Tre
12 maggio 1940
Sedan, Francia
Il colonnello Klaus Von Strassen uscì dal mezzo al comando.
Celato dall’oscurità e fiancheggiato da soldati tedeschi pronti a spiegare le mitragliatrici, l’ufficiale nazista passò senza ostacoli dall’ingresso posteriore di un edificio scolastico al confine est di Sedan per vedere le tre dozzine di prigionieri – uomini, donne e bambini – seduti per terra in file allineate. Erano stati obbligati a rimanere in biancheria. Mani e piedi erano legati stretti con corde e catene. Erano bendati e imbavagliati. Tremavano all’aria fredda della notte, che puzzava di polvere da sparo e di carne umana bruciata.
Trentacinque anni, Von Strassen era l’ufficiale più giovane della famigerata Diciannovesima Armata Panzer del generale Heinz Wilhelm Guderian. Probabilmente era anche il più ambizioso. Proveniva da una famiglia tedesca di lunga tradizione militare. Suo padre era un generale pluridecorato nella Grande guerra. I suoi nonni e bisnonni da parte di padre e madre erano stati generali di alto livello. Mentre marciavano verso la Francia, Guderian lo aveva incaricato di radunare, interrogare e processare i prigionieri di guerra. Compito nel quale Von Strassen eccelleva. Nessuno nello staff del generale era altrettanto efficiente e spietato. Ma se da un lato apprezzava la fiducia del suo comandante, dall’altro l’incarico lo umiliava. Le sue ambizioni andavano ben oltre. Voleva una divisione panzer tutta sua. Voleva guidare le truppe in battaglia. Ecco dove risiedeva l’azione – e con essa la gloria.
Ma per il momento quel compito doveva essere portato a termine e Von Strassen era un fanatico dell’obbedienza e del rispetto delle gerarchie di comando.
Tolse una piccola torcia elettrica dalla tasca del cappotto e illuminò volto per volto i miserabili di fronte a lui. Fece un cenno impaziente verso il suo aiutante, che gli porse una pila di documenti identificativi. Dopo averli sfogliati, Von Strassen concluse che nel gruppo non c’era nessuno di importante. Nessun militare. Nessun ufficiale dell’intelligence. Nessuno che potesse nascondere informazioni scottanti.
«Chi è ebreo si alzi», ordinò.
Nessuno si mosse.
«Ve lo chiederò ancora una volta», ringhiò. «Finirete tutti in un campo di prigionia: un campo di lavoro, lavoro forzato. Rimarrete lì, servirete la causa militare tedesca finché la guerra non sarà finita e der Führer non deciderà del vostro destino. Ma se siete ebrei, riceverete un trattamento speciale. Quindi se siete ebrei dovete alzarvi».
Nessuno si mosse.
Il colonnello si voltò verso il suo aiutante. «Fai alzare tutti i maschi», ordinò. «Si tolgano le mutande, così sapremo chi è un lurido ebreo e chi no».
Dopo qualche istante gli uomini erano in piedi, i corpi e le ginocchia tremanti. Uno per uno si calarono le mutande. Von Strassen illuminò con la torcia le loro parti intime. Tre erano circoncisi: un padre, il figlio adolescente e il suo bambino di sei anni.
«Portateli via», sputò Von Strassen. «Portateli ad Auschwitz».