34

 

La faccia di Fastolfe era cupa quando Baley tornò. «Avete fatto progressi?» chiese.

«Ho eliminato parte di una possibilità... Forse.»

«Parte di una possibilità? E come farete a eliminare l’altra parte? E meglio ancora, come fate a stabilire una possibilità?»

«Scoprendo che è impossibile eliminare una possibilità, si fa il primo passo nello stabilirla.»

«E se scoprirete che è impossibile l’altra parte della possibilità misteriosa di cui sopra?»

Baley alzò le spalle. «Prima di perdere tempo a considerare questa possibilità, devo vedere vostra figlia.»

Fastolfe sospirò tristemente. «Ho fatto quello che mi avete chiesto: ho cercato di mettermi in contatto con lei. Ho dovuto svegliarla.»

«Volete dire che si trova su una zona del pianeta dove è notte? Non ci avevo pensato.» Baley si sentì mortificato. «Temo di essere rimasto ancora attaccato alle abitudini terrestri. Nelle Città sotterranee, giorno e notte perdono di significato, e il tempo tende a uniformarsi.»

«Non preoccupatevi. Eos è il centro robotico di Aurora, e pochi fra quelli che lavorano in questo campo vivono da qualche altra parte. Vasilia stava solo dormendo e il fatto di averla svegliata non ha contribuito a migliorare il suo umore. Non ha voluto parlare con me.»

«Chiamatela di nuovo,» disse Baley.

«Ho parlato col suo robot segretario, e c’è stato uno spiacevole scambio di messaggi. Mi ha fatto capire chiaramente che non intendeva parlare con me, in qualunque modo. È stata un po’ più possibilista con voi. Il robot mi ha detto che vi concederà cinque minuti sul suo canale privato, se la chiamate,» Fastolfe guardò l’orologio appeso al muro, «fra mezz’ora. Non intende vedervi di persona, in nessun caso.»

«Le condizioni sono insufficienti, e così pure il tempo. Devo vederla di persona, e per tutto il tempo necessario. Le avete spiegato l’importanza della cosa, dottor Fastolfe?»

«Ho cercato. Non l’interessa.»

«Siete suo padre.»

«Certo... Lei è meno disposta a fare un favore a me che a uno sconosciuto qualsiasi. Lo sapevo, e perciò mi sono servito di Giskard.»

«Giskard?»

«Sì. Ha una grande simpatia per Giskard. Quando studiava robotica all’università, si è presa la libertà di modificare alcuni aspetti minori del suo programma, e non c’è nulla che renda più stretti i legami con un robot di questo... tranne che per il metodo di Gladia, naturalmente. Era quasi come se Giskard fosse Andrew Martin...»

«E chi è Andrew Martin?»

«Era, non è,» disse Fastolfe. «Non ne avete mai sentito parlare?»

«No.»

«Strano. Queste antiche leggende hanno tutte origine dalla Terra, eppure voi non le conoscete. Andrew Martin era un robot che, un passo alla volta, era diventato umanoide. Naturalmente ci sono stati altri robot umanoidi prima di Daneel, ma erano solo giocattoli, poco più di automi. C’è una donna, nella leggenda, nota come Piccola Miss. La relazione fra i due è troppo complicata per spiegarvela ora, ma immagino che ogni bambina su Aurora abbia sognato di essere la Piccola Miss, e di avere Andrew Martin come robot. Anche Vasilia, e Giskard era il suo Andrew Martin.»

«E allora?»

«Ho incaricato il suo robot di dirle che sareste stato accompagnato da Giskard. Sono anni che non lo vede, e ho pensato che forse questo l’avrebbe indotta ad acconsentire.»

«Ma non ha funzionato, suppongo.»

«No.»

«Allora dobbiamo pensare a qualcos’altro. Dev’esserci qualche sistema per indurla a vedermi.»

«Forse ve ne verrà in mente uno disse Fastolfe. Fra qualche minuto potrete vederla in tridì, e poi avrete cinque minuti per convincerla a vedervi di persona.»

«Cinque minuti! Cosa possa fare in cinque minuti?»

«Non lo so. Ma è sempre meglio che niente.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Robot Dell'Alba
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