22
Fastolfe si incamminò adagio, strappando la foglia di un cespuglio nel passare. La piegò in due e la mordicchiò.
Baley lo guardò con curiosità, chiedendosi come poteva uno Spaziale infilarsi in bocca qualcosa non trattato, non cotto, perfino non lavato, nonostante la fobia delle infezioni. Ricordò che Aurora era priva (del tutto priva?) di microorganismi patologici, ma trovò lo stesso quell’azione repellente.
La repulsione non doveva avere necessariamente basi razionali, ricordò a se stesso, sulla difensiva... e d’improvviso si ritrovò sul punto di scusare l’atteggiamento degli Spaziali verso i Terrestri.
Ma questo era diverso! Si trattava di esseri umani!
Giskard camminava davanti a loro, tenendosi sulla destra; Daneel rimaneva indietro, sulla sinistra. Il sole arancione di Aurora (Baley ormai si accorgeva appena del colore) gli intiepidiva la schiena, senza il calore febbrile del sole terrestre d’estate (ma qual era la stagione attuale in quella regione di Aurora?).
L’erba era un po’ più rigida ed elastica di quella terrestre, e il terreno era duro, come se da tempo non piovesse.
Si stavano avvicinando alla casa dall’altra parte del prato, presumibilmente quella dell’ex proprietario di Jander.
Baley sentì il fruscio di qualche animale fra l’erba, il cinguettio degli uccelli fra i rami, il sommesso, indefinibile chiacchiericcio degli insetti. Tutti quegli animali, si disse, avevano avuto antenati che un tempo erano vissuti sulla Terra. Non avevano alcun modo di sapere che quel pezzo di terra su cui abitavano non era tutto ciò che esisteva, per l’eternità a ritroso nel tempo. Anche gli alberi, e l’erba erano nati da altri alberi e altra erba che un tempo erano cresciuti sulla Terra.
Soltanto gli esseri umani di quel pianeta sapevano di non essere autoctoni, di essere discendenti da Terrestri... Ma davvero gli Spaziali lo sapevano, o semplicemente non ci pensavano? Sarebbe giunto forse un tempo in cui loro stessi non l’avrebbero più saputo, in cui non avrebbero più ricordato da che mondo erano giunti, o perfino che c’era un mondo comune d’origine?
«Dottor Fastolfe,» disse Baley all’improvviso, in parte per rompere quella catena di pensieri che trovava sempre più opprimenti, «non mi avete ancora detto quale sarebbe il vostro movente per uccidere Jander.»
«Giusto! Non ve l’ho ancora detto. Ditemi, signor Baley, per quale motivo credete che abbia lavorato alle basi teoriche dei cervelli positronici dei robot umanoidi?»
«Non saprei.»
«Pensateci. L’obiettivo è di progettare un cervello robotico il più vicino possibile a quello umano, in grado di arrivare, in una certa misura, alla poesia... Si interruppe, e il lieve sorriso che aveva sulle labbra si ingrandì. Sapete, i miei colleghi rimangono sempre perplessi quando dico loro che se una conclusione non è poeticamente armoniosa, non può essere scientificamente vera. Dicono che non
riescono a capire cosa intendo.»
«Temo di non capirlo neppure io,» disse Baley.
«Ma io so cosa intendo. Non so spiegarlo, ma intuisco la spiegazione, senza essere capace di metterla in parole, il che può spiegare perché ho ottenuto dei risultati che i miei colleghi non hanno ottenuto. Ma sto diventando pomposo, e questo è segno che dovrei diventare prosaico. Imitare il cervello umano, quando non si conosce quasi nulla sul funzionamento del cervello umano, richiede un salto dell’intuizione... una cosa che mi sembra vicina alla poesia. Il medesimo salto intuitivo che mi permette di arrivare al cervello positronico umanoide dovrebbe anche aprirmi la strada a comprendere meglio il cervello umano. Questa era la mia convinzione: che attraverso il cervello umanoide potessi fare almeno un piccolo passo in direzione della psicostoria di cui vi ho parlato.»
«Capisco.»
«Se fossi riuscito ad elaborare la struttura teorica di un cervello positronico umanoide, avrei avuto anche bisogno di un corpo umanoide per alloggiarvi il cervello. Un cervello non esiste da solo. Esso interagisce col corpo, per cui un cervello umanoide in un corpo non umanoide diventerebbe in una certa misura esso stesso non-umano.»
«Ne siete certo?»
«Direi di sì. Non dovete far altro che paragonare Daneel a Giskard.»
«Allora Daneel è stato costruito come un modello sperimentale per sviluppare la conoscenza del cervello umano?»
«Esatto. Ho lavorato vent’anni insieme a Sarton con questo scopo. Ci furono numerosi fallimenti, che dovettero essere eliminati. Daneel è stato il primo vero successo, e naturalmente l’ho tenuto per ulteriori studi, e per...» fece un sorriso, come se stesse ammettendo qualcosa di sciocco, «affetto. Daneel è capace di comprendere il concetto di dovere, cosa che Giskard, nonostante tutte le sue virtù, trova difficoltà a fare. Ve ne siete accorto.»
«E la missione di Daneel sulla Terra, tre anni fa, è stata la sua prima prova?»
«La prima importante. Quando Sarton venne ucciso, avevamo bisogno di un robot, che fosse immune dalle malattie infettive della Terra ma che sembrasse abbastanza umano da superare i pregiudizi antirobotici dei Terrestri.»
«È una coincidenza sorprendente che Daneel fosse disponibile proprio al momento giusto.»
«Oh? Voi credete alle coincidenze? Io ho l’impressione che in qualsiasi momento si fosse verificato uno sviluppo rivoluzionario come la creazione di un robot umanoide, si sarebbe presentato qualche compito che avrebbe richiesto il suo uso. Compiti simili si sono probabilmente presentati regolarmente nel corso di tutti gli anni in cui Daneel non esisteva... e dal momento che non esisteva, sono state trovate altre soluzioni con altri mezzi.»
«Ma la vostra fatica ha avuto successo? Ora comprendete il cervello umano meglio di prima?»
Fastolfe aveva rallentato sempre più il passo, e Baley si era adeguato. Adesso si erano fermati, a metà strada fra le due case. Era il punto più difficile per Baley, dal
momento che si trovava egualmente lontano da ogni possibile protezione, ma combatté il suo crescente disagio, per non provocare l’intervento di Giskard: non voleva farsi prendere in braccio e portare in casa.
Fastolfe non diede segno di accorgersi della difficoltà di Baley. Disse: «Non ci sono dubbi che si siano raggiunti vari progressi nella mentologia. Rimangono problemi enormi, e forse rimarranno sempre, ma ci sono stati molti progressi. Tuttavia...»
«Tuttavia?»
«Tuttavia Aurora non si accontenta di uno studio puramente teorico del cervello umano. Sono state fatte alcune proposte per l’uso dei robot umanoidi che io non approvo.»
«Come il loro uso sulla Terra?»
«No, quello era solo un breve esperimento, che approvavo, e che mi affascinava. Era in grado Daneel di ingannare i Terrestri? Si scoprì di sì, anche se naturalmente gli occhi dei Terrestri non sono molto acuti in fatto di robot. Daneel non è in grado di ingannare un Auroriano, anche se oserei dire che i futuri robot umanoidi potrebbero essere perfezionati fino al punto di riuscirci. Ma sono stati proposti altri compiti.»
«Per esempio?»
Fastolfe guardò pensierosamente l’orizzonte. «Vi ho detto che questo mondo è addomesticato. Quando ho iniziato la mia campagna per un nuovo periodo ti esplorazione e colonizzazione, non pensavo agli Auroriani, o ad altri Spaziali, come artefici di questa espansione; la mia intenzione era di incoraggiare i Terrestri a prenderne la guida. Con un mondo orribile (scusate la parola) e una vita breve, hanno così poco da perdere che, pensavo, avrebbero senza dubbio colto l’occasione, specialmente se li avessimo aiutati tecnologicamente. Vi ho parlato di questo argomento quando vi ho incontrato sulla Terra tre anni fa. Ricordate?»
Con aria impassibile, Baley disse: «Ricordo molto bene. Anzi, quella conversazione ha dato l’avvio in me a una catena di pensieri, che ha avuto come risultato la creazione, sulla Terra, di un piccolo movimento che punta in quella direzione.»
«Davvero? Non sarà stato facile, immagino, con la vostra claustrofilia, e l’avversione ad uscire dalle vostre città chiuse.»
«Stiamo combattendo queste fobie, dottor Fastolfe. La nostra organizzazione intende preparare i futuri colonizzatori. Mio figlio è uno dei capi del movimento, e spero che verrà il giorno in cui lascerà la Terra alla testa di una spedizione destinata a colonizzare un nuovo mondo. Se riceveremo davvero l’aiuto tecnologico di cui mi parlate...» Baley non terminò la frase.
«Se vi forniamo le navi, volete dire?»
«E l’altro equipaggiamento. Ci sono molte difficoltà.»
«Molti Auroriani non desiderano che i Terrestri lascino il loro pianeta e si stabiliscano su nuovi mondi. Temono il rapido diffondersi della cultura terrestre, le sue città alveare, il suo caos.» Si mosse a disagio, e disse: «Ma perché ci siamo fermati?» Si avviò lentamente, e disse: «Ho fatto osservare che non avverrà così,
che i coloni non saranno Terrestri nel senso classico del termine. Non sarebbero rinchiusi in Città. Arrivando in un nuovo mondo, sarebbero come i Padri Auroriani quando sono giunti qui. Svilupperebbero un equilibrio ecologico accettabile, e sarebbero più vicini agli Auroriani che ai Terrestri, nel loro carattere.»
«Ma allora non svilupperebbero le stesse debolezze che ritrovate nella cultura Spaziale, dottor Fastolfe?»
«Forse no. Imparerebbero dai nostri errori... Ma questa è una discussione accademica, Perché è successo qualcosa che rende il problema secondario.»
«E cioè?»
«I robot umanoidi. Vedete, ci sono alcuni che vedono nei robot umanoidi i perfetti colonizzatori. Sono lo ro che possono costruire i nuovi mondi.»
«Avete sempre avuto i robot,» disse Baley. «Possibile che questa idea non sia mai stata avanzata prima?»
«Sì, certo, ma era sempre apparsa inattuabile. I normali robot non umanoidi, senza la supervisione umana, costruirebbero un mondo adatto alla loro natura nonumana, e quindi inadatto alle menti e ai corpi più delicati e flessibili degli esseri umani.»
«Ma senza dubbio il mondo da loro costruito potrebbe servire come prima e ragionevole approssimazione.»
«Senza dubbio. Ma è un segno della decadenza di Aurora il fatto che fra di noi sia diffusissima la convinzione che una ragionevole approssimazione è irragionevolmente insufficiente. Al contrario, un gruppo di robot umanoidi, il più possibile somiglianti nella mente e nel corpo agli esseri umani, riuscirebbe a costruire un mondo che, nell’adattarsi a loro, si adatterebbe inevitabilmente anche agli Auroriani. Mi seguite?»
«Perfettamente.»
«Lo costruirebbe talmente bene, che quando gli Auroriani fossero finalmente disposti ad andarci, non farebbero che passare da un’Aurora a un’altra Aurora. Sarebbe come se non avessero mai abbandonato la loro antica casa: ne avrebbero semplicemente una nuova in cui continuare nella loro decadenza. Capite?»
«Capisco la vostra preoccupazione, ma immagino che altrettanto non facciano gli Auroriani.»
«Forse. Credo di poter convincere molti del mio punto di vista, se l’opposizione non mi distrugge politicamente con il caso Jander. Capite qual è il movente che mi viene attribuito? Mi si accusa di tentare la distruzione dei robot umaniformi, piuttosto che permettere che vengano usati per colonizzare altri pianeti. Così dicono i miei nemici.»
Fu Baley questa volta a fermarsi. Guardò pensierosamente Fastolfe e disse: «Comprenderete, dottor Fastolfe, che è nell’interesse della Terra che il vostro punto di vista abbia il sopravvento.»
«È anche nel vostro interesse, signor Baley.»
«Anche nel mio. Ma mettendomi per il momento da parte, rimane una questione vitale, per il mondo, che ai Terrestri venga dato il permesso, l’incoraggiamento e l’aiuto per esplorare la Galassia; che noi possiamo conservare
i modi di vita che preferiamo; che non veniamo condannati in eterno alla prigionia sulla Terra, dal momento che lì periremmo.»
«Alcuni di voi,» disse Fastolfe, «penso che vorranno rimanere prigionieri.»
«Naturalmente. Forse quasi tutti. Ma almeno alcuni, il maggior numero possibile, se ne andranno, avendone la possibilità. Perciò è mio dovere, non solo come rappresentante della legge di una grossa parte dell’umanità, ma semplicemente come Terrestre, aiutarvi a uscirne pulito, che siate innocente o no. Ma tuttavia, posso impegnarmi con tutto il mio cuore in questa impresa solo se so che in realtà le accuse contro di voi sono ingiustificate.»
«Capisco.»
«Dunque, alla luce di quanto mi avete detto sul movente che vi viene attribuito, assicuratemi ancora una volta che non siete colpevole.»
Fastolfe disse: «Signor Baley, capisco perfettamente che in questa faccenda voi non avete scelta. Mi rendo conto che potrei dirvi, con completa impunità, di essere colpevole e che voi sareste obbligato, data la vostra necessità e quella del vostro mondo, ad aiutarmi a mascherare il crimine. In effetti, se fossi colpevole, sarei indotto a dirvelo, in maniera che voi possiate prendere in considerazione la cosa, e lavorare più efficacemente per salvarmi... e così salvare voi stesso. Ma non posso farlo, perché sono innocente. Per quanto numerose siano le apparenze contro di me, non ho distrutto Jander. Una simile possibilità non mi è mai passata per la testa.»
«Mai?»
Fastolfe ebbe un sorriso triste. «Be’, mi è capitato di pensare una volta o due che Aurora si sarebbe trovata meglio se non avessi sviluppato la teoria del cervello umanoide... o se questi cervelli si rivelassero instabili e facilmente soggetti al congelamento mentale. Ma si è trattato di pensieri fuggevoli. Neppure per una frazione di secondo ho considerato la possibilità di giungere alla distruzione di Jander.»
«Allora dobbiamo smontare il movente che i vostri nemici vi attribuiscono.»
«Come?»
«Potremmo dimostrare che non serve ad ottenere lo scopo. Che vantaggio ricavate dalla distruzione di Jander? Possono esserne costruiti altri robot umanoidi. Migliaia. Milioni.»
«Temo che non sia così, signor Baley. Non ne può essere costruito nessuno. Io solo so come proteggerli, e fino a quando la colonizzazione sarà fra i loro possibili utilizzi, mi rifiuto di costruirne altri. Jander non esiste più e rimane solo Daneel.»
«Il segreto può essere scoperto da altri.»
Fastolfe alzò il mento. «Mi piacerebbe vedere qualcuno capace di farlo. I miei nemici hanno fondato un Istituto di Robotica con questo scopo preciso, ma non ci riusciranno. Di sicuro, non ci sono riusciti finora, e io so che non ci riusciranno.»
Baley aggrottò la fronte. «Se siete il solo a conoscere il segreto dei robot umanoidi, e se i vostri nemici sono decisi a tutto per ottenerlo, non cercheranno in tutti i modi di estorcervelo?»
«Naturalmente. Minacciando la mia carriera politica, forse facendomi
infliggere qualche pena che mi proibisca di lavorare nel settore della robotica, ponendo fine in tal modo anche alla mia carriera professionale, essi sperano di indurmi a condividere il mio segreto con loro. Potrebbero perfino spingere il Congresso a ordinarmi di rendere pubblico il segreto, sotto la minaccia di confiscarmi la proprietà, o di imprigionarmi... Tuttavia, sono deciso a sopportare qualunque cosa, qualunque, ripeto, pur di non cedere. Ma preferirei di no, voi capite.»
«È nota la vostra determinazione a resistere?»
«Spero di sì. L’ho detto chiaramente. Immagino che loro credano che stia bluffando... ma non è così.»
«Ma se essi vi credessero, potrebbero prendere misure più drastiche.»
«Cosa volete dire?»
«Rubare le vostre carte. Rapirvi. Torturarvi.» Fastolfe scoppiò a ridere, e Baley arrossì. Disse: «Non voglio sembrare un personaggio da trivì, ma avete preso in considerazione queste possibilità?»
«Signor Baley,» disse Fastolfe, «per prima cosa i miei robot possono proteggermi. Sarebbe necessaria una guerra in piena regola per catturarmi o rubare le mie carte. Secondo, anche se per caso ci riuscissero, nessuno degli scienziati che mi sono avversari potrebbe accettare di ammettere che l’unico modo di ottenere il segreto del cervello umanoide sia stato quello di carpirmelo o estorcermelo. La sua reputazione professionale ne verrebbe completamente distrutta. Terzo, cose simili su Aurora sono impensabili. Il più piccolo accenno a un tentativo sleale contro di me avrebbe il risultato di far schierare il Congresso e l’opinione pubblica in mio favore.»
«Davvero?» mormorò Baley maledicendo in cuor suo il fatto di dover lavorare in un ambiente su cui sapeva così poco.
«Sì. Fidatevi della mia parola. Vorrei che provassero a fare qualcosa del genere. Vorrei che fossero tanto stupidi da provarci. Anzi, signor Baley, vorrei potervi convincere ad andare da loro; a guadagnarvi la loro fiducia, a spingerli ad attaccare la mia residenza, o ad assalirmi su una strada deserta... o altre cose che immagino siano comuni sulla Terra.»
Baley disse, con tono brusco: «Temo che non sia il mio stile.»
«Lo temo anch’io, e perciò non ho alcuna intenzione di cercare di convincervi. Ma credetemi, è un vero peccato, perché se non riusciamo a convincerli ad usare il metodo suicida, della forza, continueranno a fare qualcosa di molto più vantaggioso per loro. Mi distruggeranno mediante le menzogne.»
«Quali menzogne?»
«Non mi attribuiscono solo la distruzione di un robot. Questo sarebbe già abbastanza grave, e più che sufficiente. Mormorano anche, e per il momento è solo un’insinuazione, che quella morte è solo un esperimento, e che sto lavorando a un sistema per distruggere i cervelli umanoidi in maniera rapida ed efficiente, in modo che quando i miei nemici avranno creato i loro robot, io, insieme ai membri del mio partito, saremo in grado di distruggerli tutti, impedendo così ad Aurora di colonizzare nuovi mondi e lasciando la Galassia ai miei alleati Terrestri.»
«Senz’altro non c’è niente di vero in tutto questo.»
«Certamente no. Vi ho detto che sono bugie, e per di più ridicole. Un metodo simile di distruzione non è possibile neppure teoricamente, e quelli dell’Istituto di robotica non sono neppure vicini alla creazione dei loro robot umanoidi. Non potrei mettermi a distruggere robot neppure se lo volessi. Non posso.»
«Ma allora tutte queste insinuazioni non cadono da sole?»
«Sfortunatamente è difficile che ciò possa avvenire in tempo utile. Anche se sono sciocchezze, dureranno probabilmente abbastanza a lungo da spostare l’opinione pubblica contro di me fino al punto da mettermi in minoranza al Congresso. Alla fine, ammetteranno tutti che erano sciocchezze, ma ormai sarà troppo tardi. E vi prego di notare che in questa faccenda la Terra viene usata come capro espiatorio. L’accusa di lavorare a favore della Terra è grave, e molti preferiranno credere a un mucchio di sciocchezze, invece che al loro buon senso, per antipatia verso la Terra.»
«Volete dire che si sta montando una campagna contro la Terra?»
«Proprio così,» disse Fastolfe. «La situazione si sta facendo ogni giorno più grave per me, e per la Terra, e ci resta poco tempo.»
«Ma non c’è un semplice metodo per controbattere queste accuse?» (Baley, disperato, decise che era il momento di tornare al tema di Daneel.) «Se davvero volevate sperimentare un metodo per distruggere i robot umanoidi, perché scegliere quello che si trova in un altro posto, quello più difficile da raggiungere? Avevate Daneel a casa vostra. Era a portata di mano. Se ci fosse della verità in questa diceria, non avreste compiuto l’esperimento su di lui?»
«No, no,» disse Fastolfe. «Non convincerei nessuno in questo modo. Daneel è stato il mio primo successo, il mio trionfo. Non l’avrei distrutto in nessuna circostanza. È naturale che avrei scelto Jander. Chiunque lo capirebbe, e sarei uno sciocco se cercassi di convincere la gente che per me era meglio sacrificare Daneel.»
Avevano ripreso a camminare, ed erano quasi giunti a destinazione. Baley era silenzioso, le labbra strette.
«Come vi sentite signor Baley?» chiese Fastolfe.
A bassa voce, Baley disse: «Se vi riferite al fatto di essere Fuori, non me ne accorgo neppure. Se vi riferite al nostro dilemma, credo di non essere mai stato tanto vicino a gettare la spugna.» Poi aggiunse con foga: «Perché avete chiamato me, dottor Fastolfe? Perché affidarmi questo lavoro?
«In realtà,» disse Fastolfe, «non è stata un’idea mia, all’inizio, e posso solo addurre come scusa la mia disperazione.»
«E di chi è stata allora l’idea?»
«Me l’ha suggerita la persona che possiede questa residenza... e io non ne avevo una migliore.»
«Il proprietario di questa casa? E perché costui...»
«Costei.»
«Va bene, perché costei avrebbe dovuto suggerirvi una cosa del genere?»
«Oh! Non vi ho ancora detto che vi conosce, signor Baley? Ma eccola che ci
aspetta»
Baley alzò gli occhi, sconcertato. «Giosafatte!» mormorò.