17
Baley fissò Fastolfe con un’espressione di orrore. «Nessun modo?»
«Nessun modo.» Poi, come se d’improvviso si fosse dimenticato dell’argomento, prese il distributore di spezie e disse: «Sapete sono curioso di vedere se riesco ancora a fare la tripla genuflessione.»
Gettò il distributore in aria con un movimento calcolato del polso. Il cilindro eseguì una capriola e, mentre cadeva, Fastolfe colpì l’estremità più stretta, col fianco della mano destra tenendo il pollice piegato all’ingiù. Il distributore tornò a sollevarsi, si inclinò. Fastolfe lo colpì col fianco della mano sinistra. Risalì in alto al contrario, venne ancora colpito con il fianco délla destra, poi della sinistra. Dopo di che, venne sollevato con forza sufficiente da eseguire una capriola. Fastolfe lo prese con la destra, tenendoci sotto la sinistra, col palmo aperto. Quando l’ebbe afferrato, Fastolfe mostrò a Baley la sinistra, su cui c’era una spruzzata di sale.
«Per una mente scientifica,» disse Fastolfe, «si tratta di un gioco da ragazzi, e lo sforzo è del tutto sproporzionato rispetto al fine, che è solo quello di ottenere un pizzico di sale, ma un buon ospite Auroniano è orgoglioso di saperlo eseguire. Ci sono alcuni esperti che riescono a tenere in aria il distributore per un minuto e mezzo, muovendo le mani a una velocità tale che quasi l’occhio non riesce a seguirle. «Naturalmente,» aggiunse con aria meditabonda, «Daneel potrebbe fare un esercizio simile più abilmente e velocemente di qualsiasi essere umano. Ho fatto l’esperimento, per controllare il funzionamento dei suoi circuiti cerebrali, ma sarebbe un grave errore farlo esibire in pubblico: servirebbe solo a umiliare i giocolieri umani.»
Baley grugnì.
Fastolfe sospirò. «Ma torniamo agli affari.»
«Mi avete fatto attraversare svariati parsec per questo.»
«Appunto. Dunque, procediamo!»
Baley disse: «C’era uno scopo per questa vostra esibizione?»
«Be’, a quanto pare siamo giunti a un punto morto. , Vi ho fatto venire qui per eseguire un compito che non può essere eseguito. La vostra faccia era alquanto eloquente, e a dirvi la verità, io non mi sento meglio. Perciò mi è sembrato il caso di introdurre una pausa di respiro. Ora possiamo procedere.»
«In questo compito impossibile?»
«Perché dovrebbe essere impossibile per voi, signor Baley? Voi avete la reputazione di fare anche l’impossibile.»
«Ancora lo sceneggiato? Credete a quella ridicola distorsione degli avvenimenti su Solaria?»
Fastolfe allargò le braccia. «Non ho altra speranza.»
«E io non ho altra scelta,» disse Baley. «Devo provare, non posso tornare sulla Terra con un fallimento. Mi è stato fatto capire fin troppo chiaramente. Ditemi, dottor Fastolfe: come avrebbe potuto essere ucciso Jander? Che genere di manipolazione era necessaria?»
«Signor Baley, non so se potrei spiegarlo a un altro roboticista, cosa che voi certo non siete, neanche se fossi pronto a pubblicare le mie teorie, il che non è. Comunque, vediamo se riesco a spiegarvi qualcosa. Voi sapete, naturalmente, che i robot sono stati inventati sulla Terra.»
«Si parla molto poco dei robot sulla Terra.»
«La forte avversione dei Terrestri per i robot è ben nota sui Mondi Spaziali.»
«Tuttavia, l’origine terrestre dei robot è evidente,» disse Baley. «È ben noto che la propulsione iperspaziale è stata sviluppata con l’aiuto dei robot, e dal momento che i Mondi degli Spaziali non avrebbero potuto essere colonizzati senza la propulsione iperspaziale, ne segue che i robot esistevano prima della colonizzazione stessa, quando la Terra era l’unico pianeta abitato. Quindi i robot sono stati inventati dai Terrestri.»
«Tuttavia, i Terrestri non ne provano alcun orgoglio, vero?»
«Non se ne parla,» disse Baley brevemente.
«E i Terrestri non sanno nulla di Susan Calvin?»
«Ho incontrato questo nome in certi vecchi libri. È stata uno dei pionieri della robotica.»
«Non sapete altro di lei?»
Baley fece un gesto di diniego. «Penso che potrei scoprire qualcosa di più, frugando in biblioteca, ma non ho mai avuto occasione di farlo.»
«Strano,» disse Fastolfe. «Susan Calvin è una specie di divinità per gli Spaziali, tanto che pochi, fra i non esperti nel campo, sanno che in effetti era terrestre. Sembrerebbe una profanazione. Se qualcuno dicesse loro che è morta dopo aver vissuto poco più di un centinaio di anni metrici, si rifiuterebbero di crederlo.»
«Ma tutto questo cosa c’entra con il nostro caso, dottor Fastolfe?»
«Indirettamente, c’entra. Dovete capire che intorno a lei sono sorte numerose leggende. La maggior parte sono senza dubbio false, ma ormai non è più possibile cancellarle. Una delle più famose, e delle meno probabili, riguarda un robot, fabbricato in quell’epoca primitiva, che, a causa di qualche incidente di produzione, acquistò capacità telepatiche.»
«Cosa?»
«È solo una leggenda, vi ho detto, ed è senza dubbio falsa Badate bene: vi è qualche fondamento teorico che consente di ritenere la cosa possibile, anche se nessuno è mai riuscito a progettare un cervello positronico che possieda anche solo un briciolo di questa capacità. Che la cosa possa essere successa in un robot semplice e primitivo come quelli costruiti nell’era preiperspaziale è del tutto impensabile. Per questo siamo certi che questo racconto sia del tutto inventato. Ma lasciate che ve lo racconti, perché contiene un insegnamento.»
«Continuate.»
«Il robot, dunque, poteva leggere nelle menti. E quando gli veniva rivolta una domanda, leggeva nella mente dell’interrogante ciò che questi voleva sentirsi dire. La Prima Legge della Robotica afferma piuttosto chiaramente che un robot non può far del male a un essere umano, o permettere con la sua inazione che una persona riceva del male. Generalmente per i robot ciò significa un male fisico, ma
un robot in grado di leggere le menti saprebbe che il disappunto, l’ira o qualsiasi altra passione violenta, rendono l’essere umano infelice, e perciò sarebbe indotto a interpretare la causa di queste emozioni come “male”. Perciò, se un robot telepatico sapesse che la verità può disturbare o irritare un uomo, oppure indurlo a provare invidia o infelicità, sarebbe obbligato a raccontare una piacevole bugia, invece della verità. Mi seguite?»
«Sì, certo.»
«Perciò il robot mentiva anche alla stessa Susan Calvin. Le bugie non potevano durare, perché a persone diverse venivano dette cose diverse, che venivano in seguito smentite dalla realtà. Susan Calvin si accorse che il robot le aveva mentito, e comprese che quelle bugie l’avevano portata in una condizione di notevole imbarazzo. Ciò che inizialmente l’avrebbe soltanto infastidita, ora, a causa di false speranze, le procurava un dispiacere insopportabile... Non avete mai sentito questa storia?»
«Vi do la mia parola.»
«Incredibile! E pensare che non è stata di sicuro inventata su Aurora, perché la si trova su tutti i mondi. Comunque, Calvin si prese la sua rivincita. Fece osservare al robot che, sia dicendo una bugia sia dicendo la verità, avrebbe ugualmente fatto del male alla persona in questione. Non poteva obbedire alla Prima Legge, in ogni caso. Il robot, appena compresa la situazione, fu costretto a trovare rifugio nell’inazione totale. Se volete usare un’espressione colorita, i suoi circuiti positronici si fusero. Il suo cervello venne irrimediabilmente distrutto. La leggenda aggiunge che l’ultima parola rivolta da Calvin al robot fosse: “Bugiardo!”.»
«E qualcosa di simile sarebbe successo a Jander Panell?» chiese Baley. «Posto di fronte a una contraddizione in termini, il suo cervello si è fuso?»
«È quanto sembra che sia successo, anche se la cosa è meno facile da ottenere che all’epoca di Susan Calvin. Forse proprio a causa della leggenda, i roboticisti si sono sempre sforzati di rendere quanto più difficile possibile il sorgere di contraddizioni. Con il perfezionarsi della teoria positronica, e delle tecniche costruttive, sono stati sviluppati i sistemi sempre più elaborati per far sì che tutte le potenziali situazioni potessero risolversi in una condizione di non-equalità, cioè fosse sempre possibile al robot decidere una linea d’azione in obbedienza alla Prima Legge.»
«Bene, allora non è possibile fondere il cervello di un robot. Mi state dicendo questo? Ma allora cos’è successo a Jander?»
«Non sto dicendo questo. I sistemi sempre più perfezionati di cui parlo non sono mai del tutto perfetti. Non è possibile. Per quanto complesso ed elaborato possa essere un cervello, esiste sempre un mezzo per indurlo in contraddizione. E una legge fondamentale della matematica. Rimarrà per sempre impossibile costruire un cervello così complesso e astuto da ridurre la possibilità di contraddizione a zero. Sempre. Tuttavia, le possibilità sono così vicine allo zero, che produrre un congelamento mentale mediante una contraddizione richiede una perfetta comprensione del cervello positronico in questione, e questo lo può fare solo un teorico molto abile.»
«Come voi, dottor Fastolfe?»
«Come me. Nel caso di un robot umanoide, solo io potrei farlo.»
«Oppure nessuno,» disse Baley con pesante ironia.
«Oppure nessuno. Esatto,» disse Fastolfe, ignorando l’ironia. «I robot umanoidi hanno cervelli, nonché corpi, costruiti come imitazione cosciente dell’uomo. I cervelli positronici sono estremamente delicati, e hanno in sé le debolezze del cervello umano. Come un essere umano può subire una paralisi cerebrale, a causa di qualche evento puramente interno, senza l’intervento di alcun agente esterno, così un cervello umanoide può, per puro caso, ossia per una spontanea oscillazione dei positroni, entrare in congelamento mentale.»
«Potete provare questo, dottor Fastolfe?»
«Posso provarlo matematicamente, ma fra tutti coloro in grado di seguire i calcoli matematici, non tutti sarebbero disposti a riconoscere che il ragionamento è valido, in quanto coinvolge certe mie personali supposizioni che non corrispondono ai modelli accettati della robotica.»
«E che probabilità ci sono di un congelamento mentale spontaneo?»
«Dato un numero elevato di robot umanoidi, diciamo centomila, vi è una buona probabilità che uno di essi possa incorrere in un congelamento spontaneo nel corso di una vita media auroriana. Ma potrebbe capitare anche molto prima, come è successo a Jander, anche se le probabilità sono molto scarse.»
«Però, dottor Fastolfe, anche se poteste provare che un congelamento mentale spontaneo può verificarsi questo non è lo stesso che provare che un simile evento si è verificato nel caso particolare di Jander Panell.»
«No,» ammise Fastolfe. «Avete ragione.»
«Voi, il più grande roboticista, non potete provarlo nel caso specifico di Jander.»
«Esatto.»
«E allora cosa vi aspettate che faccia io, che non so niente di robotica?»
«Non è necessario provare alcunché. Basterebbe presentare un’ipotesi ingegnosa che renda plausibile il congelamento spontaneo al grande pubblico.»
«Per esempio?»
«Non so.»
Con voce dura, Baley disse: «Siete sicuro di non saperlo, dottor Fastolfe?»
«Ve l’ho appena detto: non lo so.»
«Permettete che vi faccia osservare una cosa. Suppongo che in generale gli Auroriani sappiano che io sono su Aurora allo scopo di occuparmi del problema. Sarebbe difficile riuscire a farmi arrivare qui in segreto, visto che io sono un Terrestre, e che questa è Aurora»
«Sì, certo, e non ho fatto alcun tentativo per tenerlo nascosto. Ho consultato il Presidente del Congresso, e l’ho persuaso a darmi il permesso di farvi venire. In questo modo ho ottenuto una sospensione del processo.»
«Vi viene offerta una possibilità di risolvere il mistero, prima di allora.»
«Ma non credo che la sospensione sarà molto lunga.»
«Dunque ripeto: gli Auroriani in generale sanno che io sono qui, e immagino
che sappiano anche perché: per risolvere l’enigma della morte di Jander.»
«Si capisce. Quale altra ragione potrebbe esserci?»
«E fin dal momento in cui sono salito a bordo della nave, mi avete tenuto sotto stretta e costante sorveglianza, a causa del pericolo che correvo di essere eliminato dai vostri nemici, i quali mi considererebbero una specie di Mago, capace di risolvere il mistero in maniera tale da trasformarvi nel vincitore, anche se tutto è contro di voi.»
«Temo che sia possibile, sì.»
«Supponiamo allora che qualcuno, il quale non vuole veder risolto il mistero, e voi, dottor Fastolfe, discolpato, riesca effettivamente ad uccidermi. Non è possibile che questo faccia volgere dalla vostra parte le simpatie della gente? Non penserebbero tutti che voi eravate, in realtà, innocente, altrimenti i vostri nemici non avrebbero temuto a tal punto l’indagine da volermi morto?»
«È un ragionamento piuttosto complicato, signor Baley. Suppongo che se fosse opportunamente sfruttata, la vostra morte potrebbe essere utilizzata a questo fine Ma non accadrà. Siete ben protetto, e nessuno vi ucciderà.»
«Ma perché proteggermi, dottor Fastolfe? Perché non lasciare che mi ammazzino, e usare la mia morte come carta vincente?»
«Perché preferirei che rimaneste vivo, e dimostraste la mia innocenza.»
«Ma voi,» disse Baley, «sapete che io non posso dimostrare la vostra innocenza.»
«Forse potete. Avete ogni incentivo per farlo. Il bene della Terra dipende da questo, e alla fine, a quanto mi avete detto anche la vostra carriera.»
«E a che serve un incentivo? Se mi diceste di volare i altrimenti verrei ucciso mediante una lenta tortura, e inoltre la Terra verrebbe fatta saltare in aria, e tutta la sua popolazione distrutta, avrei un enorme incentivo, per volare... ma continuerei a non poterlo fare.»
«So che le probabilità sono minime,» disse Fastolfe, a disagio.
«Dite pure che sono inesistenti,» disse Baley con rabbia, «e che solo la mia morte può salvarvi.»
«Allora non potrò salvarmi, perché farò di tutto perché i miei nemici non possano raggiungervi.»
«Ma voi potete raggiungermi.»
«Cosa?»
«Mi è venuta l’idea, dottor Fastolfe che voi stesso potreste uccidermi in maniera tale da far sembrare che i vostri nemici abbiano commesso il fatto. A questo punto usereste la mia morte contro di loro. Ed è per questa ragione che mi avete portato su Aurora.»
Per un momento, Fastolfe guardò Baley con un espressione sorpresa, poi, in uno scoppio di furia improvviso, arrossì violentemente e la sua faccia si contrasse in una smorfia. Afferrò il distributore di condimenti che stava sul tavolo, lo sollevò e lo scagliò contro Baley, il quale, colto completamente di sorpresa, riuscì appena a rannicchiarsi nella sedia.