62
Baley trattenne il respiro, preparandosi a quello che avrebbe visto. La piccola scatola della macchina non sarebbe stata più interamente chiusa, impenetrabile.
Mentre i finestrini tornavano trasparenti, ci fu un lampo, troppo rapido per poter far altro che rendere ancor più scuro il mondo, per contrasto.
Baley non poté evitare di farsi piccolo, mentre attendeva il tuono, che arrivò dopo un secondo o due, con un brontolio cupo.
«Ormai il temporale è giunto al massimo, e fra poco si allontanerà,».disse Daneel.
«Non mi importa se si allontana o no,» disse Baley, con le labbra che gli tremavano. «Andiamo.» Per puro amor proprio, stava cercando di mantenere l’illusione di essere lui responsabile del robot.
La macchina si sollevò leggermente, ed ebbe per un momento uno sbandamento tale che Baley finì addosso a Giskard. Gridò (o piuttosto gracchiò): «Raddrizza, Giskard!»
Daneel mise un braccio attorno alle spalle dell’uomo, tirandolo verso di sé con delicatezza. Con l’altra mano si teneva aggrappato a una maniglia. «Non è possibile, Elijah. Soffia un vento piuttosto forte.»
Baley sentì i capelli rizzarglisi in testa. «Vuoi dire... che verremo trascinati via?»
«Certamente no,» disse Daneel. «Se la macchina fosse antigravitazionale (una forma di tecnologia che naturalmente non esiste), e se la sua massa e la sua inerzia fossero zero, allora verrebbe spinta come una foglia nell’aria. Ma noi manteniamo tutta la nostra massa anche quando i getti ci sollevano, cosicché la nostra inerzia resiste al vento, il quale tuttavia ci fa inclinare, pur lasciando Giskard in completo controllo della vettura.»
«Non si direbbe.» Baley sentiva un debole sibilo, che immaginò fosse il vento che fischiava attorno alla macchina, mentre questa si apriva la strada fra gli elementi. Poi la macchina ebbe un sobbalzo, e Baley non poté fare a meno di afferrarsi al collo di Daneel.
Questi rimase immobile. Quando Baley ebbe ripreso fiato, e allentato un poco la presa, il robot si liberò gentilmente della stretta dell’altro, aumentando nel contempo la pressione del braccio attorno alle sue spalle.
«Per mantenere la direzione,» disse, «Giskard deve opporsi al vento dirigendo i getti in maniera asimmetrica. Essi devono però essere regolati in direzione e intensità a seconda dei mutamenti del vento. Non c’è nessuno più abile di Giskard in questo, ma di tanto in tanto ci sarà qualche scossone. Devi scusarlo se non partecipa alla nostra conversazione, quindi. La sua attenzione è tutta concentrata nella guida.»
«Ma... siamo sicuri?» Baley sentì che lo stomaco gli si contraeva, come se cercasse, a modo suo, di opporsi al vento. Ringraziò il cielo per il fatto di non aver mangiato da qualche ora. Non poteva, non osava sentirsi male nello spazio ristretto
della macchina. Il solo pensarci lo scombussolava ancora di più, e cercò di concentrarsi su qualcos’altro.
Pensò ai marciapiedi mobili della Terra alla tecnica che usava per passare da una striscia più lénta a quella più rapida, a quella più rapida ancora, e poi al movimento in direzione inversa, che avveniva inclinando il corpo per contrastare il moto: in una direzione accelerando, in quella opposta rallentando. Quando era più giovane, Baley lo sapeva fare senza pause e senza errori.
Daneel aveva imparato senza difficoltà, e quella volta che avevano usato le strisce insieme, aveva fatto tutto alla perfezione. Adesso era, la stessa cosa: era come se la macchina corresse sulle strisce.
Non proprio, in effetti. Nella Città, la velocità delle strisce era fissa. Il vento soffiava in maniera perfettamente prevedibile, dal momento che era solo il risultato del movimento delle strisce stesse. Invece nel temporale il vento si comportava autonomamente, o piuttosto dipendeva da un numero talmente elevato di variabili (Baley si sforzava disperatamente di essere razionale), che pareva autonomo, e Giskard doveva adattarsi. Tutto lì.
Baley mormorò: «E se veniamo spinti contro un albero?»
«È altamente improbabile. Giskard è troppo bravo. Inoltre siamo vicinissimi al terreno, e in questo modo i getti sono particolarmente potenti.»
«E se andiamo a sbattere contro una roccia?»
«Non andremo a sbattere contro nessuna roccia.»
«E perché no? Come diavolo fa Giskard a vedere dove andiamo?» Baley fissò il buio davanti a loro.
«È appena il tramonto,» disse Daneel, «e attraverso le nuvole filtra ancora un po’ di luce. È sufficiente per vederci. E quando si farà più buio, Giskard aumenterà il fascio di luce dei fari.»
«Quali fari?» chiese Baley.
«Tu non li vedi molto bene perché hanno una forte composizione all’infrarosso, alla quale sono sensibili gli occhi di Giskard. E l’infrarosso è più penetrante delle onde più corte: per questa ragione è più efficace nella pioggia, e nella nebbia.»
Baley, malgrado la tensione, riusciva ancora ad essere curioso. «E i tuoi occhi, Daneel?»
«I miei occhi sono stati costruiti per essere il più possibile simili a quelli umani. In momenti come questo, è forse uno svantaggio.»
La macchina tremò, e Baley trattenne ancora una volta il respiro. Disse con un sussurro: «Gli occhi degli Spaziali sono ancora adattati al sole della Terra, anche se gli occhi dei robot non lo sono più. È una buona cosa, se serve a ricordare loro che discendono dai Terrestri.»
Era sempre più buio. Ormai Baley non riusciva a vedere più nulla, e anche i lampi non illuminavano niente: accecavano soltanto. Chiuse gli occhi, ma servì solo a fargli avvertire con maggiore intensità il rombo minaccioso del tuono. Non era meglio fermarsi e aspettare che il peggio passasse?
Improvvisamente Giskard disse: «Il veicolo non si comporta in maniera adeguata.»
Baley si accorse che il movimento era diventato irregolare come se la macchina fosse dotata di ruote e si muovesse su un terreno accidentato. «È forse un danno provocato dal temporale, amico Giskard?» chiese Daneel.
«Non mi pare. E del resto è improbabile che un veicolo come questo possa subire danni a causa di un temporale.»
Baley seguì la conversazione con qualche difficoltà. «Un danno?» mormorò. «Che genere di danno?»
«Direi che il compressore ha una perdita, signore,» disse Giskard, «ma molto piccola. Non è il risultato di un normale foro.»
«E allora com’è successo?» chiese Baley.
«Forse si tratta di un danno provocato deliberatamente, mentre il veicolo era fuori dall’edificio dell’Amministrazione. Ho notato che siamo seguiti, anche se chi ci segue si mantiene sempre a una certa distanza.»
«E perché, Giskard?»
«È possibile, signore che aspettino che ci blocchiamo.» Il movimento délla macchina era sempre più irregolare.
«Riuscirai ad arrivare alla casa del dottor Fastolfe?»
«Non sembra probabile, signore.»
Baley cercò di rimettere in funzione la sua mente confusa. «In questo caso, ho completamente frainteso le ragioni per cui Amadiro ci ha trattenuto. Aveva bisogno di tempo per permettere ai suoi robot di sabotare la macchina, in modo da farci restare bloccati in mezzo al temporale, lontano da casa.»
«Ma perché avrebbe dovuto farlo?» chiese Daneel con tono esterrefatto. «Per prendere te? In un certo modo, eri già nelle sue mani.»
«Non vuole me. Nessuno vuole me,» disse Baley, con stanca rabbia. «Il pericolo è per te, Daneel.»
«Per me, Elijah?»
«Sì, per te, Daneel! Giskard, trova un posto per fermarti. Daneel deve scendere dalla macchina e trovarsi un rifugio.»
«Questo è impossibile, Elijah,» disse Daneel. «Non posso lasciarti mentre ti senti male. Specialmente se ti segue qualcuno che potrebbe farti male.»
«Daneel, quelli stanno seguendo te. Devi andartene. Quanto a me, rimarrò nella macchina. Non corro alcun pericolo.»
«Come posso crederlo?»
«Ti prego, credimi! Come faccio a spiegarti tutto, mentre il mondo mi gira attorno? Daneel,» la voce di Baley divenne disperatamente calma, «tu sei l’individuo più importante che ci sia qui, molto più importante di me e di Giskard messi assieme. Non è solo perché non voglio che ti venga fatto del male. L’umanità dipende da te. Non preoccuparti per me; io sono solo un uomo. Preoccupati di miliardi di uomini. Daneel, ti prego...»