Cinquantotto
1º gennaio 1944
Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau
All’inizio del 1944 nevicava furiosamente.
Ma Jacob non si fece scoraggiare. Sabato mattina, il primo dell’anno, prese una decisione e non la rivelò a nessuno. Quell’anno sarebbe scappato da Auschwitz, oppure sarebbe morto provandoci.
Sfidando il suo carattere introverso, piano piano stava aprendo un dialogo con i tre cechi. Parlava, faceva domande, cercava di avviare amicizie. E aspettava che Jean-Luc Leclerc rompesse il ghiaccio. Non era ancora successo, ma quell’apparente mancanza di progressi non lo demoralizzava. Luc avrebbe agito nel momento opportuno, ne era sicuro. E allora forse la conversazione li avrebbe condotti a Otto e Abe e poi fuori da quella fabbrica di morte.
Dopo l’appello e la colazione, Jacob arrivò al lavoro prima che la panetteria si animasse per la giornata. Luc gli chiese di portare due dozzine di cataste di legno vuote alla zona di carico dietro le cucine. Jacob brontolò fra sé e sé. Tutti quelli che conosceva invidiavano il suo lavoro al caldo della panetteria, specialmente durante simili tempeste. Ora invece si ritrovava ad arrancare avanti e indietro, a trascinare casse sotto la neve battente e il vento gelido.
Intorno alle undici del mattino, dopo aver scaricato una pila, Jacob si fermò un attimo e rientrò dalla porta sul retro delle cucine, sperando di riscaldarsi. Il cuore quasi si bloccò quando vide due guardie che camminavano lungo il corridoio. Non lo avevano visto, stavano ridendo e dandosi pacche sulle spalle e facevano un terribile baccano. Jacob si infilò di corsa nello stanzino delle scope e chiuse la porta, pregando un Dio nel quale non era sicuro di credere che le guardie non si accorgessero di lui. Per qualche ragione si fermarono nel corridoio a pochi passi dalla porta.
«Non preoccuparti, Jürgen», tuonò uno dei due. «Presto arriverà un sacco di salame ungherese. Non manca molto!».
«Ja», rispose l’altro. «Ho sentito certe storie sulle donne ungheresi. Sono così sexy in quelle gonnelle. Dicono che sono anche molto, be’… sai…».
«Sei un porco, Jürgen, lo sai? Un vero maiale. Saranno tutte sporche ebree. Davvero vuoi insozzarti con una di loro?»
«Ma io pensavo che…».
«Sei un idiota. Se Von Strassen ti becca con un’ebrea ti spedisce al fronte. È questo che vuoi?»
«Certo che no».
«Allora lascia perdere le donne. Io parlavo del cibo, razza di cretino! Arriveranno treni carichi di cibo fresco da Budapest. Carne, formaggio, cioccolato e una serie di squisitezze. Solo a pensarci mi viene l’acquolina in bocca!».
«Anche a me!», disse Jürgen. «Non vedo l’ora, davvero. Quando arriveranno?».
Si allontanarono ridendo e facendo congetture. Jacob rimase immobile nello stanzino, trattenendo il respiro. Dopo qualche minuto, non sentendo più rumori, aprì piano la porta, vide che la via era libera e tornò svelto alla panetteria.
Lungo il tragitto rimuginò sulle parole delle guardie naziste. Quante volgarità. Ormai ci era abituato. Ma i commenti sui treni carichi di salami ungheresi lo avevano turbato profondamente. Quando rientrò, prese da parte Stefan.
«Non hai sentito nulla dei gruppi di ungheresi che stanno arrivando qui?»
«No», rispose Stefan. «Perché?»
«Così», disse Jacob.
Poi domandò agli altri cechi. Nemmeno loro ne sapevano niente. Ma Jacob ebbe la netta sensazione di essere incappato in qualcosa di grosso. Ci pensò e in effetti gli venne in mente che da quando era arrivato non aveva mai incontrato nessun ungherese ad Auschwitz. C’erano polacchi, francesi e russi, rumeni, belgi e un sacco di tedeschi, gente da tutta Europa ma neanche l’ombra di un ungherese.
Jacob decise che non poteva aspettare. Doveva parlare con Luc. Nella panetteria non si era visto nessun soldato per tutta la mattina. Jacob si attendeva che il posto pullulasse di guardie che cercavano di ripararsi dal tempo inclemente. A quanto pare, durante i festeggiamenti dell’ultimo dell’anno dovevano aver alzato parecchio il gomito. Molti soldati dormivano ancora o comunque erano nei loro quartieri. Forse la situazione sarebbe cambiata nel corso della giornata, ma per ora il lavoro andava a rilento e nella panetteria non c’era nessuno eccetto la loro squadra.
«Herr Kapo, ha un momento?», chiese Jacob nel modo più educato possibile.
«Per favore, Jacob, chiamami Luc».
«Bene», rispose Jacob. «Possiamo andare un attimo nella stanza sul retro? Vorrei scambiare due parole in privato».
«Certo», disse Luc, guardandosi attorno per assicurarsi che fossero soli e facendo strada verso il retro delle cucine. «A dire il vero, anch’io speravo di trovare il tempo di parlarti. Qui dentro c’è sempre caos e rumore, nonché una marea di soldati. Ma oggi sembra la giornata buona per provarci».
Jacob cercò di organizzare i pensieri. Erano così tante le cose di cui voleva parlare e non era sicuro di quanto tempo avessero. Qualche secondo? Qualche minuto? In realtà avrebbero avuto bisogno di qualche ora. Jean-Luc Leclerc era un mistero. Era ovvio che fosse stato scelto e addestrato da Leszek. Era vicino ad Abby. Connesso a Otto e Abe. E Jacob sentiva che, in qualche modo, poteva essere la chiave della sua libertà.
«Sai niente di treni carichi di ebrei ungheresi diretti a questi campi?», chiese.
«Non mi pare», rispose Luc. «Perché me lo chiedi?».
Jacob raccontò in breve i commenti che aveva sentito fare alle due guardie. «Forse è per questo che Höss e Liebehenschel si sono imbarcati in una simile opera di costruzione? Per la prossima ondata di ebrei in arrivo dall’Ungheria?», chiese Jacob.
Nel mese di novembre Rudolf Höss era stato rimpiazzato da Arthur Liebehenschel nella carica di comandante dei campi di Auschwitz-Birkenau. Jacob non sapeva perché e non gli importava. Ma negli ultimi tempi aveva sentito dire che Höss sarebbe stato reinserito per supervisionare gli imponenti progetti in costruzione di Auschwitz-II. Ora Jacob si chiedeva se l’arrivo imminente di migliaia di ebrei dall’Ungheria non avesse a che fare in qualche modo con il ritorno di Höss.
Luc disse che non lo sapeva e Jacob si rese conto che ancora non aveva ponderato le implicazioni di una simile notizia.
«Ascolta: finora la comunità ebraica ungherese è stata risparmiata dalle retate e dai campi di morte nazisti», spiegò Jacob. «Perché? Perché il regime di Budapest è fascista. Sono parte delle potenze dell’Asse. Le loro forze hanno aiutato a invadere la Jugoslavia e la Russia. Ma se i calcoli di Berlino stessero cambiando? Se Hitler avesse intenzione di raccogliere e uccidere ogni ebreo d’Europa, ignorandone la provenienza? Se gli ebrei dell’Ungheria fossero i prossimi?».
Luc a quel punto capì e parve scosso.
«Inizierò a chiedere in giro», promise.
«Con discrezione», disse Jacob.
«Certo».
Jacob cambiò argomento. «Devo entrare in contatto con Otto e Abe», disse senza giri di parole. «Abby mi aveva detto che mi avrebbero contattato al mio arrivo. Ma sono passati dei mesi e nessuno mi ha avvicinato. Sono morti o ci hanno ripensato, oppure mi hanno abbandonato. Devo solo sapere quale sia il caso. Sai benissimo cosa avevano in mente. Adesso anch’io ho le stesse intenzioni. Non ce la faccio più. So che li conosci, è stata Abby a mettervi in contatto. Quindi spiegami».
Jacob fu sorpreso dalla sua stessa franchezza. Avrebbe voluto fare delle domande, invece le sue sembravano affermazioni aggressive.
Anziché lasciarsi sorprendere dall’inatteso comportamento deciso di Jacob, Luc sembrò felice di rispondergli. «Mi dispiace. È tutta colpa mia».
«Che vuoi dire?»
«Avrei dovuto raccontarti cosa succedeva molto tempo fa. Volevo. Poi ci sono state delle complicazioni».
«Che tipo di complicazioni?».
Luc rimase un attimo in silenzio per assicurarsi che nessuno fosse nei paraggi. Convinto che avessero altro tempo a disposizione da soli, abbassò la voce e riprese a parlare.
«Conosciamo un uomo che lavora nell’ufficio di Höss», spiegò. «Ci ha riferito che ti stavano tenendo d’occhio».
«Io?», chiese Jacob, sorpreso. «E perché?»
«Pare che Höss e Von Strassen fossero convinti che fra te, Leszek e Max ci fosse qualche legame. Ti hanno tenuto d’occhio per mesi. Speravano che ti tradissi, che abbassassi la guardia, che li portassi a scoprire altri che operano clandestinamente. Ecco perché Otto e Abe non sono entrati in contatto e perché io stesso mi sono tenuto a distanza per tante settimane. Avrei dovuto sussurrarti delle cose, passarti messaggi per farti capire che non sei stato dimenticato. Ma la verità è…».
«Cosa?»
«Che ero nervoso», confessò Luc. «Mi accorgevo che ti stavi scoraggiando sempre di più. Ma temevo che se ti avessi detto qualcosa avrebbero beccato anche me. La morte di Max… mi ha colpito. Ora mi vergogno. Comunque questa è la verità. Mi dispiace tanto, meritavi di più da parte mia».
Jacob non sapeva cosa dire. Era intontito dalla confessione. Eppure, anziché arrabbiarsi, fu grato all’uomo per la sua onestà. Anche Jacob aveva sperimentato la paura sulla sua pelle. Come potevano non essere terrorizzati in quel posto? Almeno Leclerc era onesto e Jacob lo rispettava per questo.
«Abby mi ha raccontato dei tuoi atti di eroismo nella Resistenza del Belgio», continuò Luc.
«Come? Io non le ho mai detto niente».
«Leszek l’ha rivelato a lei e a Max, e lei a me», spiegò Luc. «A dire il vero, hai fatto un’ottima impressione su Abby. Si illumina solo a pronunciare il tuo nome».
«Davvero?»
«Anche Abby è un membro della Resistenza, sai? Forse è una delle operative più efficienti che Leszek abbia mai reclutato. Lei crede davvero che Dio abbia un piano. La sua passione nasce dalla fede. Credo che sia per questo che ha una particolare propensione verso di te. Anche tu sei un vero credente».
«Nella libertà, forse», rispose Jacob. «Non in Dio».
«Peccato», disse Luc. «Dovremmo parlarne qualche volta. Ma d’accordo, tu credi nella libertà. Ti sei assunto enormi rischi per liberare della gente. Abby se n’è resa conto e così i leader del movimento clandestino. Ecco perché ti hanno cercato e credono che tu possa aiutarli. Onestamente, temono che Höss e Von Strassen scoprano la tua vera identità. Dopo la fuga di Leszek ci sono arrivati vicino. Ma brancolavano nel buio. Sono stati distratti da Max, il quale ha provato a dirottarli. Comunque ti hanno sempre tenuto sotto controllo, soprattutto Von Strassen. Questa è la brutta notizia».
«C’è per caso qualche buona notizia?»
«Be’, sì. Una fonte dall’ufficio di Höss ci ha contattati entrambi dopo Natale. Ha riferito dell’arresto di tre persone nel commando Canada di Auschwitz che sono state ritenute membri del movimento clandestino reclutati da Leszek».
«Era vero?»
«No, però li hanno impiccati due notti fa. E ora la nostra fonte dice che hanno rinunciato a te. Hanno concluso che tu abbia raccontato la verità durante l’interrogatorio dell’anno scorso e che fossi arrivato da troppo poco tempo per essere coinvolto. Il resoconto scritto riporta che probabilmente saresti stato reclutato se fosse intercorso più tempo fra il tuo arrivo e la fuga di Leszek, ma che né lui né Max ti conoscevano abbastanza bene da fidarsi di te. Insomma, Höss e Von Strassen pensano che tu non sappia niente. Ti hanno tenuto il fiato sul collo per mesi e non li hai condotti da nessuna parte. Nessuno ha cercato di entrare in contatto con te. E di me non sospettano nulla. Quindi il caso è archiviato».
Jacob trasse un sospiro di sollievo. «In effetti è una buona notizia».
«Sì, immaginavo che l’avresti gradita».
«Allora quando vedrò Otto e Abe?», domandò Jacob.
«A dire il vero, ho ricevuto un messaggio in codice da Otto stamattina», rispose Luc. «Lui e Abe preferiscono aspettare qualche settimana, per essere sicuri al cento percento che nessuno ti ronzi intorno e che le informazioni che hanno ricevuto non siano fasulle. Quando saranno persuasi che è tutto a posto, ti contatteranno. Ma non preoccuparti. Comunque non scapperanno fino alla fine dell’inverno».
«E intanto io cosa dovrei fare?», insistette Jacob.
«La stessa cosa che faccio io: lavorare sodo, a testa bassa, senza commettere sciocchezze, tipo farti beccare».