vasilia. Era il nome di mia madre, sapete.» Ridacchiò. «Ho di questi sentimentalismi... come il mio affetto per i robot. Non ho mai conosciuto mia madre, naturalmente, ma il nome è sul mio certificato. È ancora viva, per quel che ne so, e potrei vederla... ma credo che ci sia qualcosa di nauseante nell’incontrare qualcuno sapendo di essere stati nel suo ventre... Dov’ero rimasto?»
«A Vasilia.»
«Sì... L’ho allevata, e mi ci sono affezionato. Molto. Capisco bene cosa ci possa essere di affascinante nel fare una cosa del genere, ma naturalmente era imbarazzante per i miei amici, e dovevo tenerla lontana in occasione di contatti sociali o professionali. Mi ricordo che una volta...» si interruppe.
«Si?»
«È una cosa a cui non penso da anni. Mi è corsa fra le braccia piangendo per qualche motivo, mentre stavo discutendo uno dei primissimi progetti di robot umanoide col dottor Sarton. Aveva solo sette anni, credo, e naturalmente l’abbracciai e la baciai, dimentico dei problemi che stavamo affrontando, e questo fu imperdonabile da parte mia. Sarton se ne andò, tossendo, indignatissimo, e ci volle una settimana prima che potessi riprendere contatto con lui e tornare al lavoro. I bambini non dovrebbero esercitare un effetto simile sulla gente, credo, ma ce ne sono così pochi, e si incontrano così raramente...»
«E vostra figlia, Vasilia, vi voleva bene?»
«Oh, sì. Almeno finché... Mi amava molto. Mi occupai della sua istruzione, e feci in modo che la sua mente potesse allargarsi il più possibile.»
«Avete detto che vi amava molto finché... Non avete finito la frase. È arrivato un momento, dunque, in cui non vi ha più amato. Quando è stato?»
«Voleva avere una sua casa, una volta cresciuta.»
«È naturale. E voi non lo volevate?»
«Certo che lo volevo. Continuate a credermi un mostro, signor Baley?»
«Devo allora credere che una volta raggiunta l’età in cui lei doveva avere la sua casa, lei non provò più per voi lo stesso affetto che aveva quando viveva nella vostra?»
«Non è così semplice. Anzi, è stato piuttosto complicato. Vedete...» Fastolfe sembrò imbarazzato. «L’ho rifiutata quando lei mi si è offerta.»
«Vi si è offerta?» disse Baley scandalizzato.
«Era naturale,» disse Fastolfe. «Mi conosceva meglio di ogni altro. L’avevo educata nel sesso, avevo incoraggiato le sue aspettative, l’avevo portata ai Giochi di Eros, avevo fatto del mio meglio per lei. C’era da aspettarselo, e sono stato uno sciocco a non farlo, e a non accettarla.»
«Ma... l’incesto!»
«Incesto?» disse Fastolfe. «Oh sì, un termine terrestre. Su Aurora non esiste una cosa simile, signor Baley. Pochissimi Auroriani conoscono i loro genitori Naturalmente, nel caso di matrimonio e di figli, viene fatta una ricerca genealogica, ma questo non c’entra col sesso sociale. No, no: la cosa innaturale è che abbia rifiutato mia figlia.» Arrossì, e più di tutto le grandi orecchie.
«Lo spero bene,» mormorò Baley.
«E non avevo nessuna buona ragione per farlo... almeno nessuna che potessi spiegare a Vasilia. È stato criminale da parte mia non aver previsto la cosa, e non aver preparato una spiegazione razionale per rifiutare una ragazza così giovane e priva di esperienza, in modo da non ferirla e da infliggerle una terribile umiliazione. Sono veramente mortificato per il fatto di aver allevato una figlia solo per sottoporla a un’esperienza così sgradevole. Credevo che avremmo potuto continuare la nostra relazione come padre e figlia, come amici, ma lei non desistette. Ogni volta che la rifiutavo, per quanto cercassi di farlo gentilmente, le cose peggioravano fra di noi. Finché alla fine...»
«Alla fine, lei volle una propria casa.»
«All’inizio mi opposi: non perché non volessi che ne avesse una, ma perché volevo ristabilire i nostri rapporti di affetto prima che se ne andasse. Non servi a nulla. E stato forse il periodo più difficile della mia vita. Alla fine, lei chiese piuttosto violentemente di andarsene, e io non potei più oppormi. Ormai era diventata una roboticista... Le sono grato di non aver abbandonato la professione per antipatia verso di me... ed era in grado di trovarsi una casa senza aiuto da parte mia. Infatti lo fece, e da quel momento abbiamo avuto pochissimi contatti.»
«Potrebbe darsi,» disse Baley, «che dal momento che non ha abbandonato la robotica, non si senta del tutto estranea ai vostri confronti.»
«È la cosa che sa far meglio, e che l’interessa di più. Io non c’entro per niente. Lo so perché anch’io una volta lo pensavo, e ho fatto diverse aperture amichevoli, che non sono state ricambiate.»
«Vi manca, vostra figlia, dottor Fastolfe?»
«Certo che mi manca. È una dimostrazione di quanto sia sbagliato allevare i propri figli. Si cede a un impulso irrazionale, un desiderio atavico, che porta ad ispirare a una figlia i sentimenti d’amore più intensi per poi trovarsi di fronte alla possibilità di rifiutare la prima offerta di questa stessa figlia, segnandola emotivamente per il resto della vita. E come se non bastasse, uno deve anche sopportare questo irrazionale senso di perdita. È una cosa che non avevo mai provato in vita mia, e non ho più provato dopo. Entrambi abbiamo sofferto inutilmente, e la colpa è interamente mia.»
Fastolfe rimase immerso nei propri pensieri, finché Baley disse gentilmente: «E tutto questo cos’ha a che fare con Gladia?»
Fastolfe ebbe un sobbalzo. «Oh! Me n’ero scordato. Be’, è piuttosto semplice. Tutto quello che ho detto di Gladia è vero. Mi piaceva, provavo simpatia per lei, ammiravo il suo talento. Ma assomigliava a Vasilia. Mi accorsi della somiglianza quando vidi il primo servizio sul suo arrivo su Aurora. Era piuttosto sorprendente, e questo suscitò il mio interesse.» Sospirò. «Quando mi resi conto che come Vasilia aveva subito un trauma sessuale, non potei più resistere. Feci in modo che avesse una casa vicino alla mia, divenni suo amico, e feci del mio meglio per aiutarla ad adattarsi a un mondo straniero.»
«È un sostituto di vostra figlia, allora.»
« In un certo senso sì. Possiamo definirla così. E non potete immaginare quanto sia contento che non le sia mai venuto in mente di offrirsi a me. Respingerla sarebbe stato come rivivere il mio rapporto con Vasilia. Accettarla, per incapacità di ripetere quel rifiuto, mi avrebbe amareggiato la vita, perché avrei fatto per questa straniera, per questo pallido riflesso di mia figlia, quello che non avevo voluto fare per lei. In entrambi i casi... Ma non importa. Adesso avrete capito perché ho esitato a rispondervi? La vostra domanda mi ha riportato col pensiero a questa tragedia della mia vita.»
«E la vostra prima figlia?»
«Lumen?» disse Fastolfe con aria indifferente. «Non ho mai avuto alcun contatto con lei, anche se di tanto in tanto ne ho notizie.»
«È candidata per una carica politica, ho sentito.»
«Una carica locale. Per il Partito Globalista.»
«Cioè?»
«I Globalisti? Sostengono gli interessi della sola Aurora, del nostro globo, capite. Dicono che gli Auroriani devono prendere la guida nella colonizzazione della Galassia. Gli altri devono esserne impediti, nei limiti del possibile, in particolare i Terrestri. “Egoismo illuminato” lo chiamano.»
«Non è la vostra posizione, naturalmente.»
«Naturalmente no. Io sono il capo del partito Umanista, che crede che tutti gli esseri umani abbiano il diritto di avere la loro parte di Galassia. Quando parlo dei miei nemici, intendo i Globalisti.»
«Lumen dunque fa parte dei vostri nemici.»
«Anche Vasilia. In effetti, è membro dell’Istituto di Robotica di Aurora, fondato qualche anno fa, e guidato da scienziati che mi considerano come un demonio da sconfiggere ad ogni costo. Per quel che ne so, tuttavia, le mie varie ex mogli sono apolitiche, forse perfino Umaniste. Fece un sorriso sarcastico e disse: Bene, signor Baley: avete finito con le domande?»
Le mani di Baley cercarono inutilmente delle tasche nei pantaloni auroriani che indossava: una cosa che gli capitava spesso, da quando li aveva indossati la prima volta sulla nave. Come compromesso, si incrociò le braccia sul petto. «In effetti, dottor Fastolfe,» disse, «non sono del tutto sicuro che abbiate risposto alla prima domanda. Mi pare che non vi siate ancora stancato di evaderla. Perché avete dato
Jander a Gladia? Vediamo di portare tutto alla luce, in maniera da poter diradare quello che adesso è buio profondo.»