Diciannove

Alla fine l’invasione dei nazisti non avvenne entro la fine del 1939.

La presa da parte dei tedeschi dei Paesi Bassi – Belgio, Olanda e Lussemburgo – accadde nel mese di maggio del 1940 e Jacob fu grato di avere avuto qualche mese in più di addestramento e preparazione.

Maurice, Avi e Jacob impegnarono tutto il tempo per reclutare e mettere insieme il resto della loro squadra di giovani ebrei ribelli.

La prima recluta fu Micah Kahn. Ebreo di ventisei anni, Micah era un dottore ed era il figlio di un medico dell’esercito. Alto, affascinante e con lisci capelli neri, una mente brillante e una figura atletica, possedeva un’inspiegabile abilità a comandare e avrebbe potuto persuadere chiunque a fare qualsiasi cosa.

Quando Avi aveva incontrato per la prima volta Micah e il suo sofisticato e dotato fratello, Marc, in un bar di Bruxelles, aveva intuito il loro potenziale e aveva cercato di arruolarli subito. Entrambi erano accesi di odio nei confronti dei nazisti e temevano per il futuro del Belgio. Marc, comunque, aveva deciso di diventare comunista ed era determinato a lavorare con i Rossi per sconfiggere i nazisti. Micah, invece, simpatizzava sempre di più con la Resistenza, soprattutto dopo l’invasione, quando a causa dei nazisti dovette smettere di lavorare come medico e iniziare a indossare la stella gialla di David, cosa che lui considerava degradante e umiliante.

Non si era impegnato in un ruolo attivo nella Resistenza finché alcuni amici non erano scomparsi. Giravano voci che fossero stati arrestati dalla Gestapo, torturati, poi uccisi oppure spediti in qualche campo di concentramento. Micah non poteva sapere cosa fosse successo con esattezza a ciascuno di loro, però era certo di una cosa: avrebbe fatto il possibile per salvare i compagni ebrei.

E una volta che Micah si metteva qualcosa in testa, fermarlo era impossibile. Divenne un fratello per Jacob, e Avi gli insegnò tutto quello che aveva imparato da Maurice. Micah decise di reclutare due suoi amici d’infanzia, Henri Germaine e Jacques Bouquet, voleva che si unissero alla Resistenza, anche se nessuno dei due era ebreo.

Ventiduenne, Henri aveva quattro anni meno di Micah ma era alto quanto lui, anche se più magro, con capelli ricci e ribelli che gli davano un’aria da giovane Albert Einstein. Henri e Micah erano cresciuti nello stesso quartiere, a pochi passi l’uno dall’altro. Si erano incontrati nel cortile delle scuole elementari ed erano diventati amici nonostante la differenza d’età. Da allora erano inseparabili.

In qualche modo sembravano fratelli separati alla nascita. Come Micah, Henri aveva un padre medico nell’esercito belga. Anche lui aveva un fratello maggiore di sei anni. Henri condivideva l’amore di Micah per i libri, la musica e i film, che faceva eco al suo stesso amore per le arti e per le nuove idee.

Quando erano adolescenti, Micah aveva spesso invitato Henri a unirsi a giochi o passeggiate o escursioni di ogni tipo e Henri si era sempre sentito parte del suo mondo. Nel corso degli anni, anche se non era ebreo, Henri aveva conosciuto la famiglia di Micah e sviluppato una stima per lo spirito ebraico e una comprensione verso quella cultura, che aveva subìto persecuzioni ridicole. L’ascesa del Terzo Reich era cresciuta di pari passo con l’antipatia di Henri nei confronti di Hitler e delle forze naziste. Molti degli amici che Micah aveva perso a causa dei nazisti erano anche amici di Henri. Perciò quando Micah gli aveva proposto di lavorare contro il Reich che stava annientando il Paese e anche il loro futuro, non era stato difficile convincerlo.

Micah si era portato dietro anche Jacques, suo coetaneo e personaggio altrettanto brillante, forse persino di più. Fanatico della matematica, amava anche l’arte, la poesia, la musica e i film. In effetti da una vita era in competizione con Micah per conoscere più cose e conseguire più traguardi, ma anche per chi rideva e si divertiva di più. Essendo cresciuto con Micah e Henry, Jacques aveva sviluppato un grande amore per le avventure all’aria aperta. Se Micah era il leader e Henri il professore, Jacques era il clown della classe. Dispettoso e pieno di vita, gli piaceva fare scherzi e in qualche modo riusciva sempre a non essere beccato dalla maestra. E anche se come Henri non era ebreo, era molto affezionato alla famiglia Kahn e ai suoi amici ebrei. Aborriva chi marciava nell’esercito nazista e il deprecabile antisemitismo dei tempi.

Agli occhi di Avi e Jacob, i tre giovani erano le forze ideali per la Resistenza. Imparavano in fretta, lavoravano sodo ed erano incredibilmente coraggiosi. Erano anche nati in Belgio, caratteristica che secondo Avi era la più preziosa di tutte. Conoscevano Bruxelles come le loro tasche, e non solo avevano contatti eccellenti in tutto il Paese ma sembravano abilissimi nel crearsene di nuovi e altrettanto utili.

Jacob non aveva mai avuto amici come loro a Siegen. Le persone che conosceva lui non erano così interessanti, istruite o unite per un bene comune contro un nemico comune. Ma lì, nel clima di pericolo dell’Europa controllata dai nazisti, si creò una combinazione che li legò in maniera indissolubile.

All’inizio lo scopo principale fu quello di dare una mano alle famiglie ebree a sfuggire al Terzo Reich. Insieme, ne aiutarono più di trecento ad attraversare il confine e a recarsi in Belgio. Alcune andarono in Inghilterra, altre riuscirono a raggiungere il Canada. Jacob e i suoi nuovi amici trovavano loro case sicure in cui rifugiarsi, provviste minime, vestiti e documenti falsi.

Una volta che l’invasione si concretizzò, però, Maurice Tulek li ridiresse verso altri compiti che considerava più importanti per gli Alleati. Per i giorni successivi, raccolsero intelligence di importanza fondamentale sui movimenti delle truppe tedesche, fecero esplodere riserve di carburante, rubarono uniformi naziste e sabotarono autocarri. Una volta, ad Avi e Jacob fu ordinato di attaccare una stazione di polizia e di rubare tutte le uniformi che potevano. Ne presero due, insieme a due pistole, una scatola di munizioni e una cassetta contenente più di diecimila franchi. E cosa più importante, scapparono con un premio che nessuno di loro si era aspettato: una scorta di seimila buoni pasto per le razioni, che consegnarono subito a Morry perché li distribuisse fra i vari membri della Resistenza ebraica sparsi in tutto il Paese.

Il fatto che non fossero ancora stati catturati era causa di molte discussioni nel gruppo. Alcuni attribuivano la loro buona sorte a un caso. Altri ad abilità e intelligenza. Jacob si domandò se non fosse la mano della Provvidenza divina. Comunque, ciascuno di loro amava ciò che faceva, e insieme partecipavano al gioco in modo eccellente.

Di rado rimanevano nello stesso posto per due notti di fila. Era un lavoro straziante, ingrato, ma Jacob era orgoglioso di farlo e grato di essere al fianco di uno zio che ammirava così tanto.

E poi un giorno, inaspettatamente, vennero attaccati alle spalle.

 

Fuga da Auschwitz
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