10
Giskard entrò senza annunciarsi. Baley ormai non ci badava più. Il robot, nella sua qualità di guardia del corpo, doveva poter andare e venire a piacere. E Giskard era solo un robot, agli occhi di Baley, anche senza la “R.” davanti. Se Baley si stava grattando, o pulendo il naso con le dita, o era impegnato in qualche funzione biologica, gli pareva che Giskard sarebbe rimasto indifferente, incapace di giudicare e di reagire, se non per registrare freddamente il fatto in qualche banco memoria.
Giskard non era altro che un pezzo di mobilio, e Baley non provava alcun imbarazzo in sua presenza. Anche se, a ripensarci, il robot non si era mai intromesso in alcun momento delicato.
Giskard aveva con sé un piccolo cubo. «Signore, pensavo che desideraste ancora vedere Aurora dallo spazio.»
Baley ebbe un moto di sorpresa. Senza dubbio Daneel aveva notato l’irritazione di Baley, ne aveva dedotto la causa, e aveva cercato un mezzo per rimediarvi. Farlo fare a Giskard, come se fosse un parto del suo semplice cervello, era un tocco di delicatezza da parte di Daneel, che liberava Baley dalla necessità di esprimere la sua gratitudine. O almeno così credeva Daneel.
In effetti, Baley si era maggiormente irritato per il fatto che gli era stato impedito (inutilmente, a suo parere), di vedere Aurora, che per il suo imprigionamento in generale. Continuava a pensarci dal momento del Balzo, avvenuto due giorni prima. Perciò si voltò verso Daneel e disse: «Grazie, amico mio.»
«E stata un’idea di Giskard,» disse Daneel.
«Sì, certo,» disse Baley con un piccolo sorriso. «Ringrazio anche lui. Cos’è, Giskard?»
«È un astrosimulatore, signore. Funziona sostanzialmente come un ricevitore tridimensionale, ed è collegato alla sala panoramica. Se posso permettermi...»
«Sì?»
«Non troverete la vista particolarmente eccitante, signore. Non vorrei che vi sentiste deluso.»
«Cercherò di non aspettarmi troppo, Giskard. In ogni modo, non ti riterrò responsabile di un’eventuale delusione.»
«Grazie, signore. Devo tornare al mio posto, ma Daneel potrà aiutarvi con lo strumento, in caso di necessità.»
Uscì, e Baley si voltò verso Daneel, con aria di approvazione. «Giskard se l’è cavata molto bene, mi pare.»
«Per quanto sia un modello semplice, è ben progettato. È un robot di Fastolfe anche lui, Elijah. Questo astrosimulatore è autosufficiente, ed è già focalizzato su Aurora. Non devi fare altro che accenderlo. Vuoi provare?»
Baley alzò le spalle. «Fai tu.»
Daneel mise il cubo sul tavolo, vicino al visore. «Questo,» disse indicando un
piccolo rettangolo che teneva in mano, «è il controllo a distanza. Devi solo tenerlo in mano in questa maniera, e stringere per accendere il cubo. Una seconda pressione serve a spegnerlo.»
Daneel premette il bordo del rettangolo, e Baley lanciò un urlo strozzato.
Si era aspettato che il cubo si accendesse, mostrando al suo interno un’immagine olografica del cielo stellato. Invece si era ritrovato nello spazio... nello spazio, con le stelle scintillanti, immobili, in tutte le direzioni.
Durò solo un istante, poi tutto tornò come prima: la cabina, Daneel, il cubo.
«Ti prego di scusarmi, Elijah,» disse Daneel. «L’ho spento non appena mi sono reso conto della tua ansietà. Non avevo capito che non eri preparato.»
«Cos’è successo?»
«L’astrosimulatore opera direttamente sul centro visivo del cervello. Non vi è alcun modo di distinguere l’impressione dalla realtà tridimensionale. È un’invenzione piuttosto recente, e finora è stato usato solo per scene astronomiche, che presentano pochi dettagli.»
«L’hai visto anche tu, Daneel?»
«Sì, ma in maniera molto imperfetta, e senza il realismo che prova un essere umano. Io vedo i contorni incerti di una scena, sovrapposta al contenuto della stanza, ma mi è stato detto che gli esseri umani vedono solo la scena del cubo. Senza dubbio, quando il cervello dei robot come me sarà ancor più perfezionato e sofisticato...»
Baley aveva riacquistato il suo equilibrio. «Il fatto è che non ero consapevole di nient’altro. Non ero consapevole di me stesso. Non vedevo le mie mani, né sapevo dove fossero. Mi sentivo come uno spirito senza corpo... come se fossi morto, ma esistessi consciamente in una vita immateriale.»
«Adesso capisco perché hai trovato l’esperienza sconvolgente, fastidiosa.»
«Molto direi.»
«Mi dispiace, Elijah. Dirò a Giskard di portarlo via.»
«No. Adesso sono preparato. Dammi il controllo. Sarò capace di spegnerlo, anche se non sono consapevole dell’esistenza delle mie mani?»
«Te lo terrò io nella mano, così non ti cadrà. Il dottor Fastolfe mi ha detto che la pressione viene applicata automaticamente quando l’essere umano desidera che l’esperienza finisca. E un fenomeno basato sulla manipolazione nervosa, come la visione stessa. Almeno, con gli Auroriani funziona in questa maniera, e immagino...»
«Che i Terrestri siano fisiologicamente abbastanza simili agli Auroriani perché funzioni anche con loro. Bene, dammi il controllo.» Con un brivido interiore, Baley strinse il bordo del rettangolo, e si trovò ancora una volta nello spazio.
Questa volta se l’aspettava, e avendo scoperto che poteva respirare senza difficoltà, che non aveva minima mente la sensazione di trovarsi immerso nel vuoto, fece uno sforzo per accettare la scena come un’illusione visiva. Respirando piuttosto rumorosamente (forse per convincersi che stava davvero respirando), si guardò intorno.
Rendendosi conto d’improvviso di sentire il sibilo del proprio respiro nel naso,
disse: «Mi senti, Daneel?» Sentì la propria voce, un po’ distante, un po’ artificiale, ma la sentì. Poi udì quella di Daneel, abbastanza diversa dalla sua da essere distinguibile.
«Sì, ti sento. E tu dovresti poter sentire la mia, Elijah. Il senso della vista e quello cinestetico sono influenzati per fornire un maggiore realismo, ma quello uditivo rimane intatto. In gran parte almeno.
«Bene... Vedo solo stelle. Stelle qualunque, cioè. Aurora ha un sole. Dovremmo essere abbastanza vicini da vedere il sole di Aurora come una stella molto più brillante delle altre.»
«Troppo brillante, infatti. E stata schermata per non danneggiare la retina.»
«Dov’è allora il pianeta Aurora?»
«La vedi la costellazione di Orione?»
«Sì, certo. Ma allora vediamo le costellazioni come dal cielo della Terra, o dal planetario della Città?»
«Più o meno. Su scala stellare, non siamo molto distanti dal sistema solare, perciò il panorama celeste è simile. Il sole di Aurora è noto sulla Terra col nome di Tau Ceti, e dista solo 3,67 parsec da essa. Adesso, se tracci mentalmente una linea che va da Betelgeuse alla stella in mezzo alla cintura di Orione, e la continui per una lunghezza uguale, o poco più, vedrai una stella di media grandezza, che è in effetti il pianeta Aurora. Si potrà distinguere con sempre maggiore chiarezza nei prossimi giorni.
Baley osservò con attenzione. Era solo un puntino di luce. Non c’erano frecce intermittenti, nessuna scritta a distinguerlo dagli altri.
«Dov’è il Sole?» chiese. «La stella della Terra, voglio dire.»
«È nella costellazione della Vergine, vista da Aurora. È una stella di seconda grandezza. Sfortunatamente, l’astrosimulatore che abbiamo non è sufficientemente computerizzato, e non sarebbe facile indicartela. Comunque, apparirebbe semplicemente come una stella uguale alle altre.»
«Non importa,» disse Baley. «Adesso spengo questo aggeggio. Se avessi qualche difficoltà, dammi una mano.»
Non ne ebbe. Si spense non appena ebbe pensato di farlo, e dovette sbattere le palpebre nella luce improvvisa della cabina.
Fu solo allora, tornato ai suoi sensi normali, che gli venne in mente che per qualche minuto gli era sembrato di essere fuori, nello spazio, senza nessuna parete a proteggerlo; e tuttavia la sua agorafobia terrestre non era scattata. Si era sentito perfettamente a suo agio, una volta accettata la sua non-esistenza.
Questo mistero lo distrasse per un po’ dallo studio dei microfilm.
Di tanto in tanto tornava all’astrosimulatore, per dare un’occhiata allo spazio visto da un punto appena fuori dalla nave, senza che lui fosse (apparentemente) presente. Certe volte era solo per un momento, per rassicurare se stesso che il vuoto infinito non lo metteva più a disagio. Certe volte si perdeva nel panorama siderale, cominciava a contare le stelle, o a formare con esse figure geometriche, godendosi la possibilità di fare qualcosa che gli era impossibile sulla Terra, a causa dell’agorafobia, che l’avrebbe travolto in breve tempo.
Dopo un po’, fu evidente che Aurora diventava più luminosa. Ben presto fu facile distinguerla fra gli altri punti di luce, poi divenne perfino inevitabile. Dapprima fu solo una piccola scheggia di luce, poi si allargò rapidamente, fino a mostrare le fasi.
Era quasi esattamente un mezzo cerchio di luce, quando Baley si rese conto delle fasi.
Chiese spiegazioni a Daneel, che disse: «Ci stiamo avvicinando tangenzialmente al piano orbitale. Il polo sud di Aurora si trova più o meno al centro del disco, verso la parte luminosa. Nell’emisfero sud è primavera.»
«Secondo quello che ho letto,» disse Baley, «l’asse di Aurora è inclinato di sedici gradi.» Aveva letto la descrizione fisica del pianeta senza grande attenzione, nella fretta di arrivare alla parte storica, ma quello lo ricordava.
«Esatto, Elijah. Quando entreremo in orbita, le fasi cambieranno più in fretta. Aurora ha una rotazione più veloce rispetto alla Terra.»
«Sì, lo so. Ha un giorno di ventidue ore.»
«Ventidue virgola tre ore tradizionali. Il giorno è diviso in dieci ore auroriane, e ogni ora è divisa in cento minuti auroriani, divisi a loro volta in cento secondi auroriani. Perciò un secondo auroriano equivale più o meno a 0,8 secondi terrestri.»
«È questo che intendono i libri, quando parlano di ore e minuti metrici?»
«Sì. È stato difficile convincere gli Auroriani ad abbandonare le unità di tempo a cui erano abituati, e all’inizio si usavano i due sistemi insieme. Alla fine, naturalmente, quello metrico ha avuto il sopravvento. Attualmente, quando si parla di ore, minuti e secondi si intende sempre la loro versione metrico-decimale. Lo stesso sistema è stato adottato su tutti i Mondi Spaziali, anche se naturalmente sugli altri non si adatta alla rotazione planetaria, e ognuno possiede un proprio sistema locale.»
«Come la Terra.»
«Sì, ma la Terra usa solo le unità standard originali. Questo ostacola i Mondi Spaziali nel commercio, ma essi permettono che la Terra segua il suo costume.»
«Non per amicizia, immagino. Scommetto che è un modo per sottolineare la differenza della Terra. Ma il sistema decimale come si adatta all’anno? Dopo tutto, Aurora deve avere un periodo proprio di rivoluzione attorno al sole, che controlla il ciclo delle stagioni. Questo come viene misurato?»
«Aurora,» disse Daneel, «ruota attorno al suo sole in 373,5 giorni auroriani, ossia circa 0,95 anni terrestri. Questo non viene considerato un problema cronologico vitale. 30 giorni vengono considerati un mese, e dieci mesi formano un anno metrico. L’anno metrico equivale a 0,8 anni stagionali, ossia circa tre quarti di un anno terrestre. Il rapporto, su ciascun mondo, è naturalmente diverso. Dieci giorni vengono chiamati di solito decimese. Tutti i Mondi Spaziali usano questo sistema.»
«Ma ci sarà un modo per seguire il ciclo delle stagioni?»
«Ogni mondo ha anche il suo anno stagionale. E possibile, mediante computer, assegnare a qualsiasi giorno, passato o presente, la sua posizione nell’anno
stagionale, se per qualsiasi ragione questa informazione fosse necessaria. Questo vale per ogni altro mondo. E naturalmente, qualunque robot può fare la stessa cosa, e guidare l’attività umana, quando l’anno stagionale, o il tempo locale, sono necessari. Il vantaggio delle unità metriche è che forniscono all’umanità una cronologia unificata, che richiede ,soltanto lo spostamento della virgola decimale per i calcoli.»
A Baley pareva strano che i libri che aveva letto non facessero parola di quel problema. Ma ripensando alla storia terrestre, si ricordò che un tempo l’anno lunare era stato alla base del calendario, fino a quando, per facilitare la cronologia, non si era deciso di ignorarlo, senza che se ne sentisse poi la mancanza.
Tuttavia, se l’abitante di un altro pianeta avesse letto i libri di storia terrestre, molto probabilmente non avrebbe trovato alcun cenno al mese lunare o al cambiamento del calendario. Gli sarebbero state fornite le date senza spiegazioni.
E cos’altro sarebbe stato fornito senza spiegazioni?
Fino a che punto poteva fidarsi delle conoscenze che aveva acquisito? Doveva porre sempre domande, mai prendere nulla per scontato.
Ci sarebbero state tante occasioni di lasciarsi sfuggire ciò che era ovvio, tante possibilità di non essere capiti, tanti modi di prendere la strada sbagliata.