Novantaquattro

Al calare della sera, Jacob uscì nei boschi per scaricarsi.

Per tornare alla baracca ripercorse il sentiero terroso, svoltò a una curva e si fermò di colpo sui suoi passi.

In piedi davanti a lui, a meno di dieci metri di distanza, c’era un ragazzino.

«E tu chi sei?», chiese, sbalordito quanto Jacob.

A Jacob ci volle qualche secondo per riprendersi. Fissò il ragazzo che portava un paio di pantaloni infangati, stivali da lavoro e una camicia di flanella rossa sopra una maglietta grigia. Zaino di tela in spalla, canna da pesca in una mano e equipaggiamento nell’altra. Grazie a Dio non aveva con sé una pistola, ma Jacob capì subito che il ragazzo non si trovava nella foresta da solo.

«Cosa ci fai qui?», rispose, cercando di usare un tono autoritario che potesse intimorirlo.

«Sono a caccia col mio papà», disse lui.

«Lui dov’è?», domandò Jacob.

«Sono sicuro che mi raggiungerà fra qualche minuto, signore. La prego, non mi faccia del male».

Jacob si concentrò un attimo, poi, senza dire una parola, si mise a correre. Superò il ragazzo spaventandolo a morte e corse verso la baracca.

Era finita. Li avevano scoperti. Non potevano restare lì un minuto di più. Un uomo con la pistola aveva senz’altro molte munizioni con sé.

Jacob si precipitò nella baracca. Prese lo zaino, ci infilò tutto quello che avevano e se lo mise in spalla. Poi sollevò Luc, se lo caricò sulle spalle e iniziò a scendere lungo il sentiero, lontano dal ragazzo e dal padre, verso il paese dov’era la casa nella quale si era intrufolato. All’improvviso un colpo di pistola scosse l’aria. Poi un altro. Jacob sentiva i proiettili sibilare accanto alle sue orecchie ma non si voltò mai indietro. Continuò a correre, sopra le rocce, intorno agli alberi, attento a non inciampare nelle radici e nei rami.

Sfortunatamente Luc era più grande e pesante del previsto e il suo peso lo rallentava. Era alto più di un metro e ottanta e pesava, nonostante la magrezza.

Dopo un quarto d’ora, Jacob si fermò per riprendere fiato. Diede un’occhiata alle sue spalle. Nessuno. Mise Luc a terra.

Non c’era traccia del padre e del ragazzino. Ma la domanda che lo tormentava era una sola: sapevano chi erano e gli stavano dando la caccia?

 

Von Strassen era nel suo ufficio di Auschwitz quando ricevette la telefonata.

Veniva da un ufficiale delle SS di Żywiec, una città di circa trentamila abitanti. L’ufficiale riferì che la polizia locale aveva appena ricevuto il resoconto di un padre e un figlio che si erano imbattuti in due uomini, all’apparenza fuggitivi, che si nascondevano in una baracca di caccia sulle colline non lontano da Cisiec. «I testimoni riferiscono che uno dei due trasportava l’altro in spalla», continuò l’ufficiale. «Non sanno se era ferito o malato. Ma erano chiaramente individui poco raccomandabili e con cattive intenzioni. L’uomo ha sparato diversi colpi ma non li ha presi».

«Perché non li hanno inseguiti?», domandò Von Strassen.

«Il ragazzino ha solo tredici anni», rispose l’ufficiale. «Per proteggerlo, il padre ha ritenuto che fosse più saggio ritirarsi e chiamare la polizia».

«Quanto tempo fa è successo?»

«Diverse ore».

«E perché lo vengo a sapere solo adesso?», si lamentò Von Strassen.

«Io stesso sono stato informato non più di dieci minuti fa», disse l’ufficiale. «Ai due ci è voluto un po’ per tornare in città e ancora di più per trovare un telefono. L’ho chiamata appena ho ricevuto la notizia. Cosa vuole che facciamo?»

«Chiudete l’area per un raggio di venticinque chilometri», ordinò Von Strassen. «Coprifuoco militare. Nessuno esca di casa finché non daremo noi il permesso. Mobiliti ogni agente e soldato della regione. Istituisca posti di blocco ogni due chilometri. Nessuna macchina potrà circolare, solo veicoli ufficiali. Ogni auto ancora in circolazione dovrà essere fermata e passata al setaccio. Perquisite ogni casa, porta a porta. Controllate tutti i negozi, tutti i fienili, ogni singola stazione di benzina. Tutto. Voglio pattuglie aeree di ricerca. Trasmettete il messaggio alla radio. Fate in modo che gli annunciatori riferiscano una descrizione di Weisz e Leclerc. Spargete la voce che sono assassini, ricercati per aver ucciso due ragazzine in una fattoria vicino a Oświęcim. Dite alla gente che sono individui armati e pericolosi ma che li vogliamo vivi. Esigo aggiornamenti ogni quindici minuti. Io e i miei uomini arriveremo presto».

«Sì, signore», rispose l’ufficiale SS. «Ci mettiamo subito al lavoro».

«Fareste meglio», li avvertì Von Strassen. «Vi do sei ore. Se non li catturate vi riterrò personalmente responsabile».

 

Jacob sapeva con esattezza dove stava portando Luc e perché.

Aveva solo un’opzione e non aveva senso tormentarsi. Se avesse funzionato, avrebbe potuto essere al sicuro. Altrimenti sarebbero morti entro l’alba.

Pensò che gli sarebbero servite un paio d’ore per arrivarci, invece ce ne vollero quasi quattro. Si fermò a riposare. Mandò giù qualche sorso d’acqua. Ma affannato ed esausto, finalmente raggiunse il promontorio che si affacciava sulla piccola comunità e appoggiò Luc sotto un albero in un boschetto.

«Ci siamo quasi», disse Jacob. «Ora ascoltami, Luc. Ricordi la casa di cui ti ho parlato, quella dove ho preso il cibo?».

Luc annuì.

Jacob non aveva raccontato al suo amico cristiano di aver rubato.

«Be’, nel fienile c’è una macchina», continuò, pronto a mentire. «Gli chiederò di aiutarci. Sono già stati misericordiosi una volta. Spero che lo siano anche ora. Forse possono portarci vicino al confine e lasciarci lì. Poi ti trasporterò al di là e arriveremo insieme a Žilina. Che te ne pare?».

Luc annuì stordito e Jacob capì che non era d’accordo. A dirla tutta, il piano era pessimo. E il piano reale era anche peggiore.

«Tu aspetta qui, torno presto», disse Jacob.

«Quando?», chiese Luc.

«Appena avrò via libera e la famiglia deciderà di aiutarci. Tu non muoverti. Non ci metterò molto, lo prometto».

Jacob si pentì subito dell’ultima frase. Come poteva promettere che sarebbe tornato presto? Se lo avessero fucilato o catturato? La possibilità che non avrebbe più fatto ritorno era concreta.

 

Fuga da Auschwitz
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