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Il dottor Han Fastolfe li stava davvero aspettando, e sorrideva. Era alto e magro, con capelli bruno chiaro, non molto folti. E c’erano le orecchie. Erano le orecchie che Baley ricordava, anche dopo tre anni. Orecchie grandi, a sventola, che gli davano un’aria vagamente comica, una piacevole familiarità. Furono le orecchie che fecero sorridere Baley, più che il benvenuto di Fastolfe.
Baley si chiese se la tecnologia medica di Aurora non si stendeva alla chirurgia plastica. Ma forse a Fastolfe non dispiacevano, proprio come succedeva a Baley (con sua sorpresa). Ci sono dei pregi in una faccia che fa sorridere.
Forse Fastolfe apprezzava l’idea di riuscire simpatico a prima vista. O forse trovava utile essere sottostimato?
Fastolfe disse: «Poliziotto in borghese Elijah Baley. Mi ricordo bene di voi, anche se non posso fare a meno di immaginarvi con la faccia dell’attore che vi impersonava.»
Baley fece una smorfia. «Quello sceneggiato mi perseguita, dottor Fastolfe. Se sapessi dove trovare un posto per non sentirne più parlare...»
«Non c’è,»disse Fastolfe allegramente. «Comunque, se vi da fastidio lo elimineremo dalla nostra conversazione. Non ne farò più parola. D’accordo?»
«Grazie.» Con un gesto improvviso ma calcolato offrì la mano a Fastolfe.
L’Auroriano ebbe una percettibile esitazione. Poi prese la mano che gli veniva offerta, stringendola con cautela, e non a lungo. Disse: «Suppongo che non siate un ricettacolo ambulante di infezioni, signor Baley.» Poi aggiunse, guardandosi dispiaciuto le mani. «Devo ammettere, però, che mi sono cosparso le mani con una pellicola inerte, non del tutto piacevole da sopportare. Sono anch’io una creatura dalle paure irrazionali della mia società.»
Baley alzò le spalle. «Succede lo stesso a tutti noi. A me non piace l’idea di trovarmi Fuori... all’aria aperta, voglio dire. Quanto a questo, non mi va neppure l’idea di essere venuto su Aurora, nelle circostanze in cui ci sono venuto.»
«Capisco benissimo, signor Baley. Ho pronta per voi una macchina chiusa, e quando saremo giunti nella mia abitazione, faremo di tutto per tenervi sempre al chiuso.»
«Grazie, ma nel corso della mia permanenza su Aurora, credo che mi capiterà di dover uscire. Sono preparato a questo... meglio che posso.»
«Capisco, ma vi infliggeremo l’Esterno solo in caso di necessità. Per il momento, non è il caso, perciò resteremo al chiuso.»
La macchina li attendeva all’ombra del tunnel, e ci sarebbe stata solo una fugace impressione dell’Esterno, nel passare dall’uno all’altra. Baley avvertiva alle sue spalle la presenza di Daneel e di Giskard, dissimili nell’aspetto ma identici nell’atteggiamento grave di attesa, ed entrambi pazienti all’infinito.
Fastolfe aprì la portiera posteriore e disse: «Entrate, prego.»
Baley entrò. Daneel lo seguì immediatamente, mentre Giskard, in quello che sembrava quasi un balletto ben orchestrato, entrava dall’altra parte. Baley si trovò
incastrato, ma in maniera non opprimente, fra i due. In effetti, accolse con piacere il pensiero che fra sé e l’Esterno, su tutt’e due i lati, c’era lo spessore di due corpi robotici.
Ma non c’era alcun Esterno. Fastolfe si sistemò sul sedile anteriore, e mentre la portiera si chiudeva alle sue spalle, i finestrini si oscurarono, e una luce diffusa riempì l’interno della macchina.
Fastolfe disse: «Di solito non viaggio in questa maniera, signor Baley, ma non m’importa molto, e forse per voi sarà più piacevole. La macchina è completamente computerizzata, sa dove deve andare, e può cavarsela con ogni ostacolo o emergenza. Noi non dobbiamo far niente.»
Ci fu una lievissima accelerazione, poi la sensazione appena avvertibile di movimento.
«È un tragitto sicuro signor Baley,» disse Fastolfe. «Ho fatto di tutto perché il numero minore possibile di persone sappia che vi trovate in questa macchina, e certo nessuno potrà vedervi da fuori. La macchina viaggia su cuscino d’aria, e non ci metteremo molto ad arrivare. Se volete, potete approfittare dell’occasione per riposare. Siete al sicuro, adesso.»
«Parlate,» disse Baley, «come se pensaste che io sia in pericolo. Sulla nave sono stato protetto fino al punto da sentirmi un prigioniero... e adesso lo sono ancora.» Baley guardò lo spazio ristretto del veicolo, un guscio di metallo e di vetro opacizzato, per non parlare dei corpi metallici dei due robot.
Fastolfe fece una risatina. «Sto esagerando, lo so, ma gli animi su Aurora sono sovreccitati. Arrivate in un momento di crisi, e preferisco sembrare uno sciocco esagerando i pericoli, che correre il rischio terribile che comporterebbe sottovalutarli.»
«Immagino che capirete, dottor Fastolfe,» disse Baley, «che un mio fallimento qui rappresenterebbe un colpo anche per la Terra.»
«Lo capisco molto bene. Sono deciso quanto voi ad impedire questo fallimento. Credetemi.»
«Vi credo. Inoltre, un mio fallimento qui, per qualsiasi ragione, significherebbe anche la mia rovina personale e professionale sulla Terra.»
Fastolfe si voltò sul sedile per guardare Baley, con un’espressione esterrefatta. «Davvero? Ma non ha senso!»
Baley alzò le spalle. «Sono d’accordo, ma succederà lo stesso. Sarò il capro espiatorio naturale per il governo terrestre.»
«Non pensavo a questo quando ho chiesto di voi, signor Baley. Potete star certo che farò quanto è in mio potere per aiutarvi. Anche se in tutta onestà, potrà essere molto poco, se perdiamo.»
«Lo so,» disse Baley cupamente. Si appoggiò al morbido sedile e chiuse gli occhi.
Il movimento della macchina si limitava a un dolce rollio, ma Baley non si addormentò. Si concentrò invece sui suoi pensieri, per quello che valevano.