Venticinque

19 aprile 1943

La Rochelle, Francia

 

A centinaia di chilometri di distanza, anche Jean-Luc Leclerc si trovava su un treno.

Il suo viaggio da Le Chambon alla città portuale di La Rochelle, affacciata sulla vastità dell’oceano Atlantico, gli era già costato buona parte della giornata. Era un rischio viaggiare così lontano dalla sicurezza della propria casa, lontano da Claire e dalle ragazze, lontano dalla chiesa e dalle centinaia di ebrei la cui salvezza dipendeva soltanto da loro. Era un rischio particolarmente grosso viaggiare verso una città che ospitava una base sottomarina e che quindi pullulava di soldati nazisti e agenti della Gestapo.

Luc era diventato supervisore del progetto per i rifugiati che ora travolgevano l’intera città. Era stato lui ad accogliere le nuove famiglie ebree che arrivavano ogni pochi giorni sul treno dell’una nella valle un tempo assonnata di Le Chambon. Era lui che ascoltava le loro storie, che li faceva sentire i benvenuti e che li assegnava alla casa di qualcuno. Era lui che li accompagnava di persona e li presentava ai padroni, assicurandosi che si ambientassero in fretta e con discrezione.

Era Luc a fornire alle famiglie nuovi documenti d’identità e a dare istruzioni sulla procedura che lui e gli altri pastori avevano escogitato per aiutare i rifugiati a integrarsi nelle scuole e in generale nello stile di vita del piccolo villaggio francese. Era lui a procurare loro vestiti nuovi e a dare suggerimenti su come sembrare dei gentili, dei protestanti, insomma.

Era sempre rispettoso nei confronti della loro fede, o mancanza di fede, delle abitudini e delle tradizioni. Luc era affascinato dai prescelti da Dio e faceva il possibile per metterli a loro agio e farli sentire al sicuro. Ma perché fossero davvero fuori pericolo, diceva loro candidamente, dovevano cancellare ogni traccia del loro essere ebrei. Non per il bene della gente di Le Chambon, bensì per evitare che la polizia di Vichy li trovasse e li consegnasse ai nazisti.

Luc amava quello che faceva ed era anche bravo. Ecco perché allontanarsi era pericoloso. Sapeva troppe cose. Conosceva quella gente di persona. Li andava a trovare, amava parlarci e conoscere il loro passato, li presentava alla famiglia e li invitava a picnic, passeggiate o altri eventi. Luc sapeva come far funzionare il sistema. Era metodico, preciso, riusciva ad anticipare i problemi e a risolverli prima che si materializzassero. Era geniale nel prevedere i conflitti e di solito era piuttosto paziente e bonario quando si presentavano. Ecco perché gli anziani della chiesa non volevano che si allontanasse. Non per quel viaggio né per altri. Era stata Claire a insistere e dopo molte preghiere, incluse giornate di digiuno, lui decise che aveva ragione.

Era buio, ormai era sera tardi, non c’era nulla da vedere fuori dal finestrino del treno a vapore che scoppiettava verso la sua destinazione. Mentre fischiava acuto nel cielo scuro, segnalando l’arrivo imminente a La Rochelle, Luc chiuse gli occhi e ripensò all’incontro nel sotterraneo della chiesa, avvenuto solo ventiquattro ore prima.

«Siamo quasi al limite», aveva spiegato Luc. «Quello che è successo finora è un vero miracolo. Però non sono sicuro che possiamo sostenere la situazione».

«In che senso?», aveva chiesto Chrétien, il pastore più anziano. «Io non ho mai sentito lamentele».

Luc rise. «È perché la nostra cittadina è piena di santi. Non fai che predicare il comandamento di Cristo di amare il prossimo e tutti cercano solo di obbedire. Leggi i passaggi che invitano a prendersi cura delle vedove, degli orfani, incoraggi a sfamare chi ha fame e a vestire chi è nudo, e la gente vuole essere fedele al nostro Salvatore. Ma con tutto il rispetto, c’è un punto di non ritorno. Contiamo tremila abitanti. Abbiamo offerto rifugio e assistenza a più di cinquemila persone negli ultimi tre anni. Non sono tutti ebrei, la maggior parte però sì. E la nostra gente, che Dio la benedica, ha ossequiosamente fatto la sua parte, anzi molto di più, perché lo desidera. Perché sa che è la cosa giusta da fare. E l’ultima cosa che vuole è lamentarsi. Ma siamo quasi al punto di rottura. Abbiamo bisogno d’aiuto».

«Che tipo di aiuto?», chiese Émile, che oltre al ruolo di pastore ricopriva anche quello di direttore della scuola elementare e media gestita dalla chiesa. «Chrétien ha raccolto dei soldi dai nostri fratelli e sorelle a Marsiglia e altrove. Ma i soldi sono scarsi, lo sai».

«Sì, certo», disse Luc. «A dire il vero non sto parlando di soldi. Noi coltiviamo il nostro cibo e Dio ce ne dà sicuramente in abbondanza, più di quanto potremmo chiedere o desiderare. E fabbrichiamo i nostri vestiti, quindi non è stato difficile cedere ciò che avanzava alle nuove famiglie. Da quel punto di vista siamo a posto, davvero».

«E allora?», chiese Chrétien.

«Dobbiamo trovare un’altra comunità, da qualche parte in Francia, che possa aiutarci», spiegò Luc. «Abbiamo bisogno di un posto che davvero sia devoto al Signore, che ami la sua Parola e la sua gente e che sia disposto ad accoglierla a braccia aperte. Dobbiamo poter dirigere le persone che vengono da noi in quest’altra comunità, una comunità con abitanti che non siano già schiacciati o sovraccarichi».

«Stai dicendo che la gente di Le Chambon non è più disposta a dare una mano?», chiese Chrétien.

«No», rispose Luc. «Sono onorati di fare ciò che fanno. Ma non possiamo pretendere più di così. Dobbiamo trovare una comunità che collabori con noi, un posto dove possiamo indirizzare chi si rivolge a noi e dove possiamo essere certi che queste care persone ricevano lo stesso tipo di amore, preghiere e attenzione che offriamo noi. A essere onesti, signori, temo che altri ebrei stiano arrivando. Negli ultimi mesi i numeri sono aumentati parecchio e io credo che la situazione precipiterà. Dobbiamo riprodurre altrove quello che stiamo facendo qui. E in fretta. Bisogna farlo in silenzio, senza che il governo di Vichy abbia il sentore di qualcosa».

I due sospirarono.

«È possibile che tu abbia ragione, Luc», concesse Chrétien. «Quindi cosa proponi?».

 

Un altro fischio acuto del treno e Luc iniziò a sentirlo rallentare. Aprì gli occhi e vide la banchina deserta e scarsamente illuminata avvicinarsi. Una fitta nebbia era salita dall’oceano, dando ai lampioni un bagliore sinistro e innaturale. Luc ripulì con la manica la condensa del finestrino. Sbirciò fuori e sperò di trovare il fratello di Claire ad aspettarlo. Anche lui era un pastore. La sua congregazione si trovava in un borgo fra i boschi trenta chilometri a sud di La Rochelle. Essendo cresciuta lì, Claire era convinta che fosse il posto perfetto per organizzare un’altra operazione di salvataggio degli ebrei in fuga dal Führer. Luc era d’accordo. Presto avrebbero scoperto se aveva ragione.

Il treno si fermò. Luc prese il borsone e uscì nell’aria afosa della notte. Camminò piano lungo la banchina di legno, lasciando che gli altri passeggeri – non che fossero molti – lo oltrepassassero, che incontrassero chi li era venuti a prendere e se ne andassero. Non vide il fratello di Claire, quindi scese le scale e si diresse verso l’uscita.

Non li sentì arrivare.

Gli saltarono addosso da dietro, due uomini di cui non riuscì a vedere il volto. Lo gettarono a terra, gli sferrarono diversi calci rompendogli qualche costola. Poi un cappuccio nero gli venne messo in testa e qualcuno lo colpì alla nuca con un oggetto smussato.

Quando si svegliò si ritrovò legato, imbavagliato e bendato. Non sapeva quanto tempo fosse rimasto senza conoscenza, chi lo aveva catturato o dove si trovava.

Qualcuno gli tolse lo straccio dalla bocca. Luc tossì e sputò, poi riprese a respirare l’aria salata della notte. Erano ancora a La Rochelle, concluse, non lontano dalla costa.

«Da quanto ospiti luridi ebrei?», domandò una voce.

Parlava in francese, ma l’accento era decisamente tedesco, il che gli suggerì che si trovava nelle mani della Gestapo. Luc non disse nulla.

«Quanti sporchi ebrei hai nascosto?».

Silenzio.

«Quanti ebrei hai nascosto dal Führer? Chi ti ha pagato? Quanto?».

Le domande arrivavano a raffica, come gli spari di una mitragliatrice. Quando Luc si rifiutò di rispondere, qualcuno gli mollò un cazzotto in pieno naso. Non sentì il rumore dell’osso rotto perché il dolore gli esplose nella testa irradiandosi in tutto il corpo. Sentì il sangue scorrergli in faccia. Eppure si rifiutò di parlare.

«Quando ha iniziato il pastore Chrétien a ospitare gli ebrei? E il pastore Émile? Perché lo fai? Perché hai scelto di tradire la tua razza? Cosa ci guadagni?».

Luc avrebbe tenuto la bocca chiusa. Non voleva mentire e di certo non avrebbe confessato la verità alla Gestapo. Ma sentir menzionare i suoi colleghi pastori a Le Chambon lo innervosì. Erano suoi superiori, i suoi mentori. Come facevano i tedeschi a esserne informati? Avevano lavorato così duramente per essere discreti. Tutta la città lo aveva fatto. Non avevano raccontato a nessuno quello che stava succedendo. Perché avrebbero dovuto? E a chi dirlo, poi? Allora come aveva fatto la Gestapo a prenderli di mira?

All’improvviso Luc pensò che anche Chrétien ed Émile dovevano essere stati arrestati. E se non fossero stati solo loro tre? C’era così tanta gente a Le Chambon intimamente coinvolta nel soccorrere i figli di Dio impedendo che venissero spediti nei campi di lavoro o anche solo umiliati per dover fuggire dalle proprie case e villaggi, perché considerati diversi. Alcuni stavano dandosi da fare anche più di lui e Claire. Non doveva essere l’unico prigioniero della Gestapo.

L’uomo stava ancora urlando contro di lui, Luc però lo sentiva appena. Le peggiori oscenità gli venivano sputate in faccia, eppure non cedette. Anzi, un sorriso gli comparve involontariamente sul volto coperto di sangue. Com’era possibile che proprio lui fosse meritevole di insulti e botte, come il suo Salvatore? Anche se non aveva senso, la situazione gli regalava una gioia strana e inspiegabile.

Fu allora che altri colpi ripresero ad abbattersi su di lui, e prima che capisse cosa stava succedendo perse i sensi di nuovo.

 

Fuga da Auschwitz
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