Otto

Jacob non aprì bocca durante la lunga camminata verso la capanna.

Per una buona mezz’ora, anche Avi rimase in silenzio. Aveva stranamente il broncio, era distante. Ma alla fine il peso che gli opprimeva il cuore sembrò alzarsi, anche solo per un po’. Si rilassò. Rallentò il passo in modo che Jacob lo raggiungesse e iniziò a parlare. Buon segno, pensò Jacob, perché lo zio Avi parlava solo quando era di buon umore.

In quel momento sembrò dimenticare il fatto che il nipote aveva mancato tutti gli obiettivi della giornata: due conigli, un fagiano e un cervo. Forse era soddisfatto anche solo di insegnare all’unico figlio del fratello a cacciare. Per la maggior parte dell’ora successiva, raccontò storie sullo zio che gli aveva insegnato a usare il fucile; disse che il papà di Jacob si era sempre rifiutato di andare a caccia, considerandola un’attività indegna di lui. Senza mai perdere l’occasione di insegnare qualcosa al suo piccolo protégé, Avi passava dal tedesco al polacco allo slovacco all’inglese e poi ancora al tedesco, lingue che Jacob conosceva bene o nelle quali stava migliorando.

Jacob era bravo nelle lingue. Dotato di una memoria non comune, le imparava in fretta nonostante le usasse poco.

«Ora basta con queste cose», disse Avi, dandogli una leggera pacca sulla schiena. «Ripuliamo questo posto e poi ti riporto subito a casa. Chissà cosa stanno cucinando tua madre e Ruthie».

Jacob si diresse in cucina per lavare i pochi piatti rimasti nel lavandino. Poi osservò Avi che piegava il tappeto lacero e staccava con forza delle assi del pavimento. Sotto c’era un’enorme cassa in acciaio lunga circa un metro e mezzo, chiusa con una serratura a combinazione. Avi si abbassò, premette alcuni pulsanti e la aprì, rivelando una riserva segreta di altre quattro Mauser. Rimise in fretta la quinta nella cassa e la richiuse. Poi aprì un piccolo contenitore in acciaio dove conservava i proiettili.

Jacob piegò le coperte e mise da parte i cuscini, poi sistemò la sua collezione di libri di storia, romanzi, testi scolastici ed enciclopedie in base alle lingue che doveva perfezionare. Ciascuno era un prezioso regalo di Avi, perché i suoi genitori non avevano più soldi per comprare libri. A dire il vero, da quando suo padre era stato licenziato dall’università, avevano a malapena i soldi per arrivare a fine mese. Ad Avi, invece, non mancavano mai marchi tedeschi. Era l’uomo più generoso che Jacob avesse mai incontrato, specialmente quando si trattava della sua formazione.

Erano passati più di quattro anni dall’ultima volta che Jacob aveva messo piede in una scuola governativa. La sua educazione formale era stata interrotta all’improvviso quando il Führer era salito al potere come cancelliere del Reich nel 1933. Era stato allora che il padre di Jacob, il rinomato dottor Reuben Weisz, era stato “sollevato” dal suo incarico all’università. Nel giro di poco tempo, la famiglia aveva perso la casa, i risparmi e la maggior parte delle persone che credevano amici.

E allora Avi aveva iniziato a dargli una mano. Aveva offerto al fratello maggiore l’opportunità di gestire il laboratorio di lavorazione del metallo che possedeva a Siegen. E aveva invitato la famiglia del fratello a trasferirsi nella casa sulla Rubensstrasse ad affitto ridotto.

Orgoglioso com’era, il dottor Weisz all’inizio aveva rifiutato l’offerta. Lui era uno studioso, non un venditore o un commesso. Era della Germania che si parlava. Lui era istruito: avrebbe insegnato, scritto e mantenuto la sua famiglia con le sue pubblicazioni. Ma presto era diventato evidente che quelle non erano più opzioni per un ebreo in Germania. Come facesse Avi a continuare a possedere certe attività, Jacob non l’aveva mai capito. Non osava chiedere. Si limitava semplicemente a essergli grato. Ormai alla famiglia Weisz non restava che il suo laboratorio di lavorazione del metallo. Quindi avevano accettato e si erano trasferiti a quattrocentoquattordici chilometri a sudovest della capitale tedesca, a poco più di cinque ore di macchina, nella piccola e pittoresca cittadina di quattromila anime sul fiume Sieg.

Inizialmente Jacob aveva temuto il cambiamento e le eventuali difficoltà che ne sarebbero derivate. Eppure non era stato così male. Difficile, sì, ma sopportabile. Sua madre gli insegnava matematica, letteratura e le lingue a casa durante la giornata. Suo padre la storia tedesca e mondiale, ogni sera. E appena lo zio Avi riusciva a liberarsi dalle sue attività, lo portava in montagna a camminare, ad aggiustare cose e a imparare lavori manuali.

Jacob saltò sul sedile del passeggero della Adler Standard 6 grigia a due porte, mentre Avi chiudeva a chiave il bungalow. Si misero in moto lungo il fitto degli alberi e iniziarono a discendere il fianco della montagna.

«Allora, ragazzo, c’è qualche Fraülein che ti ha catturato il cuore?», chiese lo zio all’improvviso.

Jacob fu grato che fosse calato il buio della sera. Almeno Avi non lo avrebbe visto arrossire. Fece spallucce come per rispondere di no.

«Ma figurati», disse Avi. «Un ragazzo carino come te, Jacob? Forte, alto, bella faccia. Un animo gentile. Le ragazze della shul1 saranno pazze di te».

Jacob aveva la bocca secca. Sapeva che suo zio stava solo scherzando, ma odiava essere messo in difficoltà. Borbottò qualcosa sperando di cambiare in fretta argomento.

La verità era, anche se gli seccava ammetterlo, che una ragazza lo aveva catturato eccome. Naomi Silver. Anche lei aveva diciassette anni. La sua famiglia viveva dietro l’angolo, sopra il negozio di orologi di proprietà del padre. Anche a lei piaceva suonare il violino. Avevano lo stesso maestro e le lezioni bisettimanali di lei finivano proprio quando lui iniziava le sue. Naomi era persino più timida di Jacob. Di rado si scambiavano qualche parola. Lui di certo non si era dichiarato. Ma ogni tanto i loro sguardi si incrociavano quando Naomi usciva dall’aula, violino in mano, e allora gli sorrideva.

C’era solo un problema. Due, anzi. Il primo era che non aveva mai trovato il coraggio di parlarle, nonostante avesse l’impressione di piacerle. Il secondo era che anche il suo amico Hans Meyer era interessato a lei, e Hans era molto più carino e socievole di Jacob. Inoltre possedeva una motocicletta. Era quella del fratello, a essere onesti, ma Hans spesso la “prendeva in prestito” e quando lo faceva catturava l’attenzione di tutte le ragazze.

Jacob non aveva mai confessato a Hans quanto Naomi gli piacesse. Ma qualche giorno prima l’amico gli aveva detto che aveva intenzione di invitarla a un concerto. Nonostante fosse devastato, Jacob si era tenuto come sempre i suoi sentimenti per sé. Nessuno sapeva cosa stesse pensando davvero. Non Naomi. Non Hans. Non la sua famiglia. Nemmeno Avi, anche se lo zio sembrava comprenderlo meglio di chiunque altro.

Per fortuna, prima che Jacob fosse obbligato a rispondere, la berlina raggiunse la fine del sentiero ghiaioso. Quando svoltarono la curva vide Siegen e rimase a bocca aperta. L’aria della notte era illuminata da uno strano bagliore sinistro. Le fiamme salivano di sei, dieci, forse addirittura dodici metri nel cielo senza luna, non da un solo palazzo ma da dozzine. «Cos’è, zio?», chiese senza fiato. «Che succede?».

All’inizio si sentì confuso. Poi fu preso dal panico. L’atmosfera era frenetica, folle. Entrarono nella periferia di Siegen e videro gente che correva sparpagliandosi in ogni direzione. Conoscenti. Vicini di casa. Pensò che stessero dandosi da fare per spegnere gli incendi ma più si addentravano nel cuore della città più era chiaro che la situazione era diversa.

Quando svoltarono sulla Hundgasse, videro un’enorme folla di persone – almeno un centinaio – riunite in mezzo alla strada davanti al negozio di Herr Berger. Herr Berger era il sarto di Siegen. Era un uomo gentile e dolce, nonché un ebreo devoto. Anche suo figlio Eli era un sarto, era amico del papà di Jacob e solista alla loro shul.

La folla urlava, gridava oscenità, le facce contorte dalla rabbia. Bussavano alla porta di Herr Berger, gli ordinavano di uscire. Poi qualcuno lanciò una pietra contro la vetrina del negozio. Qualcun altro accese una torcia e la gettò all’interno, e anche quella bottega venne avvolta dalle fiamme insieme a tante altre sulla stessa strada.

Il fuoco avvolse la struttura, una nube di fumo nero si riversò all’esterno. All’improvviso Herr Berger si precipitò fuori dalla porta d’ingresso del negozio. Cadde in ginocchio davanti alla folla, implorando pietà. Ma l’orda non gliela concesse. Si scagliò contro di lui con una rabbia cieca, sferrando pugni e calci mentre la vittima strillava agonizzante.

Jacob rimase pietrificato. Herr Berger era vecchio, quasi ottantenne. Era un uomo fragile e l’udito aveva iniziato ad abbandonarlo. Però era un gran lavoratore, meticoloso nella sua arte. Era uno degli uomini più gentili della città.

«Perché, zio?», domandò il ragazzo. «Perché fanno questo?».

Avi sterzò bruscamente a un angolo di strada e si immise in una via che al momento era deserta e tranquilla. Premette il freno e spense il motore. Poi si voltò e guardò il nipote dritto negli occhi.

«Perché è un ebreo», sussurrò. «Lo ammazzano perché è ebreo».

 

1 “Sinagoga” in yiddish.

Fuga da Auschwitz
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