Ventidue

3 febbraio 1943

Wemmel, Belgio

 

All’imbrunire del giorno successivo, il piccolo gruppo si era spostato altrove.

Wemmel era una piccola cittadina a nord di Bruxelles. Stipati nell’attico di una coppia di anziani simpatizzanti con la Resistenza, Jacob e Avi lavoravano febbrilmente al loro piano.

Quando lo spiegarono a Micah, Henri e Jacques, tutti e tre accettarono all’istante di partecipare all’attacco al treno. «Certo che daremo una mano», avevano risposto alla richiesta di Jacob. «Non ci conoscete ancora?».

Mentre Avi elencava le domande a cui dovevano trovare risposta, le scorte di cui avevano bisogno e le sfide che li attendevano, Jacob non poteva fare a meno di provare un sincero affetto nei confronti di quegli uomini. Non avrebbe mai immaginato di avere amici così, uomini disponibili a sacrificare le proprie vite per una causa immensamente più grande di loro. Forse non gli restituiva la fiducia nel genere umano, però era un passo nella direzione giusta.

Quella notte emerse un fatto importante: la fonte delle notizie di intelligence che Avi aveva condiviso con i membri del consiglio era Micah. Avi non conosceva davvero le persone che aveva menzionato durante l’incontro. Erano contatti di Micah. Ma più Jacob ne sentiva parlare, più si fidava del giudizio dell’amico nei confronti della loro affidabilità.

Per le settimane successive, Micah esercitò pressioni su quei contatti per avere notizie in più. Che treno sarebbe stato utilizzato? In che notte sarebbe partito? Quanti prigionieri c’erano con esattezza sul convoglio? Non potevano lasciare niente al caso. Dovevano ricevere notizie precise, sulla base delle quali organizzare l’azione. La missione gli sarebbe probabilmente costata la vita. Avevano bisogno almeno di un barlume di speranza, e quello potevano conquistarlo solo sapendo con precisione con cosa si sarebbero scontrati e se il piano che Avi aveva escogitato avrebbe funzionato in quelle circostanze specifiche.

C’era un sacco di lavoro da fare. Innanzitutto bisognava cercare il luogo giusto per attaccare il treno. Dato che non avevano più accesso ad auto o furgoncini, non poteva essere troppo lontano da Bruxelles. Doveva essere raggiungibile in bicicletta e trovarsi vicino ai trasporti pubblici. Una volta che gli ebrei fossero riusciti a scappare, quelli che non fossero stati freddati dai nazisti dovevano riuscire a raggiungere in fretta Bruxelles o Antwerpen o qualche altra città nelle vicinanze. Le fonti di Micah indicavano che tutti gli ebrei portavano ancora abiti normali, non uniformi da prigione, e che non erano prigionieri da più di qualche mese – in alcuni casi solo da poche settimane – quindi Avi era sicuro che avrebbero avuto la possibilità concreta di confondersi fra la gente normale e usare i mezzi pubblici senza venire immediatamente riconosciuti e arrestati.

Il punto dell’attacco doveva essere vicino a una curva, pensava Avi. Per quanto ci avessero provato, non erano riusciti a procurarsi esplosivi. Non potevano nemmeno sabotare in anticipo i binari, perché venivano controllati ogni giorno. Se non riuscivano a trovare il sistema per fermare il treno, almeno dovevano approfittare del vantaggio offerto da una curva, dove il mezzo avrebbe rallentato: da trenta chilometri all’ora a una velocità gestibile di sei o sette chilometri orari. Solo allora Jacob e i suoi compagni che combattevano per la libertà sarebbero riusciti ad avanzare, saltare sul convoglio, tagliare le catene e i cavi che tenevano chiusi i vagoni bestiame, aprire le porte e aiutare la gente a saltare giù.

Inoltre, il sito doveva essere isolato abbastanza affinché nessuno fosse testimone dell’agguato o della fuga. Idealmente, sarebbe stato meglio agire in prossimità di una foresta per fornire copertura alla squadra fino all’arrivo del treno, un nascondiglio per Avi mentre sparava alle guardie con la loro unica pistola, e anche per i prigionieri in fuga.

Più la lista delle necessità cresceva, meno Jacob si sentiva sicuro che potessero davvero farcela. Eppure non diede voce alle sue preoccupazioni. Non disse nulla. Non era il momento per nutrire dei dubbi. Dopotutto Avi aveva ragione: se fosse stata sua sorella, o i suoi genitori, a trovarsi su quel treno? Non avrebbe voluto che la gente facesse qualunque cosa in suo potere per cercare di liberarli, anche con il rischio di fallire?

A ogni uomo della squadra venne assegnata una lista di responsabilità. Avi si sarebbe occupato di trovare il posto giusto per l’attacco. Micah avrebbe torchiato i suoi contatti per ottenere altre informazioni. Henri e Jacob avrebbero procurato biciclette, attrezzi, tagliacatene e fil di ferro. Jacob avrebbe pensato a recuperare dei soldi e distribuire banconote da cinquanta franchi a ogni prigioniero, e a condurli attraverso la foresta verso treni o pullman.

Venerdì 16 aprile si riunirono per cena, anche se tutti eccetto Avi erano troppo nervosi per mangiare.

La buona notizia era che i loro canali di intelligence stavano funzionando. Tutti i pezzi si stavano incastrando. Secondo le fonti di Micah, ora a Mechelen rimanevano poco più di milleseicento ebrei. Il comandante Asche e la Gestapo erano pronti. In base al programma, i prigionieri sarebbero stati caricati sui carri bestiame la sera di lunedì 19 aprile. Il treno 801 si sarebbe messo in moto puntuale alle 10:10 di sera e non più tardi delle 10:30 sarebbe passato dal sito che Avi aveva scelto.

La brutta notizia era che per nessuno di loro il piano che avevano escogitato era sufficientemente affidabile. Dovevano riuscire a fermare il treno, anche solo per qualche momento. Solo allora avrebbero potuto tagliare le catene e il fil di ferro e la gente sarebbe riuscita a scappare. I belgi erano irremovibili: cercare di aprire le porte mentre il treno era ancora in movimento – per quanto rallentato – non era realistico.

Jacob guardò Avi, si aspettava che fosse arrabbiato. Invece no. O almeno non dava a vedere nervosismo, solo stanchezza. Rispose con calma ai suoi uomini che avevano tempo fino all’indomani all’ora di pranzo per farsi venire in mente un sistema per fermare il mezzo; lui ci provava da settimane e ancora non aveva escogitato niente di convincente. Divorò della zuppa con il pane, un bicchiere di vino, poi disse che sarebbe andato a dormire. La mattina dopo aveva un incontro con Morry. Diede appuntamento a tutti prima di mezzogiorno per ripassare il piano un’ultima volta.

E così si ritirò per la notte. I giovani rimasero soli.

 

Passarono metà della notte a valutare possibili sistemi per bloccare il treno.

Nessuna delle idee ventilate, purtroppo, sembrava realizzabile. Non c’era modo di sabotare il motore. Non avevano esplosivi. Avrebbero potuto rubare una macchina e parcheggiarla sui binari, magari con il cofano aperto per simulare un problema al motore. Ma il sito prescelto da Avi non aveva strade nelle vicinanze, quindi un’auto avrebbe destato sospetti. Inoltre, rubare una macchina o qualunque altro veicolo avrebbe comportato il rischio di essere beccati. L’operazione era già abbastanza difficile. Perdere un membro della squadra durante un raffazzonato tentativo di furto l’avrebbe resa impossibile.

A un certo punto, Jacob suggerì un’idea: e se si fosse sdraiato lui sui binari? Ma Micah gli ricordò che avevano a che fare con i nazisti.

«Stanno ammazzando mezza Europa», disse. «Credi davvero che fermerebbero un intero treno di prigionieri nel cuore della notte per evitare di spappolare il primo fesso venuto? Probabilmente non ti vedrebbero nemmeno in tempo».

 

Fuga da Auschwitz
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