27
Baley uscì dalla casa di Gladia, e si trovò immerso nel sole. Si voltò verso l’orizzonte occidentale, e vide il sole di Aurora, di un colore scarlatto carico, sormontato da una striscia sottile di nuvole rossastre, sullo sfondo di un cielo verde prugna.
«Giosafatte,» mormorò. Evidentemente il sole di Aurora, più freddo é arancione di quello terrestre, accentuava le proprie caratteristiche al tramonto, quando la sua luce doveva attraversare uno strato maggiore di atmosfera.
Daneel era alle sue spalle; Giskard, come prima, un bel pezzo avanti. Sentì la voce di Daneel vicino al suo orecchio: «Stai bene, Elijah?»
«Benissimo,» disse Baley. «Sto sopportando egregiamente l’Esterno. Riesco perfino ad ammirare il tramonto. È sempre così?»
Daneel guardò senza interesse il sole al tramonto, e disse: «Sì. Ma affrettiamoci a raggiungere la casa del dottor Fastolfe. In questa stagione, il crepuscolo non dura molto, e preferirei che tu arrivassi finché ci vedi ancora bene.»
«Sono pronto.»
«Andiamo.»
Baley si chiese se non sarebbe stato meglio aspettare il buio. Non sarebbe stato piacevole non vedere, ma d’altra parte questo gli avrebbe dato l’illusione di trovarsi al chiuso. Nel suo cuore non era sicuro di quanto sarebbe durata la leggera euforia indotta dallo spettacolo del tramonto (un tramonto Esterno). Ma era un’incertezza da codardi, e Baley non intendeva accettarla.
Giskard tornò silenziosamente verso di loro, e disse: «Preferite aspettare, signore? E meglio il buio per voi? Per noi è lo stesso.»
Baley scorse altri robot, più lontani, da ogni lato. Era stata Gladia a disporre i suoi robot di guardia, o Fastolfe? Questo serviva a sottolineare quanto tutti si preoccupassero per lui, e perversamente, Baley non era disposto ad ammettere alcuna debolezza. Disse: «No. Andiamo ora.»
Partì di buon passo verso la casa di Fastolfe, che si scorgeva fra gli alberi. Che i robot lo seguissero o no, non gli importava, pensò spavaldamente. Sapeva che, se si metteva a pensarci, ci sarebbe stato qualcosa dentro di sé che si sarebbe sgomentato al pensiero di trovarsi sulla superficie esterna di un pianeta, senza protezione se non l’aria fra sé e il grande vuoto. Ma non ci avrebbe pensato.
Era solo l’esaltazione di sentirsi libero dalla paura che gli faceva tremare le mascelle e battere i denti. Oppure il vento freddo della sera, che gli stava facendo anche venire la pelle d’oca sulle braccia.
Non era l’Esterno.
No.
Rilassando con uno sforzo le mascelle, disse: «Daneel, tu conoscevi bene Jander?»
«Siamo stati insieme per qualche tempo,» disse Daneel. «Dal momento della costruzione dell’amico Jander, fino a quando non è passato nella casa della
signorina Gladia, siamo stati quasi sempre insieme.»
«Ti disturbava il fatto di assomigliargli tanto?»,
«No. Ognuno di noi due sapeva chi era, e anche il dottor Fastolfe non si confondeva. Quindi eravamo due individui.»
«Anche tu eri in grado di distinguerli, Giskard?» Il robot adesso era più vicino a loro, forse perché gli altri si erano assunti il compito di sorvegliare la zona sulla lunga distanza.
«Non c’è stata alcuna occasione in cui fosse necessario farlo,» disse Giskard.
«E se ci fosse stata?»
«Allora, avrei potuto farlo.»
«Qual è la tua opinione su Jander, Daneel?»
«La mia opinione? A proposito di quale aspetto di Jander desideri la mia opinione?»
«Faceva bene il suo lavoro, per esempio?»
«Certamente.»
«Era soddisfacente sotto ogni punto di vista?»
«Sotto ogni punto di vista, per quel che ne so.»
«E tu, Giskard? Qual è la tua opinione?»
«Non sono mai stato vicino all’amico Jander come lo è stato l’amico Daneel, e non sarebbe opportuno per me esprimere un’opinione. Posso dire che, per quel che ne so, il dottor Fastolfe era del tutto soddisfatto di Jander. Sembrava altrettanto soddisfatto di lui quanto dell’amico Daneel. Tuttavia, non credo che i miei programmi mi permettano di fornire certezze in questo campo.»
«Cosa mi sai dire,» chiese Baley, «del periodo successivo all’ingresso di Jander nella casa della signorina Gladia, Daneel? Lo incontravi ancora?»
«No. La signorina Gladia lo teneva sempre a casa sua. Quando le capitava di far visita al dottor Fastolfe, lui non l’accompagnava, per quel che ne so. Le volte che ho accompagnato il dottor Fastolfe dalla signorina Gladia, non ho visto l’amico Jander.»
Baley rimase leggermente sorpreso. Si voltò verso Giskard, per rivolgergli la stessa domanda, si arrestò, alzò le spalle. Non stava approdando a nulla, e come gli aveva già detto Fastolfe, non c’era molto da ricavare a interrogare un robot. Non avrebbe consapevolmente mai detto qualcosa che potesse danneggiare un essere umano, né poteva essere indotto, con le minacce, la corruzione o le lusinghe, a farlo. Non avrebbe mentito apertamente, ma avrebbe insistito ostinatamente, per quanto gentilmente, a offrire risposte inutili.
E, forse, la cosa non aveva più importanza.
Erano arrivati sulla soglia della casa di Fastolfe, e Baley sentì il suo respiro accelerare. Il tremito che provava alle braccia e al labbro inferiore doveva essere dovuto al vento freddo, adesso ne era sicuro. Il sole era tramontato, erano apparse alcune stelle, e il cielo aveva assunto una tinta verde-porpora, come quella di un livido. Passata la porta, si trovò nel calore delle pareti luminose.
Era salvo.
Lo accolse Fastolfe. «Arrivate per tempo, signor Baley. È stato fruttuoso il
vostro colloquio con Gladia?»
«Direi di sì, dottor Fastolfe,» disse Baley. «È perfino possibile che abbia in mano la chiave del mistero.»