Sessantasette
Jacob credeva che quello sarebbe stato il momento saliente dell’incontro.
Sbagliava. Steinberger e Frenkel non stavano solo accogliendo Luc nella squadra. Avevano anche intenzione di spiegargli con esattezza i dettagli del loro piano di fuga.
«Abbiamo trovato il passaggio», disse Otto. «È ora di muoversi».
A Jacob martellava il cuore nel petto. Lui e Luc avevano appena ascoltato le intenzioni dei loro leader.
«Avete presente l’enorme sito di costruzioni che chiamano Birkenau-III?», chiese Abe.
«Intendi il campo più lontano?», domandò Jacob.
«Sì».
«Quello dove stanno piazzando tutto il legname per le nuove baracche?», intervenne Luc.
«Esatto», rispose Abe. «Li abbiamo osservati qualche giorno fa e ci è venuta un’idea. Abbiamo corrotto alcuni kapo in modo che posizionassero la legna per lasciare una cavità nel mezzo. Dal fuori, sembra una pila solida. Dentro però c’è abbastanza spazio per due uomini, insieme alle provviste».
«Si entra dall’alto», continuò Otto. «Non c’è altro sistema. È necessario che uno di voi due, quando daremo il segnale, rimuova qualche asse dalla cima della pila. Così ci caleremo nell’incavo. Poi rimetterete le assi al loro posto e tutto sembrerà normale».
«Appena saremo dentro, dovrete spargere un po’ di tabacco russo sopra e sui lati», spiegò Abe.
«La roba che abbiamo immerso nel petrolio?», chiese Jacob.
«Sì», rispose Otto. «Adesso è asciutta?»
«Asciutta e chiusa in sacchetti conservati nella panetteria», disse Jacob.
«Eccellente».
«Non capisco. A cosa serve?», chiese Jacob.
«A depistare i cani», rispose Abe. «Non sopportano quella roba. Odiano la puzza di tabacco – quello russo, almeno – e il tanfo del petrolio peggiora le cose».
«Siete sicuri?», chiese Luc.
«No», ammise Otto. «Così ci hanno detto. E noi ci fidiamo».
«Chi ve l’ha detto?», domandò Jacob. «Leszek non fumava nemmeno».
«Un sergente russo che abbiamo incontrato qualche mese fa», spiegò Abe. «Il tizio è scappato da un campo di prigionieri di guerra tedesco grazie a questo trucchetto. Purtroppo era così eccitato per avercela fatta che ha iniziato a ridere e cantare mentre correva nei boschi dall’altra parte del fiume. Povero sciocco. È incappato in un colonnello tedesco che se la stava facendo con la sua ragazza fra l’erba alta. Comunque, secondo lui il tabacco russo e il petrolio hanno funzionato benone. Saltellare nel bosco? Un po’ meno».
«Bene», disse Jacob. «Ma ancora non capisco il procedimento. Come farete a superare la recinzione elettrica? E anche se la oltrepasserete, perché nascondersi nella pila di legno? Perché non correre verso il fiume Soła e poi verso i binari del treno, percorrendoli fino al confine ceco?».
«Semplice», disse Otto. «L’unico modo per oltrepassare il filo spinato è durante il giorno, quando le guardie sono fuori insieme agli uomini che costruiscono le baracche, giusto?».
Jacob e Luc annuirono.
«Durante la notte, il campo più esterno e tutte le baracche non ancora finite non vengono sorvegliate. Perché dovrebbero? I prigionieri tornano al campo principale, dietro il filo elettrico. Quindi ecco il nostro piano. Ci nascondiamo fra il legname durante il giorno».
«Mentre le guardie pattugliano ovunque?»
«Purtroppo sì», disse Abe. «Ma se ci riusciamo, allora alle cinque le guardie riporteranno gli uomini al campo per l’appello».
«E voi sarete già nascosti?», chiese Jacob.
«Esatto. Poi si renderanno conto che non ci siamo e partiranno le sirene. A quel punto le truppe si metteranno in movimento. I cani inizieranno a correre. Ma cosa si aspettano? Due uomini in fuga. Quindi agiranno di conseguenza. Passeranno al setaccio anche il campo, ma soprattutto la campagna all’esterno. Per tre giorni e tre notti – questo recita il regolamento, né più né meno – ispezioneranno ogni campo, fiume, casa o fienile, convinti che stiamo scappando. Tuttavia non ci troveranno diretti verso il fiume Soła o vicino ai binari e nemmeno in un fienile o sotto un ponte. Non ci troveranno e basta».
«Perché voi sarete ancora nascosti nella catasta di legna», concluse Jacob.
«Precisamente», disse Otto. «Proprio sotto il loro naso».
«E poi?»
«Quando le settantadue ore saranno trascorse, Von Strassen richiamerà uomini e cani. Teste cadranno come è accaduto dopo la fuga di Leszek. E a quel punto io e Abe compiremo la nostra mossa. Dovrebbe accadere più o meno intorno all’ora di cena del terzo giorno. Aspetteremo che cali l’oscurità, certo, poi mi aspetto che sia abbastanza facile».
«Facile?», chiese Jacob, tutt’altro che convinto.
«Be’, avremo già oltrepassato le due recinzioni e non avremo nessuno alle calcagna», spiegò Otto. «La caccia all’uomo sarà finita e avremo a disposizione otto o nove ore di buio. Ci dirigeremo verso sud con gli zaini pieni di provviste. Nel giro di una settimana dovremmo raggiungere il confine ceco. Ci muoveremo verso Žilina. Lì abbiamo delle fonti fidate. Ci riconnetteremo con il consiglio ebraico e poi fileremo dritti a Budapest. Racconteremo tutto, tutto. Li metteremo in guardia e li convinceremo a ribellarsi, se necessario, ma non dovranno mai e poi mai mettere piede su quei treni. Poi, se Dio ci assiste, andremo a Londra e a Washington per perorare la nostra causa affinché Churchill e Roosevelt liberino Auschwitz-Birkenau e gli altri campi prima che sia troppo tardi».
«E se non ce la fate?», chiese Luc, interrompendo il suo silenzio.
«In quel caso ci sarete voi e l’altra squadra».
Jacob e Luc rimasero in silenzio per un minuto buono. Era un piano azzardato, pensò Jacob, ma più ci pensava più restava impressionato. Piuttosto che superare in velocità i nazisti e i loro cani, Steinberger e Frenkel si sarebbero nascosti quasi in piena vista. Se per le prime settantadue ore fossero riusciti a non farsi catturare, se Von Strassen davvero avesse interrotto la caccia all’uomo dopo tre giorni, secondo regolamento, forse avevano ragione. E una possibilità di essere liberi.
Insieme trascorsero le quattro ore successive a ripercorrere ogni singolo dettaglio del piano. Mentre Otto e Abe rispondevano a ciascuna delle domande, l’esultanza iniziale di Jacob per aver sentito un piano credibile di fuga iniziò a trasformarsi in un peso sulle sue spalle. Era arrivato il momento. Se ne sarebbero andati presto. Li aspettava la libertà, oppure la morte. E in ogni caso Jacob e Luc si sarebbero ritrovati da soli. Erano pronti? Nel frattempo, era necessario stare attenti a qualsiasi dettaglio per reagire a eventuali cambiamenti dell’ultimo minuto.
Steinberger e Frenkel spiegarono che Fischer e Kopecký avevano elaborato una strategia di fuga completamente diversa e avrebbero agito qualche settimana dopo, però non entrarono in dettagli. Anzi, per ragioni di sicurezza preferivano che Jacob e Luc non li incontrassero. Gli elencarono le ultime cose di cui avevano bisogno, poi sganciarono la bomba. Sarebbe successo venerdì notte.
Jacob si irrigidì. Mancavano soltanto due giorni. L’orologio ticchettava. Ma i due sottolinearono che secondo le informazioni in loro possesso, Hitler avrebbe raccolto gli ebrei d’Ungheria due mesi dopo. Dovevano muoversi subito, se volevano raggiungere Budapest.
«Allora che ne pensi?», chiese Luc quando Steinberger e Frenkel tornarono alle loro baracche e loro si ritrovarono da soli per la prima volta.
«È rischioso, però mi piace. Tu?»
«Mi piace abbastanza, ma mi sembra che ci sia un problema».
«Quale?»
«Se non funziona – se Otto e Abe vengono catturati e uccisi – non hanno studiato un piano B per la nostra fuga», fece notare Luc. «Insomma, hanno appena detto di aver elaborato con Fischer e Kopecký un piano completamente diverso per la loro squadra, giusto? Però non ci hanno spiegato quale sia. Quindi, se ho ben capito, vogliono che io e te scappiamo seguendo il loro progetto. Il che va bene, se funziona. Insomma, se escono sani e salvi è fantastico. Possiamo usare lo stesso piano anche noi. Se invece non funzionasse? Se il tabacco russo non servisse allo scopo? Se i cani li trovassero nascosti fra la legna? Se qualcosa andasse storto? Noi cosa faremo?».