Novantatré

Il giorno successivo ci fu un violento temporale estivo.

Fulmini e tuoni riecheggiavano nell’aria. Venti feroci ululavano attraverso gli alberi della foresta e Jacob rimase suo malgrado al riparo nella baracca. Le provviste iniziavano a scarseggiare ma non poteva farci niente. Di certo non sarebbe uscito in quell’inferno durante la notte. Luc comunque mangiava pochissimo. Dormiva quasi senza interruzioni e Jacob non sapeva cosa fare per lui.

Eppure c’era un appuntamento che ormai era diventato un rituale quotidiano. Ogni mattina leggeva ad alta voce un nuovo salmo a Luc secondo il desiderio di Abby, e leggeva anche un capitolo dal Vangelo di Giovanni, dato che il compagno non aveva le energie per farlo.

La verità era che leggere il Nuovo Testamento lo metteva a disagio. Ma si ricordò che lo stava facendo per amore di Abby, e anche perché era evidente che le parole di Gesù sembravano l’unico conforto rimasto per Luc.

Quella mattina lesse il Salmo 10.

 

O Signore, perché te ne stai lontano?

Perché ti nascondi in tempo d’angoscia?…

Ergiti, o Signore! O Dio, alza la tua mano!

Non dimenticare i miseri…

Spezza il braccio dell’empio e del malvagio;

punisci la sua empietà, e tu non la ritrovi più…

Signore, tu esaudisci il desiderio degli umili;

tu fortifichi il cuor loro, porgi il tuo orecchio

per render giustizia all’orfano e all’oppresso,

affinché l’uomo, che è fatto di terra, cessi d’incutere spavento.

 

Poi Jacob aprì il Nuovo Testamento al capitolo 10 di Giovanni, dove Gesù viene descritto come il “buon pastore”. Leggendolo, Jacob pensò al Salmo ventitreesimo – il preferito di Abby – il primo che aveva letto quando aveva aperto il regalo.

Luc gli fece cenno di avvicinarsi.

«Quello è il mio verso preferito della Bibbia», sussurrò Luc, gli occhi ancora chiusi, la voce roca e debole.

«Quale?», chiese Jacob.

«Dieci».

Jacob scorse il testo e rilesse Giovanni 10:10 ad alta voce. «Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Rimasero entrambi in silenzio per un po’. Jacob si sentiva impotente mentre guardava l’amico consumarsi sempre di più.

«Che giorno è?», chiese Luc.

Jacob dovette pensarci. «Credo che sia il 17 giugno».

Luc sospirò. «Volevo arrivare al mio…».

«Al tuo?»

«…al mio compleanno».

«Quand’è?»

«Agosto».

«Che giorno?»

«Undici».

«Non preoccuparti, Luc. Ce la farai. E faremo una grande festa con tuo nonno a Washington, la festa più grande che tu abbia mai visto».

Luc cercò di sorridere. «No, non… non arriverò a Washington, amico mio».

«Certo che sì», rispose Jacob. «Fai solo quello che ti dico. Ci arriveremo eccome».

«No, Jacob. Tornerò alla casa del Signore», disse Luc, debole ma stranamente calmo.

«No. Non dire così».

«Non importa», lo rassicurò Luc. «Voglio andarci. Non vedo l’ora di essere insieme al mio Salvatore. Stare con lui. Vedere il suo volto. Non mi viene in mente nulla di meglio, anche se mi mancherai. Sei stato un buon amico».

Jacob non voleva sentire più niente. Cercò di incoraggiarlo a rimanere concentrato e ottimista, ma anche se la voce di Luc era vacillante, la sua convinzione era ferrea. Stava abbandonando quel mondo per l’altro, ma promise di pregare per Jacob davanti al trono del Re di Israele.

«Non puoi mollare adesso», disse Jacob, lottando per non farsi sopraffare dalle emozioni. «Non abbiamo concluso la nostra missione».

«Io sì», sussurrò Luc. «E ti sto trattenendo dal portare a termine la tua».

«Sciocchezze».

«No, è vero e lo sai», disse Luc. «Ho fatto la mia corsa. Ho combattuto la mia battaglia. Ora tocca a te. Tutti contano su di te. Quindi vai, porta la cassaforte al consiglio ebraico e poi a mio nonno. Prendi un pezzo di carta e una matita. Ti darò il suo indirizzo di Washington. E quando libereranno il campo e la guerra sarà finita, cerca Abby. Sposala. Vai a vivere in un posto tranquillo e metti al mondo tanti bambini. D’accordo?».

Il labbro inferiore di Jacob iniziò a tremare. Si asciugò una lacrima e poi si voltò per non sentirsi ulteriormente in imbarazzo. Non voleva arrendersi. Sapeva che Luc era indebolito e non poteva biasimarlo se la pensava così. Ma non accettava l’idea che la loro missione insieme fosse giunta al termine.

Seguì un lungo silenzio, che Luc interruppe con un sussurro. «Ti ho mai detto che io e Claire aspettavamo un altro bambino quando sono stato arrestato?», chiese.

Non l’aveva mai fatto. «Davvero?»

«Chissà se è maschio o femmina», si chiese Luc con una voce appena udibile.

Poi chiuse gli occhi.

 

Abby Cohen sedeva in una cella, incatenata, sola, nessun altro prigioniero in vista.

Non l’avevano ancora torturata. Almeno non fisicamente. Non l’avevano picchiata, non le avevano mozzato le dita o cavato gli occhi dalle orbite.

Però avevano ammazzato un suo amico sparandogli in testa proprio di fronte a lei. L’avevano punita con l’isolamento, impedendole di camminare, di muoversi, di vedere o di parlare con qualcuno. Avevano portato via il diario di Jacob prima che avesse occasione di leggere le sue poesie, di impararle a memoria e recitarle.

Forse Von Strassen la conosceva meglio di chiunque altro. Sottrarle i contatti con le persone era come toglierle ossigeno, non soffriva fisicamente, ma stava comunque morendo. E per cosa? Quanto ci avrebbe messo la Gestapo a scoprire che aveva mentito? E poi che sarebbe successo? L’avrebbero uccisa o l’avrebbero fatta soffrire per sempre?

Provò a non pensare a quello che Von Strassen e Höss avevano fatto a Max. Era insopportabile. Si concentrò invece su Jacob e Luc. Li avrebbe mai più rivisti? Sarebbero davvero tornati per lei, per tutti loro?

Sperarlo era troppo, decise. Ricalibrò i propri pensieri e le speranze. Jacob e Luc erano liberi? Erano al sicuro? Se sì, dov’erano in quel momento? Cosa stavano facendo? Avevano aperto il regalo?

Avrebbe dato qualunque cosa per vedere i loro volti.

 

Fuga da Auschwitz
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