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Baley tese l’orecchio per captare i rumori dell’atterraggio. Non aveva idea di quali sarebbero stati, naturalmente.
Non conosceva i meccanismi della nave, quanti uomini e donne trasportava, e cosa facevano nel corso dell’atterraggio, e quindi che rumori ci sarebbero stati.
Grida? Rimbombi? Una vibrazione?
Non sentì nulla.
Daneel disse: «Mi sembri teso, Elijah. Preferirei che tu non esitassi a parlarmi di tutto ciò che eventualmente ti dà disagio. Devo aiutarti fin dal primo istante in cui tu sia, per qualsiasi ragione, infelice.» C’era una certa enfasi nella parola “devo”.
Baley pensò: “È spinto dalla Prima Legge. Senza dubbio ha sofferto quanto me, a suo modo, quando sono caduto, senza che lui l’avesse previsto in tempo. Uno squilibrio nei potenziali positronici non ha alcun significato per me, ma può produrre in lui lo stesso disagio e la stessa reazione di un dolore acuto per me.”
Poi pensò ancora: “Come posso sapere cosa esiste dentro la pseudo-pelle e la pseudo-coscienza di un robot? E del resto, come fa Daneel a sapere cosa c’è dentro di me?”
Poi, con una sensazione di rimorso per aver pensato a Daneel come a un robot, Baley guardò gli occhi gentili dell’altro (da quando aveva cominciato a pensare che la loro espressione era gentile?), e disse: «Ti dirò immediatamente di ogni mio disagio. Ora non ce n’è alcuno. Sto solo cercando di sentire i rumori associati con le procedure di atterraggio»
«Grazie, Elijah,» disse Daneel con aria grave. Chinò lievemente la testa, e continuò: «Non sentirai alcun fastidio per l’atterraggio. Ci sarà una lieve accelerazione, attenuata dal fatto che la cabina si sposta nella direzione dell’accelerazione. La temperatura potrà elevarsi, ma non più di due gradi Celsius. Per quanto riguarda gli effetti sonori, potrebbe esserci un leggero sibilo, mentre attraverseremo l’atmosfera. Qualcuna di queste cose potrà disturbarti?»
«Non credo. Quello che mi disturba, è di non poter partecipare all’atterraggio, di non sapere come avvenga. Non mi piace essere tenuto prigioniero, e che mi venga negata questa esperienza.»
«Hai già scoperto, Elijah, che la natura dell’esperienza non si addice al tuo temperamento.»
«E come potrò superare la mia fobia, Daneel?» disse Baley con forza. «Non è una ragione sufficiente per tenermi chiuso qui.»
«Ti ho già spiegato che devi rimanere qui per la tua sicurezza.»
Baley scosse la testa, disgustato. «Ci ho pensato, e ti dico che è una sciocchezza. Le mie probabilità di venire a capo di questo imbroglio sono così scarse, con tutte le difficoltà che avrò a capire qualcosa di Aurora, che non credo ci sia qualcuno sano di mente disposto a prendersi il disturbo di cercare di fermarmi. E anche se lo volessero, perché attaccarmi personalmente? Perché non sabotare la
nave? Se immaginiamo di trovarci di fronte a criminali senza scrupoli, questi presumibilmente considereranno la nave, la gente che ha a bordo, tu e Giskard, e naturalmente me, come un prezzo non troppo elevato da pagare.»
«Anche questo, in effetti, è stato preso in considerazione. La nave è stata accuratamente ispezionata. Qualunque indizio di sabotaggio sarebbe stato individuato.»
«Ne sei sicuro? Sicuro al cento per cento?»
«Una cosa del genere non può mai essere assolutamente certa. Tuttavia Giskard ed io siamo stati abbastanza tranquilli, pensando che le probabilità di un disastro erano scarsissime.»
«E se vi siete sbagliati?»
Qualcosa di simile a una piccola contrazione passò sul viso di Daneel, come se gli fosse stato chiesto di considerare qualcosa che interferiva con il corretto funzionamento dei suoi circuiti positronici. Disse: «Ma non ci siamo sbagliati.»
«Non puoi ancora dirlo. Stiamo atterrando, e questo è senz’altro il momento di maggiore pericolo. In effetti, a questo punto non c’è bisogno di sabotare la nave. Il mio pericolo personale è maggiore proprio ora. Non posso rimanere nascosto in questa cabina, se devo sbarcare su Aurora. Dovrò passare attraverso la nave, e sarò alla portata di altri. Avete preso le precauzioni necessarie per rendere sicura la zona di sbarco?» (Stava diventando petulante; punzecchiava Daneel senza necessità, solo perché non sopportava più la sua lunga prigionia... e l’indegna figura fatta poco prima.)
Ma Daneel disse con calma: «L’abbiamo fatto, Elijah. E, a proposito, siamo già atterrati. In questo momento, siamo sulla superficie di Aurora.
Per un attimo, Daneel rimase sconcertato. Si guardò attorno ma naturalmente non c’era niente da vedere, oltre al;e quattro pareti della stanza. Non aveva sentito nulla di quanto Daneel gli aveva detto: niente accelerazione, né calore, né sibilo del vento. O forse Daneel aveva deliberatamente sollevato la questione della sua sicurezza personale per distoglierlo dal pensiero di altre faccende di minore importanza, ma fastidiose.
Baley disse: «Però c’e sempre il problema di scendere dalla nave. Come posso farlo senza espormi a possibili nemici?»
Daneel raggiunse una parete, e toccò un punto su di essa. Immediatamente la parete si aprì in due. Baley si trovò a guardare in un lungo cilindro, un tunnel.
Giskard era entrato in quel momento, e disse. «Signore, usciremo tutti e tre da quella parte. Il tubo è sorvegliato dall’esterno. Il dottor Fastolfe ci aspetta all’altra estremità.»
«Abbiamo preso ogni precauzione,» disse Daneel.
Baley mormorò: «Le mie scuse Daneel... e Giskard.» Si avviò verso il tunnel di uscita. Ogni sforzo fatto per prendere precauzioni gli faceva anche capire che quelle precauzioni erano state ritenute necessarie.
A Baley piaceva pensare di non essere un codardo. Ma si trovava su un pianeta straniero, senza alcun modo di distinguere i nemici dagli amici, senza poter trovare conforto in alcunché di familiare (tranne, naturalmente, Daneel). Nei momenti
cruciali, pensò con un brivido, si sarebbe ritrovato senza un luogo chiuso che gli desse conforto e sollievo.