67

Il commissario capo Rutger Stark sembrava molto più vecchio che in tv, ma forse era colpa delle luci al neon in quella stanzetta senza finestre e con le pareti di cemento grigio dove erano seduti.

Somigliava alla stanza degli interrogatori delle serie televisive e questo aumentò il disagio di Simon. Lì dentro faceva fresco, le sedie erano comode e c’era odore di sudore e caffè vecchio.

Prima, mentre aspettava il commissario, Simon si era guardato intorno alla ricerca di telecamere di sorveglianza. Nei film c’erano sempre e registravano le conversazioni. Lì non ne aveva scoperta nessuna. E non c’era nemmeno uno specchio finto che servisse per seguire la scena di nascosto da una stanza vicina.

Tuttavia Simon non si sentiva affatto a proprio agio.

Stark doveva avere una cinquantina d’anni. Era magro, con i capelli corti e radi che lasciavano intravedere il cuoio capelluto. Aveva una faccia spigolosa dall’aria energica. Una vistosa cicatrice gli divideva in due il sopracciglio destro. In quel momento era sollevata in un’espressione stupita, mentre Simon finiva il proprio racconto.

«Ho capito bene?» domandò il commissario. «Hai preso la bicicletta nel cuore della notte durante un temporale così, senza motivo?»

Simon annuì.

«Ti capita di farlo spesso? Cioè, girare in bicicletta di notte?»

«Ogni tanto» mentì Simon. «Mi aiuta a liberare la mente.»

«Ah.»

Il commissario annuì pensieroso, appoggiò i gomiti sul piano del tavolo e intrecciò le dita sotto il mento. Era stanco e aveva due profonde occhiaie. Probabilmente nemmeno lui aveva dormito molto la notte prima.

«Hai visto Melina salire sull’auto?» riprese. «Ne sei proprio sicuro?»

Simon perse anche l’ultimo briciolo di pazienza. Stark si rivolgeva a lui come a un bambino piccolo. Era irritante.

«È quello che le ho appena detto! Pioveva forte e la strada era piena di rami spezzati. Melina non riusciva più a proseguire con lo scooter. Quando l’ho vista, stava salendo su quell’auto. E le giuro che non era una Mercedes. Di sicuro non era la Mercedes di Mike.»

«Non avevi detto di non aver riconosciuto la macchina?»

«È vero. Non ho riconosciuto la marca. Ma era un’auto grande e scura. Aveva una forma completamente diversa da quella di Mike.»

Simon avrebbe voluto suggerire al commissario di controllare l’auto di Richard Henning, ma era troppo presto. Non poteva dimostrare niente. Almeno per ora. Se lui e Caro si fossero sbagliati, suo fratello si sarebbe trovato in guai molto seri.

«Be’» disse Stark staccando i gomiti dal tavolo. «È una storia molto interessante.»

Simon lo guardò negli occhi e comprese che il commissario non gli credeva. Un membro del rispettabile club dei fuori di testa, come lui, riconosceva fin troppo bene quell’espressione incredula.

«La prego, deve credermi» disse odiandosi per il suo tono implorante. «Ho visto davvero quell’auto.»

«Sai che cosa penso?» Era una domanda retorica. «Credo che tu voglia proteggere tuo fratello. Ne avete passate tante insieme. Sono al corrente dell’incidente dei vostri genitori. È qualcosa che lega e avvicina tantissimo due persone. La cosa ti rende onore, Simon. Dico sul serio, da ragazzo sarebbe piaciuto anche a me avere un fratello leale come te. Uno che sia sempre dalla mia parte, qualunque cosa succeda.»

Assentì con il capo, per sottolineare la propria dichiarazione, quindi fissò intensamente Simon negli occhi.

«Tuttavia, rendere una falsa testimonianza è un reato. Questo ti è chiaro?»

«Ho detto la verità» ribatté Simon. «Non me ne frega niente di quello che pensa di me, Mike è innocente. È stato qualcuno con una grossa auto scura.»

«Il grande sconosciuto» disse Stark sporgendosi sul piano del tavolo.

Continuava a fissare Simon con il suo sguardo penetrante, come se volesse entrargli in testa e leggergli nel pensiero.

Simon sostenne il suo sguardo, anche se dentro si sentiva rimescolare di rabbia. Stark voleva capire se mentiva o no, e allora gli avrebbe letto la verità scritta in faccia. Distogliere lo sguardo avrebbe indicato che stava dicendo una bugia.

«Molto bene» disse alla fine il commissario appoggiandosi di nuovo allo schienale. «Controlleremo la cosa.»

«Me lo promette?»

«Certo.» Gli avrebbe quasi creduto, ma poi lo vide girare lo sguardo di lato.

Incubo
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