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Solo!

Si era sentito troppo male, troppo fuori di sé, per ragionare correttamente? Anche ora, doveva fare uno sforzo per capire cos’avrebbe dovuto, e voluto, fare, se nella sua mente annebbiata ci fosse stato spazio per qualche altro pensiero, oltre a quello che Daneel doveva andarsene.

Per esempio, non aveva chiesto dove si trovavano, a cos’erano vicini, dove intendevano andare Daneel e Giskard. Non sapeva usare nessun comando della macchina. Non per farla muovere, naturalmente, ma per regolare il riscaldamento, per esempio.

Non sapeva neppure come opacizzare i finestrini, né come aprire le portiere.

L’unica cosa che poteva fare era attendere che Giskard tornasse. Senza dubbio era anche quello che Giskard si aspettava da lui. L’ordine era stato semplice: torna a prendermi.

Non c’era stata alcuna indicazione che Baley potesse cambiare posizione, e la mente semplice e razionale di Giskard avrebbe senza dubbio interpretato il “ritorna” come un ordine di tornare alla macchina.

Baley cercò di mettersi il cuore in pace. In un certo modo, era un sollievo dover semplicemente aspettare, non dover assumere alcuna decisione per un po’, perché non c’erano decisioni da prendere. Era un sollievo essere fermi, poter riposare, libero dai terribili lampi e dai tuoni minacciosi.

Forse, poteva anche dormire.

Si irrigidì. Poteva rischiare una cosa del genere?

Erano inseguiti. Erano osservati. Mentre la macchina era stata parcheggiata al di fuori dell’Amministrazione, era stata sabotata, e senza dubbio fra breve i sabotatori sarebbero arrivati.

Stava aspettando anche loro, non soltanto Giskard.

Aveva pensato con chiarezza, nelle condizioni in cui era? La macchina era stata sabotata fuori dall’Amministrazione. Chiunque avrebbe potuto farlo, ma probabilmente si trattava di qualcuno che sapeva che la macchina era lì... e chi poteva saperlo meglio di Amadiro?

Amadiro l’aveva trattenuto fino al temporale. Questo era ovvio. Baley doveva viaggiare nel temporale, e la macchina guastarsi nel temporale. Amadiro aveva studiato la Terra e i suoi abitanti; se ne era vantato. Doveva sapere bene quale effetto aveva in generale l’Esterno sui Terrestri, in specie un temporale.

Era certo che Baley sarebbe stato ridotto alla completa impotenza. Ma perché lo voleva? Per riportare Baley all’Istituto? Già c’era, ma in pieno possesso delle sue facoltà, insieme a due robot perfettamente in grado di difenderlo. Adesso la situazione sarebbe stata ben differente!

Se la macchina rimaneva in panne in mezzo a un temporale, Baley si sarebbe trovato emotivamente impedito, forse anche inconsapevole, e senza dubbio non avrebbe potuto resistere se avessero voluto riportarlo indietro. Né i due robot

avrebbero sollevato obiezioni. Essendo Baley chiaramente ammalato, l’unica reazione adeguata sarebbe stata quella di aiutare i robot di Amadiro a portarlo in salvo.

In effetti, i due robot avrebbero dovuto andare con Baley.

E se qualcuno avesse fatto delle domande ad Amadiro, lui avrebbe potuto rispondere che aveva temuto per Baley, per via del temporale, che aveva cercato di trattenerlo all’Istituto senza riuscirci; che aveva mandato i suoi robot per garantirne l’incolumità; e che quando la macchina si era guastata, i suoi robot avevano portato in salvo Baley. A meno che non si scoprisse che Amadiro stesso aveva ordinato di danneggiare la macchina (ma chi l’avrebbe creduto? E come provarlo?), l’unica possibile reazione del pubblico sarebbe stata di lodare Amadiro per i suoi sentimenti umanitari ancora più straordinari perché rivolti a un Terrestre, un essere subumano.

E cosa ne avrebbe fatto Amadiro di Baley, all’Istituto?

Nulla, tranne tenerlo fuori dalla circolazione per un certo periodo. Non era Baley la preda. Questo era il punto.

Anche Baley aveva due robot, ma in quell’occasione sarebbero stati impotenti.

Le loro istruzioni li obbligavano, nel modo più reciso, a occuparsi di Baley, e se lui stava male e veniva curato, potevano solo seguire gli ordini di Amadiro, se questi ordini erano diretti al benessere di Baley. E lui non sarebbe stato (forse) sufficientemente in sé per dare contrordini... certo non se veniva messo sotto sedativi.

Era tutto chiaro. Amadiro aveva avuto nelle sue mani Baley, Daneel e Giskard, ma in maniera inutilizzabile. Li aveva fatti uscire con il temporale per poterli riportare indietro... questa volta in maniera utilizzabile. Soprattutto Daneel! Era Daneel, la chiave.

Senza dubbio, prima o poi Fastolfe li avrebbe cercati, e li avrebbe anche trovati e riportati indietro, ma ormai sarebbe stato troppo tardi. Cosa voleva Amadiro da

Daneel? Baley, malgrado il mal di testa; era sicuro di saperlo ....... ma come poteva

provarlo?

Non riusciva più a pensare. Se avesse potuto opacizzare i finestrini, crearsi di nuovo un piccolo mondo chiuso e immobile, forse avrebbe potuto continuare a pensare.

Ma non sapeva come fare. Poteva solo rimanere seduto a guardare il temporale che si andava calmando al di là dei finestrini, osservare i lampi lontani, ascoltare la pioggia che batteva sul tetto e il mormorio del tuono. Chiuse gli occhi. Le palpebre formavano un muro, ma non osava dormire.

La portiera alla sua destra si aprì. Sentì il sibilo. Avvertì il vento freddo e umido, la temperatura abbassarsi, gli odori acuti di cose verdi e umide soffocarono quello più debole e amico di olio e di plastica che gli ricordava in qualche modo la Città, quella Città che non sapeva se avrebbe più rivisto. Aprì gli occhi, e ci fu quella strana sensazione di una faccia robotica che lo guardava... ondeggiando, eppure immobile. Baley si sentì girare la testa.

Il robot, un’ombra più scura contro l’ombra della notte, sembrava molto

grande. Dava in qualche maniera l’impressione di efficienza. Disse: «Scusate, signore, non eravate in compagnia di due robot?»

«Andati,» mormorò Baley, cercando di mostrare che stava male, e rendendosi conto che non c’era bisogno di fingere. Un lampo più brillante si fece strada fra le sue palpebre, ora mezze aperte.

«Andati! Dove, signore?» Poi, mentre aspettava, chiese: «State male, signore?»

Baley sentì un confuso senso di soddisfazione in quella parte di se stesso che era ancora capace di pensare. Se il robot fosse stato quello senza speciali istruzioni, avrebbe reagito agli evidenti segnali di malattia di Baley prima di chiedere qualsiasi altra cosa. Aver chiesto prima dei robot implicava istruzioni molto forti e decisive. Tutto quadrava.

Cercò di assumere un atteggiamento di normalità, e disse: «Sto bene. Non preoccuparti per me.»

Non sarebbe mai riuscito a convincere un normale robot, ma questo era stato evidentemente condizionato in modo così intenso a preoccuparsi di Daneel, che accettò la sua affermazione, e disse: «Dove sono andati i robot, signore?»

«Sono tornati all’Istituto.»

«All’Istituto? Perché, signore?»

«Sono stati chiamati dal Maestro Amadiro, che ha ordinato loro di tornare. Io li sto aspettando.»

«Perché non siete andato con loro, signore?»

«Il Maestro Amadiro non voleva che mi esponessi al temporale. Mi ha ordinato di aspettare qui. Io seguo gli ordini del Maestro Amadiro.»

Sperava che la ripetizione del prestigioso nome della parola “ordini”, insieme al titolo onorifico, avrebbe avuto il suo effetto sul robot, convincendolo a lasciarlo dov’era.

D’altra parte, se erano stati istruiti con grande forza a riportare Daneel, e se si convincevano che Daneel era già sulla via del ritorno all’Istituto, ci sarebbe stata una diminuzione del loro interesse per il robot. Avrebbero avuto nuovamente tempo di pensare a Baley. Avrebbe ro detto...

«Mi pare che non stiate bene, signore.»

Baley provò ancora un senso di soddisfazione. Disse: «Sto bene.»

Dietro al primo robot, ne intravide parecchi altri (non riuscì a contarli), con le facce che scintillavano a ogni lampo. Quando gli occhi di Baley si adattavano di nuovo al buio, riusciva a scorgere il debole bagliore degli occhi.

Voltò la testa. C’erano robot anche alla portiera sinistra, che però rimase chiusa.

Quanti ne aveva mandati Amadiro? Dovevano portarli indietro con la forza, se necessario?

«Il maestro Amadiro,» disse, «ha ordinato che i miei robot tornassero all’Istituto e che io aspettassi. Come vedete, loro stanno tornando e io sto aspettando. Se siete stati mandati in aiuto, se avete un veicolo, cercate i robot che stanno tornando e trasportateli. Questa macchina non funziona più.» Cercò di parlare senza esitazioni e con fermezza, come avrebbe fatto un uomo in buona

salute. Non ci riuscì del tutto.

«Sono tornati a piedi, signore?»

«Trovateli. I vostri ordini sono chiari.»

Ci fu un’evidente esitazione. Fece un gesto stanco con la destra.

I robot esitavano ancora. Baley non era uno Spaziale. Non conosceva le parole, il tono giusti, i gesti adeguati a comandare i robot. Un roboticista esperto poteva, con un solo cenno, comandare un robot come se fosse una marionetta. Specialmente se il robot era stato costruito da lui. Ma Baley era solo era un Terrestre.

Aggrottò la fronte (era facile da fare, nelle sue condizioni), mormorò un miserevole: «Andate!» e fece un gesto con la mano.

Forse questo servì ad aggiungere l’ultima, necessaria quantità di peso al suo ordine, o forse i robot avevano semplicemente raggiunto una conclusione, determinando, mediante voltaggio e controvoltaggio nei circuiti positronici, come accordare le proprie istruzioni con le Tre Leggi.

Una decisione era stata presa, e a questo punto non ci fu più alcuna esitazione. Tornarono al loro veicolo, dovunque fosse, con tale velocità che sembrarono semplicemente sparire.

La portiera che il robot aveva tenuto aperta si chiuse da sola. Baley aveva spostato il piede, in modo da impedirle di chiudersi del tutto. Si chiese vagamente se la portiera gliel’avrebbe tagliato, o schiacciato, ma non lo spostò. Senza dubbio nessun veicolo sarebbe stato progettato in maniera da rischiare un incidente simile.

Era di nuovo solo. Aveva costretto i robot ad abbandonare un essere umano che palesemente non stava bene, giocando sulla forza degli ordini impartiti loro da un esperto roboticista, che aveva, per scopi suoi, rafforzato la Seconda Legge... fino al punto che le bugie piuttosto evidenti di Baley erano riuscite a subordinare ad essi la Prima Legge.

“Come ci sono riuscito bene,” pensò Baley con una confusa soddisfazione... e si rese conto che la portiera era rimasta aperta, trattenuta dal suo piede, e che il piede medesimo non era stato minimamente danneggiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Robot Dell'Alba
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