Novantasei

Cisiec era una piccola cittadina dormiente.

Era un luogo ordinario, senza fabbriche né attrazioni, casa di circa tremila anime. Si trovava a sud della città di Żywiec, la cui popolazione era di dieci volte più numerosa. Ma Cisiec era appena diventata il centro di una delle cacce all’uomo più estese nella storia della regione.

Von Strassen e i suoi uomini entrarono nella strada principale della città e si diressero immediatamente alla stazione di polizia locale, dove l’ufficiale delle SS stava direzionando le attività e monitorando il progresso delle unità d’aria e di terra così come delle forze che pattugliavano il fiume Soła e le sue rive. Von Strassen venne aggiornato sulle attività compiute fino a quel momento mentre il suo vice interrogava un’altra volta il padre e il ragazzo che avevano riferito l’avvistamento di qualche ora prima.

«I suoi uomini stanno perquisendo casa dopo casa, fienile dopo fienile, negozio dopo negozio, in cerca di ogni possibile nascondiglio?», insistette Von Strassen.

«Lo stanno facendo proprio adesso, colonnello. Ci è voluto un po’. Ma le strade ora sono pulite».

«Molto bene. Qualche traccia?»

«Abbiamo ricevuto una marea di telefonate da cittadini convinti di aver visto qualcosa. La maggior parte delle quali, come capirà, inutili. Ma trattiamo ogni segnalazione con la massima serietà e continuiamo a trasmettere aggiornamenti radio ogni quindici minuti chiedendo ai cittadini di aiutarci, come da vostre istruzioni».

«Mostratemi la mappa delle aree che avete coperto finora», ordinò Von Strassen.

«Certo, colonnello. Le mappe sono nella stanza accanto».

 

«Che città è questa?», chiese Jacob mentre si incamminavano per raggiungere Luc.

«A dire il vero non è una città», spiegò Jedrick. «È troppo piccola per esserlo».

«Be’, qual è la città più vicina?»

«C’è Żywiec più a nord, a una ventina di chilometri. Tra qui e là c’è la città di Cisiec. Verso sud ci sono Milówka e poi Rajcza, Ujsoły e Glinka. Poi c’è la frontiera con la Slovacchia».

L’uomo fece una pausa, poi disse: «Deduco che siate diretti lì».

Jacob non rispose e il contadino interpretò il silenzio come un assenso. «Sua moglie ha detto che hanno imposto il coprifuoco. Stanno cercando noi?»

«Sì», rispose Jedrick. «Hanno anche trasmesso una descrizione dettagliata delle vostre caratteristiche fisiche e hanno menzionato i tatuaggi che avete sul braccio, che in effetti vedo adesso».

«Ne fanno uno a ogni prigioniero di Auschwitz», spiegò Jacob mentre continuavano il cammino.

Jedrick non chiese altro a riguardo.

Jacob ne approfittò. «Posso farle una domanda, signore?»

«Certo».

«Non ha paura di accoglierci in casa?»

«Be’, sì, un po’».

«Perché lo fa?»

«Perché la Bibbia ci insegna ad amare gli ebrei», rispose Jedrick senza esitazioni. «Dio ha detto ad Abramo che avrebbe benedetto chi lo benediceva e maledetto chi lo malediceva. Quando ci ritroveremo al cospetto del nostro Salvatore, voglio essere giudicato come un fedele, ecco tutto. Per questo, e per il fatto che i nazisti hanno ucciso entrambi i nostri ragazzi poco dopo l’inizio della guerra. Il minimo che possiamo fare è aiutarvi a sopravvivere all’inferno in cui tutti noi ci troviamo».

Jacob non sapeva cosa dire e si limitò a un grazie.

Insieme, lui e Jedrick raggiunsero Luc, che si trovava ancora sotto gli alberi. Era immobile. Sembrava che non stesse nemmeno respirando.

Preso dal panico, Jacob gli controllò il polso e non percepì nulla. Iniziò a scuoterlo cercando di svegliarlo, ma lui non reagì.

Com’era possibile, proprio adesso che avevano trovato qualcuno disposto ad aiutarli, che poteva dargli da mangiare e tenerli al sicuro?

Gli occhi di Jacob si riempirono di lacrime e dovette sforzarsi di mantenere il controllo. Non era il momento di perdere la testa. Non lì. Non all’aperto. Più stavano fuori, più metteva in pericolo la vita di quell’uomo, di sua moglie, la sua stessa vita, nonché l’intera missione. Eppure come faceva a non piangere? Il suo amico era morto e lui non gli aveva nemmeno detto addio.

«Giù!», esclamò Jedrick all’improvviso.

Lo spinse a terra dietro un cespuglio e si mise a pancia in giù proprio quando due aerei della Luftwaffe gli passarono rombando sopra la testa. Stavolta Jacob non aveva dubbi: stavano cercando loro.

«Pensi che ci abbiano visti?», gli chiese quando gli aerei scomparvero alla vista.

«Non lo so», disse Jedrick. «Forse no. Però faremo meglio a darci una mossa. Ti aiuto a trasportare il tuo amico. Per ora possiamo nascondere il suo corpo, poi appena possibile ti aiuterò a seppellirlo come si deve».

I due uomini faticarono per trascinare il corpo di Luc verso la casa. Percorsero quasi tutto il sentiero allo scoperto, esposti al passaggio di eventuali aeroplani. Alla fine, madidi di sudore per via delle temperature del mattino, in aumento, raggiunsero la veranda della casa.

«Hai trovato il tuo amico? Sta bene?», chiese Brygita quando spuntò dietro la porta con la zanzariera.

«È morto», rispose Jacob, intorpidito.

La donna si coprì la bocca con una mano.

«Dove possiamo metterlo?», chiese Jacob. «Ora non c’è tempo per seppellirlo».

«No, certo che no», disse lei. «Alla radio dicono che la Gestapo e l’esercito stanno setacciando casa per casa. L’ultimo bollettino riferiva che hanno appena terminato con Cisiec. Quindi saranno qui fra pochi minuti».

Jedrick si fermò a pensare. «Avrei suggerito la soffitta del granaio, ma il temporale è passato e con il sole diventerà un inferno entro mezzogiorno. Il corpo inizierebbe a puzzare per la decomposizione».

«Avete una cantina?», chiese Jacob.

«Sì», rispose Jedrick.

«È fresca?»

«Di sicuro più fresca del fienile».

«Cosa c’è dentro?»

«È lì che teniamo la legna per il camino, così rimane secca. C’è il mio laboratorio e l’armadietto delle pistole».

«C’è anche un posto per nascondere un corpo?»

«Sì», rispose l’uomo. «E anche per nascondere te».

«Allora muoviamoci».

Trasportarono in fretta Luc su per i gradini del portico e dentro la cucina e Brygita prese il fucile e lo zaino di Jacob. Ma appena lo appoggiarono a terra per riprendere fiato, qualcuno bussò alla porta.

Brygita sussultò. «Sono loro», mormorò con il terrore negli occhi. «La Gestapo».

Jedrick non batté ciglio. «Risponderò io alla porta e li terrò occupati», disse. «Figliolo, porta il tuo amico di sotto. Mia moglie ti mostrerà dove metterlo e dove nasconderti. Poi, Brygita, torna su subito, portaci dei biscotti, del latte e sii ospitale. Capito?».

Annuirono entrambi mentre i colpi si facevano più forti.

Jacob si caricò Luc in spalla come avrebbe fatto un pompiere e si affrettò a scendere i gradini verso la soffitta. Brygita era proprio dietro di lui. Quando arrivarono in fondo, vide un’enorme pila di legna ammassata al muro. La donna gli fece fare il giro e gli mostrò un cunicolo che sembrava abbastanza largo per rannicchiarcisi dentro.

«Devo tornare di sopra. Nasconditi qui e rimani in silenzio. E sappi una cosa: preghiamo per te. Che Dio ti benedica».

Poi gli diede lo zaino, corse su per le scale, spense le luci e chiuse la porta.

Jacob era senza parole.

E adesso era da solo al buio, con il corpo di Luc e nessun modo per difendersi quando i nazisti avrebbero sceso quelle scale.

 

Fuga da Auschwitz
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